“Ti telefono stasera”: Marone e la guida all’imperfezione paterna

7 Novembre 2025

"Ti telefono stasera" è il ritratto intimo e ironico di Giò Coppola, un 50enne che impara a esserci pur nell'imperfezione paterna. Una storia di seconde chance.

"Ti telefono stasera": Marone e la guida all'imperfezione paterna

Con “Ti telefono stasera” (Feltrinelli), Lorenzo Marone non cerca il padre epico, quello da statua o da manuale. Mette in scena il genitore “vero”: quello che tenta, sbaglia, si interroga e, soprattutto, impara. Le sue incertezze fanno più rumore di qualsiasi errore. In un panorama familiare in continua evoluzione, dove i tempi si sono compressi e le paure dei genitori assomigliano a quelle dei figli, il “vicolo domestico” maroniano si allarga per diventare lo specchio di una condizione universale.

Il padre non è più il custode in cima alla piramide, ma un compagno di viaggio; il figlio non è solo destinatario, ma uno specchio critico che riflette le debolezze paterne. Lo stesso titolo è un piccolo capolavoro di tensione: “Ti telefono stasera” è insieme una promessa in bilico, un’attesa, il rischio del fallimento e la possibilità concreta di un riscatto. È in questa tensione quotidiana che Marone rintraccia la sua materia narrativa: pochissima retorica, moltissimo spazio per le scene banali che, all’improvviso, acquistano un significato enorme. (“Le famiglie cambiano forma, ma non smettono mai di essere casa,” recita la sinossi, e il romanzo è tutto qui.)

Giò e Duccio: quando la paternità diventa lavoro full-time

Giò Coppola ha cinquant’anni e legge previsioni meteo che si rivelano inaffidabili. La sua vita sentimentale è una costante altalena. Quando l’ex moglie parte per un anno, lui si ritrova, dopo molto tempo, a vivere da solo con Duccio, nove anni. Fino a quel momento, Giò aveva considerato il figlio più una presenza occasionale che una responsabilità piena.

È l’inizio di un inventario di vulnerabilità: pranzi saltati, compiti di matematica che sfidano la logica, notti in cui la domanda di Duccio, “Papà, perché non rispondi?”, fa crollare ogni muro. Giò scopre, senza sconti, che essere un padre a tempo pieno non è un upgrade, è una ricalibratura continua.

Attorno a loro, la famiglia allargata è un coro di voci disfunzionali e amorevoli: la madre sempre pronta a elargire consigli non richiesti; il padre taciturno che “quando parla lascia il segno”; la sorella LuLù, con i suoi due matrimoni falliti, e l’amico Paco Meraviglia, il padre-modello irritantemente ottimista. È in questo caos che si respira l’invincibile voglia di far prevalere la fantasia. Imparare a essere padre, per Giò, significa accettare l’imperfezione, trasformare le telefonate rimandate in dialoghi reali e trovare un gesto semplice per “fermare il tempo”.

Una scrittura meticolosa: l’emozione non spiegata

Chi conosce Marone ritrova immediatamente l’ambientazione napoletana, non oleografica ma stratificata, e i dialoghi che suonano veri, quotidiani. I protagonisti non sono eroi, ma persone in fase di costruzione, proprio come il Cesare Annunziata de La tentazione di essere felici. Se lì si riconosceva tardi il peso della tenerezza, qui Giò riconosce forse troppo tardi quello della presenza.

La sintassi è semplice e scorrevole, il tono è colloquiale, ma la prosa trattiene un’attenzione quasi artigianale. Il “padre imperfetto” non è un cliché da manuale di self-help, è un uomo che inciampa e si rialza, osservato dal narratore con una partecipazione disincantata.

Il romanzo sembra scritto per sentire più che per spiegare: Marone non offre grandi trattati sull’essere padre oggi, ma ci fa riconoscere i messaggi lasciati in segreteria e i silenzi che pesano. In questo si distingue, utilizzando la forza degli “oggetti quotidiani” (un libro, una pizza bruciata) come vere e proprie leve emotive. La tensione non è costruita sui grandi eventi, ma su “giorni piccoli” che si fanno grandi.

Il marchio Marone: resta la Napoli vera, ma cambia il focus

Marone conferma una linea narrativa, pur introducendo elementi di forte discontinuità con la sua produzione precedente.

I punti fermi: la Napoli-ambiente e l’affetto storto

Resta l’ambientazione domestica napoletana, che non è mai una cartolina ma un ambiente palpabile, abitato da generazioni diverse. Resta l’attenzione all’affetto imperfetto, che lo porta a rinunciare ai protagonisti-modello per raccontare persone che fanno i conti con i propri limiti. E resta, potente, il tono ironico-affettuoso, in cui la risata è l’antidoto necessario alla tragedia.

Le novità: padri, presente e previsioni sbagliate

Ciò che cambia è il focus. L’attenzione al ruolo materno o di cura (come in Le madri non dormono mai) qui si sposta sul padre, che deve riscrivere il suo ruolo. Cambia anche il tema del tempo: Marone non guarda più al passato o al “ritorno” (Magari domani resto), ma si inserisce in un presente pieno e nel futuro prossimo della relazione padre-figlio.

Elemento nuovo e affascinante è l’uso del lavoro di Giò (leggere previsioni meteo poco affidabili) come metafora. Non poter controllare il tempo è immagine potente della fragilità del controllo oggi. Il padre che prevede il tempo ma non può gestirlo è, in fondo, la metafora perfetta della paternità contemporanea.

I piccoli trionfi narrativi: dove Marone non scivola nel “conforto”

La forza di “Ti telefono stasera” risiede nella tensione tra la sua semplicità apparente e lo spessore emotivo celato. Quando Giò si siede con Duccio a lottare contro un compito di matematica, è chiaro al lettore che non sta solo facendo da tutore. È la dichiarazione: “Sto provando, ci sono”. E quando Duccio lo supera con un gesto o una domanda, Marone evita la morale consolatoria e resta nel nodo: genitore non significa “rispondere perfettamente”, ma “restare quando si può, tornare quando si è mancati”.

Il romanzo avverte spesso la tentazione del racconto “di conforto” (la storia familiare che rincuora), ma Marone la elude con scaltrezza. Nega i finali perfetti, lascia fili sciolti e non nasconde le conseguenze delle assenze o i dilemmi della sorella e dell’amico. Questa onestà non indebolisce la tenerezza, al contrario: la rende pienamente credibile.

La critica

Se il lettore cerca un romanzo a intreccio complesso, con misteri narrativi o svolte drammatiche spettacolari, “Ti telefono stasera” può risultare “tranquillo”. Non è stato concepito come un thriller familiare, ma come un’osservazione accorata e profonda. Alcuni potrebbero desiderare una “spinta” emotiva maggiore o un disvelamento più netto dei conflitti. Ma questa è una scelta consapevole: Marone ha voluto raccontare non una famiglia da manuale, ma una famiglia che impara a stare insieme, e questo spesso significa mostrare l’ordinario più che l’eccezionale.

Una guida (involontaria) alla “seconda chance”

La presenza è spesso mediata da un messaggio, le relazioni sono delegate alla sfera virtuale e il ruolo paterno è in continua rinegoziazione. “Ti telefono stasera” ci riporta alla responsabilità che si costruisce nelle pieghe quotidiane: organizzare, ascoltare, non sapere risolvere, esserci comunque.

È un romanzo che parla forte alla generazione dei cinquantenni che hanno lavorato troppo, delegato la cura e si sono nascosti nelle abitudini. Qui, il tempo della “seconda chance” non è un facile espediente narrativo, ma il racconto attivo di una ricalibratura emotiva. Come sottolinea la sinossi, sono “i genitori a doversi rimettere in gioco ricalibrando rigide, teoriche — e per questo inconsistenti — categorie educative”.

L’autenticità batte l’ambiziosa “opera grande”

“Ti telefono stasera” si conferma come un romanzo significativo nella bibliografia di Marone, non solo per i temi toccati ma per la maturità dello sguardo. Non è forse il suo libro “più grande” per ambizione, ma è certamente uno dei più autentici nella voce e nella capacità di farci entrare in una storia apparentemente semplice, che però racchiude le domande vere: che cosa significa “esserci”? E come si impara a guardare un figlio che cresce e, contemporaneamente, un padre che cambia?

Marone non svela segreti, ma registra una trasformazione lenta, che in tempi accelerati come i nostri vale forse più di una notizia esplosiva. Se cercate un romanzo che parli di famiglia senza smancerie, che racconti padri e figli senza schemi e che lasci respirare i dettagli più che le tensioni superficiali — questo è il libro giusto. Vale la pena di mettersi in attesa di quella “telefonata stasera”, per capire cosa quella chiamata vuole dire davvero.

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