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Valerio Massimo Manfredi, ”Odysseo è il personaggio di maggior successo della letteratura occidentale”

Dalla tradizione orale a quella scritta, dai poemi omerici ai tragici greci e a Virgilio, fino a Dante e ai contemporanei: la figura di Odysseo è stata ripresa e narrata per tremila anni. A lui è dedicata la nuova opera di Valerio Massimo Manfredi, concepita in due volumi, di cui è di recente uscito il primo libro, ''Il mio nome è nessuno. Il giuramento''. Al termine dell'articolo il Prologo del libro in anteprima...

L’illustre scrittore presenta “Il mio nome è Nessuno. Il giuramento”, primo libro di un’opera in due volumi legata alla figura di Odysseo

MILANO  – Dalla tradizione orale a quella scritta, dai poemi omerici ai tragici greci e a Virgilio, fino a Dante e ai contemporanei: la figura di Odysseo è stata ripresa e narrata per tremila anni. A lui è dedicata la nuova opera di Valerio Massimo Manfredi, concepita in due volumi, di cui è di recente uscito il primo libro, “Il mio nome è nessuno. Il giuramento”, che racconta dell’infanzia e della formazione dell’eroe fino alla fine della guerra di Troia. La narrazione proseguirà nel secondo volume, che si concluderà con l’ultimo viaggio dell’eroe intrapreso dopo il suo ritorno a Itaca, quello profetizzatogli nell’"Odissea" da Tiresia quando Odysseo lo incontra durante la sua visita agli inferi – il Prologo di "Il mio nome è Nessuno" è ambientato durante questo viaggio. L’autore presenta il suo libro e spiega cos’abbia rappresentato la figura di Odysseo nella tradizione letteraria e culturale dell’Occidente.

Cosa rappresenta la figura di Odysseo nella civiltà occidentale e qual è l’insegnamento, o l’arricchimento, che l’epos di Ulisse può trasmetterci ancora oggi?
Odysseo rappresenta la tipologia dell’uomo occidentale, l’uomo che coltiva l’intelligenza, la conoscenza, che si spinge sempre oltre ogni orizzonte, che è pronto a rischiare la vita per la sua curiosità. E allo stesso tempo ha un legame fortissimo con la terra, l’identità, la sposa, il figlio.
Vive di avventura, tenacia, temerarietà, e quando serve sa usare la forza in maniera devastante. Non tutti gli aspetti di questa figura sono considerati oggi positivi, ma del resto Odysseo è un re dell’età del bronzo, vissuto prima dell’epoca cristiana, non conosce tutta la produzione letteraria e filosofica occidentale. Lui e i suoi contemporanei erano uomini formati al combattimento, e tuttavia Odysseo riesce a essere un uomo a tutto tondo, è diverso da Achille o da Aiace.
Non a caso la sua figura è stata continuamente riproposta per quasi ventisette secoli: è il personaggio di maggior successo della letteratura occidentale.

Quali sono le origini di questo epos e quali le ragioni di questa sua immensa fortuna?
I poemi omerici sono l’eco remota di fatti realmente accaduti: le vicende della guerra di Troia e dei ritorni risalgono al periodo miceneo. Tra gli eventi narrati e la loro scrittura trascorrono quattro secoli. [La civiltà micenea fiorì nel Peloponneso tra il 1600 a.C. e 1000 a.C., la guerra di Troia è stata datata intorno al 1300-1200 a.C., mentre i poemi omerici vennero messi per iscritto attorno all’800 a.C. N.d.R.] In tutto questo tempo la materia del racconto passa di maestro in discepolo attraverso la poesia orale. Il poeta orale è un uomo che compone dal vivo, che conosce la materia ma la reinventa di volta in volta a seconda del pubblico che ha di fronte. Se il pubblico è attento allora può continuare a lungo la narrazione, se per qualche ragione l’auditorio non gli presta attenzione o se succede qualche imprevisto farà in modo di essere più conciso. Se è ospite presso una corte citerà nel racconto un antenato della casa che lo ospita. In questo modo si spiegano anche le differenze tra i due poemi, l’“Iliade” e l’“Odissea”: hanno stratificazioni diverse. L’idea dell’origine orale risale agli anni Trenta, quando Milman Parry, conducendo delle ricerche sul campo nei Balcani, proseguiti alla sua morte da Albert Bates Lord, scoprì che esisteva una tradizione di poesia orale che raccontava fatti accaduti quattro secoli prima, sostanzialmente conforme ai fatti storici: qualcosa di analogo secondo lui doveva essere accaduto ai poemi omerici.
Se sommiamo dunque il periodo della tradizione orale a quello della tradizione scritta, risultano tremila anni in cui la figura di Odysseo ha continuato a essere ripresa e narrata, dagli aedi a Omero, dai grandi tragici greci a Licofrone, poeta greco cui viene attribuito il poema “Alessandra”, da Virgilio, che ancora aveva a disposizione tutti i poemi del ciclo troiano, fino a Dante e alla contemporaneità, Pascoli, Kavafis, Joyce.
Questa fortuna straordinaria del personaggio è dovuta alla grandezza e alla complessità della sua mente. E soprattutto all’aspetto della sfida: Odysseo sfida Dio. Nella rappresentazione di Dante, è solo il pugno di Dio ad affondare Odysseo: l’Ulisse dantesco è una figura titanica.

Lei racconta anche gli aspetti meno noti dell’epos: questo primo libro parte dalla nascita e si conclude alla fine della guerra di Troia, non arriva nemmeno a toccare le vicende più conosciute del ritorno. Quali sono le sue fonti?
Ho letto praticamente tutto quel che è rimasto dei poemi del ciclo, ma alla fine ho dovuto fare una scelta: per me Odysseo è quello dipinto da Omero. Già nell’“Odissea” ci sono dei punti che ci fanno intuire chi fosse Ulisse prima delle vicende narrate nei poemi omerici. La spedizione degli argonauti [gli eroi che sotto la guida di Giasone navigarono fino alla Colchide a bordo della nave Argo per rubare il vello d’oro a re Eete, che regnava su quelle terre, n.d.R.] è il perno dell’epos greco, e attraverso il padre Laerte Odysseo è legato a tutto questo mondo. Laerte è infatti uno degli argonauti, insieme a Ercole, altra figura cardine della mitologia greca, e Peleo, il padre di Achille. E Odysseo ha con il padre un rapporto intenso: la pima cosa che chiede alla madre quando discende negli inferi e la trova nel regno delle ombre è proprio dove sia il padre. Da indizi come questi si tratta poi di ricostruire. L’epica contiene  una quantità di informazioni enormi se la si sa interpretare bene, e tra due punti consequenziali si può ricostruire quello che sta in mezzo.
C’è un realismo nell’epos che fa impressione: a un certo punto si dice per esempio che verso Troia partono mille navi e cinquantamila uomini, che nel campo troiano ci sono mille fuochi con attorno ciascuno cinquecento uomini, in tutto cinquantamila uomini anche da parte troiana, che con i troiani combattono anche i neri africani. È una guerra di proporzioni enormi, durata dieci lunghi ed estenuanti anni. I ritorni sono lo specchio di un intero mondo, un mondo in dissoluzione, totalmente stremato dalla falcidia dei suoi giovani, come l’Europa dopo le guerre mondiali.

 

Perché ha scelto di raccontare in prima persona?
Per due ragioni: innanzi tutto perché la prima persona è molto più potente; in secondo luogo perché mi consente di narrare la storia prima che intervenga il filtro dei poeti, che hanno espanso a dismisura l’epos. In questo modo si ottiene l’effetto di un racconto quasi realistico, anche se ci sono dei limiti: non posso raccontare fatti a cui Odysseo non era presente, a meno di non ricorrere a degli espedienti.

 

5 dicembre 2012

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