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Vajont: se nell’Italia del boom avessero dato retta agli ingegneri critici…

SPECIALE VAJONT - 1963. L’Italia cresce, cambia, viaggia, consuma, sogna. E’ l’anno culmine del boom economico, qualcuno usa addirittura la parola “miracolo”, anche se nei processi sociali i miracoli non esistono, solo le fortunate combinazioni di volontà, fatica, invenzioni, ambiziosi progetti...

1963. L’Italia cresce, cambia, viaggia, consuma, sogna. E’ l’anno culmine del boom economico, qualcuno usa addirittura la parola “miracolo”, anche se nei processi sociali i miracoli non esistono, solo le fortunate combinazioni di volontà, fatica, invenzioni, ambiziosi progetti. Da anni, è tutto un gran movimento. Il Paese, che era povero, provinciale e contadino, adesso sta tra le grandi nazioni industriali, in un’Europa che diventa “mercato comune”.

 

E’ il tempo della Fiat e della Pirelli, dell’Eni e dell’Iri, dei frigoriferi Ignis, delle Lambrette Innocenti e delle Vespe Piaggio, del magnetofono Geloso, dei giradischi portatili e delle donne che “hanno un debole per l’uomo in Lebole”, mentre “terital” e “nylon” cambiano l’industria dell’abbigliamento. Ah, la felicità dell’andare, lungo la appena nata Autostrada del Sole, poche ore tra Milano e Napoli, magari ascoltando alla radio le ultime canzoni del Festival di Sanremo, dove i “melodici” delle rime di “cuore, fiore, amore” sono soppiantati dagli “urlatori”, da Tony Dallara e da Mina, mentre trova sempre più spazio il rock di Adriano Celentano e ci si prepara alla rivoluzione dei Beatles.

 

Ah, l’Italia moderna… La tv nelle case, la “Dolce vita” al cinema, l’Oscar per la stabilità della moneta assegnato dall’austero “Financial Times” proprio alla lira, alla nostra lira. Ah, l’Italia nuova delle fabbriche e della scienza… A metà degli anni Cinquanta uno scienziato italiano ha vinto il premio Nobel per la chimica con il “polipropilene” che nella vita quotidiana significa il “moplen”, la bella plastica colorata e resistente che fa la felicità delle casalinghe. Sono tempi di imprenditori e di innovatori, di chimici, di ricercatori, di ingegneri. Sorti magnifiche e progressive, finalmente…

 

Forse, in mezzo a tanta euforia di innovazioni e di affari, sarebbe stato meglio sopire le sicumere dei tecnici senza dubbi e degli affaristi senza scrupoli e dare invece retta proprio a quegli scienziati, a quei geologi, a quegli ingegneri che dicevano che una diga, sotto una montagna segnata dalle frane, non si poteva proprio costruire…

 

Antonio Calabrò

 

9 ottobre 2013

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