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Stefano Brusadelli, ”Nel noir è il lettore a tracciare il confine tra il bene e il male”

''Georges Simenon ha la straordinaria capacità di rivelare il lato oscuro che si cela dietro ogni rispettabilità, senza però mai esprimere un giudizio''. Questo è uno dei grandi insegnamenti che Stefano Brusadelli ha appreso dall’autore che considera il suo maestro. Dopo un libro di racconti, con ''I santi pericolosi'' l’autore ha firmato il suo romanzo d'esordio...
Lo scrittore, che sarà protagonista a Capalbio Libri il prossimo 7 agosto, ci parla del suo romanzo d’esordio, “I santi pericolosi”, e della sua passione per il noir
MILANO – “Georges Simenon ha la straordinaria capacità di rivelare il lato oscuro che si cela dietro ogni rispettabilità, senza però mai esprimere un giudizio”. Questo è uno dei grandi insegnamenti che Stefano Brusadelli ha appreso dall’autore che considera il suo maestro. Dopo un libro di racconti, con “I santi pericolosi” l’autore ha firmato il suo romanzo d’esordio. Il personaggio principale è Antonino Buonamore, ispettore malinconico e ostinato, con la passione del cibo, del vino e dei segreti nascosti nell’animo degli uomini. Buonamore indaga sulla morte di Orazio Toccacieli, un prete il cui cadavere è stato ripescato dal Tevere. L’indagine si intreccia con altri tre delitti insoluti, che apparentemente non hanno alcun legame tra loro. Stefano Brusadelli, che con questo libro sarà ospite a Capalbio Libri il 7 agosto, ci presenta qui il suo romanzo.
Com’è nata l’idea di questo libro?
Prima de “I santi pericolosi” ho scritto un libro di racconti per Vallecchi, “Piccole atrocità”. Dopo di questo ho sentito il bisogno, anche su invito di Mondadori, di cimentarmi in un romanzo, che è un genere più complesso e più duro. La mia passione per il noir, invece, è cosa antica. 
Al di là dell’intreccio che ha meritato a questo libro la classificazione di noir, comunque, ho voluto scrivere un romanzo in cui i veri protagonisti sono la solitudine, che è la condizione in cui vivono gran parte dei personaggi e che spiegherà anche parte dell’intreccio, e il drammatico problema della giustizia, tema che affascina gli esseri umani da millenni. In questa vicenda si confrontano almeno tre visioni della giustizia: quella del codice penale, una certa visione della giustizia divina e l’idea di giustizia del protagonista, un uomo complesso e irresoluto che nella sua vita non è riuscito a fare i conti con molte questioni, tra cui appunto quella della giustizia, che pure dovrebbe servire a un ispettore di polizia. 

Questo è, come diceva, il suo romanzo d’esordio. Quali sono i suoi maestri per il noir, quelli su cui si è formata la sua passione per questo genere e che l’hanno guidata nella scrittura?
Partirei sicuramente da Georges Simenon, che però sarebbe riduttivo classificare soltanto come un autore noir. Si tratta infatti di uno dei più grandi scrittori del Novecento. La sua lezione riguarda da una parte lo stile – dai suoi libri si apprende la straordinaria importanza della fisicità, esplorata in tutti i suoi aspetti –, dall’altra i contenuti: Simenon ha la straordinaria capacità di rivelare il lato oscuro che si cela dietro ogni rispettabilità, senza però mai esprimere un giudizio sui personaggi.
Per me è importante lasciare a chi legge la responsabilità di esprimere un giudizio – ed è proprio questo che caratterizza un noir rispetto a un giallo. Nel noir il confine tra il bene e il male non è mai tracciato con nettezza, ognuno è chiamato a tracciare il proprio confine.
Amo molto anche Gianrico Carofiglio, che appartiene a tutt’altra epoca e a un altro contesto.
Il protagonista di questo libro è un personaggio malinconico, con la passione per il vino, una vita personale e professionale complicata. Secondo lei, la cura dell’aspetto piscologico, oltre che dell’intreccio, contribuisce a fare la fortuna che questo genere sta avendo in questo periodo?
Assolutamente sì, e credo che questo valga sempre. Il successo di un libro dipende dalla possibilità che si offre al lettore di identificarsi in un personaggio e nella sua storia, quindi è importante che questo risulti il più possibile “a tutto tondo”, umano.
Aggiungo una considerazione d’attualità: ho l’impressione che in un momento drammatico per tutti, confrontarsi con un personaggio pieno di problemi – come tutti – risulti un esercizio sano sia per chi scrive sia per chi legge. 
Nel suo libro dipinge una Roma dai toni cupi, che sembra avere i tratti di una città nordica. Da dove viene questa immagine?
Io sono romano, sono cresciuto in questa città e ci ho sempre vissuto. Amo immensamente Roma ma sono insofferente davanti alle sue presentazioni “caricaturali”. 
Roma non è affatto una città dolce, anzi sa essere molto dura. È la città del potere, una città che anche dal punto di vista urbanistico ha un aspetto molto aspro. E poi è una città intrisa di cattolicesimo. Per noi che siamo cresciuti qui l’abbondanza di segni religiosi può apparire normale,  ma io credo che contribuisca a creare un’atmosfera cupa e oppressiva. Il messaggio che mandano è un messaggio di mortificazione, di dolore, di espiazione. Basta pensare a tutte le rappresentazione di martirii che popolano le chiese e la città.
Quali sono le difficoltà maggiori che ha riscontrando passando dalla forma del racconto a quella del romanzo?
Credo che la difficoltà peculiare al romanzo sia quella di rendere credibili i personaggi in un arco di tempo lungo, facendoli misurare con vicende e stati d’animo diversi. In genere nel racconto si coglie una scheggia, un frammento, mentre in un romanzo si coglie una lunga porzione della vita di un individuo. Credo che mantenerne la coerenza sia la difficoltà maggiore.
E invece trovarne la voce, calarsi nella sua testa, individuarne la psicologia?
Io credo che dietro la scelta del protagonista ci debba essere un’identificazione da parte di chi scrive un romanzo. Almeno con il suo protagonista lo scrittore deve essere in assoluta sintonia.

1 agosto 2013
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