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Simonetta Agnello Hornby, ”L’Italia è una nazione che dovrebbe imparare ad accogliere lo straniero”

Londra è una città che cresce accogliendo chi arriva dall'esterno, che sia turista o migrante. Secondo Simonetta Agnello Hornby questo è un importante insegnamento che gli italiani possono ricevere dai londinesi...

La scrittrice ci presenta il suo nuovo libro, ”La mia Londra” dove racconta della sua vita a Londra e ci conduce alla scoperta della capitale inglese

MILANO – Londra è una città che cresce accogliendo chi arriva dall’esterno, che sia turista o migrante. Secondo Simonetta Agnello Hornby questo è un importante insegnamento che gli italiani possono ricevere dai londinesi, in un momento in cui il nostro Paese si trova a ricevere flussi sempre più consistenti di stranieri. Della sua esperienza nella capitale inglese, dove vive dal 1963, l’autrice parla nel suo nuovo libro “La mia Londra” (Giunti), a metà tra racconto biografico e ricognizione alla scoperta dei segreti della città.

Qual è stato il primo impatto con la città di Londra quando vi è arrivata da ragazza? Cosa l’ha convinta a restare?
L’impatto è stato drammatico: non avrei mai immaginato un cambiamento così totale. A produrre questo effetto è stata la strada che dall’aeroporto di Heathrow porta alla città. Io non avevo mai visto una strada sopraelevata: quando il pullman ha iniziato a salire, mi sono ritrovata a guardare nelle case al secondo piano dei palazzi. Mi sono sentita proiettata in un altro mondo, come se fossi sulla luna: era una strada che volava. Questo è stato il mio impatto con il “modernismo” di Londra, che mi ha sconvolta.
Avevo dei punti di riferimento: il Museo delle Scienze Naturali, la stazione Victoria, il Parlamento, che era più grande di quanto mi aspettassi, ma che avevo già visto in foto. Ma mi sentivo un’aliena: non parlavo la lingua, la gente saliva e scendeva da autobus a due piani che non avevo mai visto prima…
Un giorno mi infilai nella National Gallery: lì ho visto un quadro di Antonello da Messina, “San Girolamo nello studio”, e mi sono sentita a casa. “Se questa  gente ama e apprezza un quadro di un mio conterraneo”, mi sono detta, “accoglierà anche me”.
Fermarsi a Londra è stata una scelta venuta abbastanza naturale: ho studiato a Cambridge, mi sono sposata con un uomo più grande di me. Non mi è sembrato strano fermarmi a vivere nella sua città.

Con questo romanzo prosegue il racconto autobiografico già avviato con “Via XX settembre”, in cui ripercorreva gli anni della sua vita a Palermo. Cosa le manca di più di quella città? E cos’ha trovato invece a Londra che la vita a Palermo non le avrebbe mai potuto offrire?
Mi manca Monte Pellegrino: per me è il centro del mondo, il mio punto fermo, la mia Ayers Rock australiana. A casa ho sempre un quadro, un’immagine di Monte Pellegrino, e stranamente anche i miei figli.
Per il resto non ho nostalgie. Oggi ci sono la televisione, il telefono, Skype, si è sempre in contatto con i propri cari, anche visualmente.
Quanto a quello che ho trovato a Londra e che Palermo non mi avrebbe potuto dare… non lo so! Anni fa avrei detto che a Londra ci sono persone di tutte le razze e di tutti i colori, ma oggi questo è vero anche a Palermo. Oggi siamo tutti in Europa: grosse differenze non ce ne sono, siamo tutti parte di una comune matrice.

Lei ha lavorato a lungo nel quartiere di Brixton, dove aveva il suo studio legale, abitato da numerose comunità straniere, luogo di incontro e scontro tra culture diverse. L’esperienza londinese di difficile integrazione ha qualcosa da insegnare a un’Italia che in questo momento sta ricevendo flussi sempre più drammaticamente consistenti di immigrati, profughi e persone in cerca di una nuova vita?
Londra in particolare è una città che ha sempre vissuto di turismo, di gente straniera venuta a lavorare. Hanno sempre accolto tutti, visitatori e migranti. Il londinese accetta chiunque purché si adegui a certe norme di comportamento. L’inglese  viene spesso chiamato razzista, classista, altezzoso, e in parte lo è, soprattutto lo era l’inglese dell’impero. Ma il londinese no. A Londra c’è più gente che muore rispetto a quella che nasce, Londra si rinnova costantemente accogliendo lo straniero.
Noi italiani stranamente siamo razzisti. Non lo abbiamo capito prima perché non eravamo soggetti al fenomeno dell’immigrazione. Io però sono siciliana, e devo dire che i rapporti tra Nord e Sud Italia non fanno onore agli italiani.

I capitoli del suo libro riportano ciascuno un’epigrafe di Samuel Johnson, eminente intellettuale inglese del Settecento. Come mai questa scelta? Quali altri autori e  personaggi della cultura inglese l’hanno accompagnata?
Johnson è il padre dell’illuminismo inglese, è una persona rispettata ed è l’uomo dai cui scritti, insieme a quelli di Shakespeare, si riprendono più frasi e massime. Non era un grande scrittore né un uomo politico potente: all’inizio non capivo il perché di tanta ammirazione.
Poi ho compreso. Johnson era un letterato, aveva inventato un suo modo di scrivere velocissimo, con una penna facile e attenta. Soprattutto aveva creato il primo dizionario moderno inglese, un dizionario conciso, in cui ciascuna parola viene spiegata anche attraverso la citazione di brani di letteratura. Questa opera, che contava 42 mila lemmi, rispetto ai 250-300 mila degli altri dizionari inglesi, ha portato la cultura inglese all’estero, ha creato l’impero. Chiunque nelle colonie studiasse la lingua, grazie a questo vocabolario veniva in contatto anche con la letteratura inglese.
Era un grande uomo, generoso, che amava la gente. Povero, di saldi principi, contro la schiavitù. Sposò una donna di 21 anni più grande di lui, che amò immensamente. Per di più era bruttissimo; aveva un occhio solo, era sordo da un orecchio e per giunta sempre povero. Un uomo così si sarebbe voluto conoscere e amare.
Gli altri scrittori inglesi impallidiscono di fronte a Johnson. Tra gli autori londinesi ce n’è peròuno che mi piace molto, Peter Ackroyd: ha scritto un libro che si chiama “Londra. Una biografia”, che ho letto diverse volte.

Come appare la situazione politica ed economica italiana oggi vista dall’esterno? Quali sono gli ostacoli che impediscono al nostro Paese di risollevarsi dalla sua crisi?
Io non vivo in Italia, non so dire con certezza cosa impedisca al Paese di risollevarsi. Penso che il problema principale sia che l’Italia non è una nazione: l’italiano non si sente italiano. Sento sempre dire “gli italiani sono così”, mai “noi siamo così”. Finché non impareremo a dire “noi”, non saremo una nazione e le cose continueranno ad andare male.
Dall’estero siamo visti male. Nel 1992, ai tempi in cui nella mia Sicilia si uccisero Falcone e Borsellino e la mafia imperava con la connivenza della politica, sono stata bersagliata da tante battute, spesso pesanti, dagli inglesi. Ma andavo avanti a testa alta: io sono siciliana e ne vado orgogliosa, non tutti i siciliani sono così. Lo stesso posso dire degli italiani: abbiamo un sistema disonesto, ma non siamo un popolo disonesto.

16 maggio 2014

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