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Testimonianze di guerra dallo scrittore giornalista Philip Gourevitch

DAL NOSTRO INVIATO A FERRARA - Ieri Philip Gourevitch, giornalista del New Yorker, è stato protagonista a Ferrara de ''L'incontro con l'autore'' delle 12.30 al Chiostro Piccolo. Il giornalista e autore americano, che ha conquistato il pubblico del Festival di Internazionale, ha parlato dei suoi libri-reportage sul Ruanda post-genocidio e sulle torture di Abu Ghraib...
L’autore e giornalista del New Yorker ha parlato dei suoi libri sul Ruanda post-genocidio e sulle torture di Abu Ghraib e delle politiche interventiste degli USA 
FERRARA – Philip Gourevitch, giornalista del New Yorker, è stato protagonista ieri a Ferrara de “L’incontro con l’autore” delle 12.30 al Chiostro Piccolo. Il giornalista e autore americano, che ha conquistato il pubblico del Festival di Internazionale, ha parlato dei suoi libri-reportage sul Ruanda post-genocidio e sulle torture di Abu Ghraib: “Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie”, del 2000, e “La ballata di Abu Ghraib”, 2009, entrambi editi in Italia da Einaudi.
I RETROSCENA DEI LIBRI DI GOUREVITCH – L’autore,  affiancato dalla vicedirettrice di Internazionale e da un’eccellente traduttrice, ha raccontato ragioni e retroscena delle sue opere letterario-giornalistiche. I suoi libri, compreso quello più famoso sul genocidio in Ruanda, non sono reportage di guerra o libri dell’orrore (come lui ha definito i libri che si soffermano troppo precisamente sui dettagli violenti), ma frutti del lavoro di Gourevitch sul territorio nel dopoguerra. “Non mi reco in un luogo se già credo di conoscere le dinamiche della storia. Proprio perché non capisco, voglio andare lì di persona e scrivere”. 
LA LOGICA DEL GENOCIDIO – Anarchia, caos, genocidio, “inimmaginabile”, “indicibile”. Queste le parole usate normalmente dai media per descrivere la tragedia del Ruanda. E queste le parole che Gourevitch ha voluto mettere in discussione, recandosi sul posto per cercare di capire in prima persona ciò che era successo. Non è forse vero che esiste una logica del genocidio? 
L’INTERVENTISMO È FONTE DI NUOVI PROBLEMI – Si è parlato anche di interventismo, anche con la sollecitazione di alcune domande dal pubblico: quando è giusto intervenire? Perché gli USA non intervengono militarmente in Siria? Questioni di scottante attualità, che Gourevitch ha affrontato brillantemente: in Siria è meglio non intervenire se non c’è un piano preciso su cosa fare e soprattutto su come agire nei confronti della dittatura vigente e su come affrontare il dopoguerra, la fase peggiore. “Vogliamo davvero che le cose vadano come in Afghanistan?”. E ancora: “Non vedo nella storia degli interventi un’iniziativa militare degli USA che non abbia creato nuovi e diversi problemi, talvolta peggiori dei precedenti”. Opinioni forti e, condivisibili o meno, ben strutturate e spiegate da questo grande autore ancora non molto conosciuto in Italia. Altro tema trattato è stato quello della memoria. La memoria, ha affermato il giornalista, può essere pericolosa e il ricordo può diventare talvolta un feticcio, un pretesto per nuove violenze. 
ABU GHRAIB: IL PREZZO DELL’INTERVENTO USA – Abu Ghraib? Per Gourevitch è stato il prezzo pagato per l’intervento degli USA. Le fotografie degli iracheni torturati, pur mostrando una realtà che sembrava evidente e precisa, non mostravano l’ambiente e il contesto in cui quei militari avevano agito. Davvero, come affermava Bush grazie ad una precisa scelta dei suoi “spin-doctors”, si trattava di persone deviate e pervertite che macchiavano il buon nome dell’esercito americano? O il problema era da ricercare alle radici della guerra in Iraq e delle sue contraddizioni, con un esercito composto da giovanissimi mandati al macello? 
LE FONTI E LE INFLUENZE – Infine, Philip Gourevitch ha parlato anche di scrittura e influenze, rivelando di non essere totalmente cosciente di avere uno stile personale e di affidarsi ad osservatori di “seconda mano” come la gente comune per raccogliere dettagli poco noti di alcune storie e dinamiche. “Io porto il lettore dentro a una situazione, gli faccio conoscere luoghi e persone, ma poi lo riporto all’esterno per ragionare su quello che ho narrato e descritto con lo sguardo dell’osservatore esterno”. Le sue influenze sono Herman Melville, la Bibbia e Bob Dylan, ma sono per lui come la musica: fanno muovere le parole. E proprio perché lo influenzano tanto, non si sognerebbe mai di imitarli. 
Miriam Goi 
7 ottobre 2012
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