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“Sulla sedia sbagliata”, una storia di viscerali legami fra madri

Viso di fanciulla sedicenne scolpito nel marmo.

Infinite pieghe di vesti che mostrano appena la forma dei piccoli seni e delle possenti ginocchia: i primi hanno allattato un Dio bambino, mentre le seconde ne cullano il corpo esanime.

 

Sono Madonne simili a quella che Michelangelo immortalò nella sua celebre “Pietà vaticana” le madri di cui scrive Sara Rattaro nel suo romanzo “Sulla sedia sbagliata”, edito con Garzanti nel 2015.

 

Cosa significa la successione di parole che compongono il titolo?

Dalla pagina d’esordio l’autrice ci riporta al tempo dell’infanzia e dell’adolescenza in cui, durante le feste in casa, ci si intratteneva con un gioco che, ad ogni turno, risparmiava tutti meno che uno: il più lento, il più debole, il più distratto, il più ingenuo. I restanti erano salvi, all’apparenza, ma destinati ad affannarsi ancora e ancora.

 

«Si mettono al centro di una stanza alcune sedie e quando la musica si ferma si corre per occuparne una.

Chi resta in piedi viene eliminato, gli altri restano seduti… Qualcuno sulla sedia sbagliata».

 

Anche la copertina è indicativa: su uno sfondo azzurro, campeggia un cuore rosa, realizzato all’uncinetto e trapassato da un ago.

Questa è, dunque, una storia di donne – puntaspilli che, come la Vergine Maria, hanno provato l’atroce dolore della profezia: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima». (Luca 2,25-35)

 

Francesca, medico, è madre single di Andrea, che, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ha assassinato la fidanzata.

Margherita, infermiera, è madre di Valeria che si consuma nell’anoressia per una delusione d’amore.

E ancora altre madri, quelle cattive che crescono figli nel disprezzo; quelle disperate che donano gli organi del frutto del proprio seno, ormai solo concime; quelle fiduciose che sperano di veder guarire i propri eterni neonati.

Donne diverse, le protagoniste descritte dalla Rattaro, eppure legate da viscerali cordoni ombelicali fatti di sensi di colpa che le portano a percorrere, ogni giorno, una terra di confine dove breve, drammaticamente breve, è la distanza fra chi è vittima e chi è carnefice.

 

Emma Fenu

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