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Simone Sarasso e le molte declinazioni dell’ossessione per la parola

Simone Sarasso è autore di noir e di romanzi storici. Scrive anche fumetti e insegna scrittura creativa alla NABA di Milano...

Simone Sarasso è autore di noir e di romanzi storici. Scrive anche fumetti e insegna scrittura creativa alla NABA di Milano.

 

Delle molte cose che fa, Simone, quale è arrivata prima in ordine di tempo? Direi che la narrativa ha fatto ingresso piuttosto presto nella sua vita, visto che il primo romanzo della Trilogia sporca dell’Italia − storia di un quarantennio del nostro Paese raccontata attraverso le vicende di un agente dei servizi segreti, Andrea Sterling − risale al 2007.

La narrativa è arrivata per prima: è arrivata senza essere attesa. Dietro ogni scrittore c’è sempre un grande lettore, e io divoravo e divoro tonnellate di libri l’anno. Finché, a un certo punto – ne avevo più o meno 25 quando iniziai a lavorare alla Trilogia – leggere non mi bastò più. E cominciai a scrivere. Scrivere è tutto quello che so fare, quello che voglio fare e quello che faccio tutto il giorno. L’insegnamento della scrittura è solo una conseguenza della mia ossessione per la parola.

 

Immagino che opere come quelle che lei ha scritto (penso non solo alla trilogia, ma anche ai romanzi storici: Invictus, Colosseum) presuppongano un lavoro preparatorio molto intenso di studio, di documentazione, forse anche di schedatura. È andata così come me la raffiguro io?

Proprio così. Quando mi accingo a scrivere un nuovo libro, io non so nulla dell’argomento che voglio trattare. O quasi: ho un’idea, spesso afflitta da preconcetti e pregiudizi, della storia che desidero raccontare. Successe per Costantino, ad esempio, riguardo al quale condividevo, all’epoca dell’inizio dei lavori, le conoscenze superficiali che possediamo tutti sull’argomento. Ricordi di scuola, pallidi e sbiaditi: la battaglia di Ponte Milvio, in hoc signo vinces, l’Editto di Milano del 313 e poco altro. Ho dunque studiato prima le fonti originali dell’epoca, a cui ho fatto seguire saggi sull’argomento scritti in periodi storici differenti. Prima di mettermi a digitare una sola parola del romanzo, ho schedato migliaia di pagine, e ho steso una lunga scaletta dettagliata. Solo allora, col conforto dei documenti, mi sono sentito libero d’inventare. D’infondere linfa finzionale nella cruda materia storica.

Per ogni libro, il procedimento è simile: prima documentazione, poi scaletta e solo alla fine di un lungo processo preparatorio, scrittura.

 

Cosa spinge un giovane a indagare, agli albori del terzo millennio, la storia di un imperatore romano come Costantino? E a raccontare le gesta di due gladiatori?

A un certo punto della mia carriera avevo bisogno di raccontare la mia ossessione per il potere da un altro punto di vista. Nella mia Trilogia Sporca ho affondato le mani nella materia verminosa che striscia sotto la cute laccata della Prima Repubblica. Con Invictus ho fatto un salto temporale consistente, tornando al quarto secolo, per verificare se il potere ha sempre avuto le stesse dinamiche infette e suppuranti. Ho indagato prima la vita di un bastardo divenuto imperatore. Un figlio di genitori separati, che finì per ricoprire un incarico per cui non era nato. E da quell’incarico, da quell’inebriante profumo di porpora, rimase sfigurato.

Con Colosseum ho di nuovo spostato il punto vista, trascinandolo verso il basso. Ancora l’Impero, ma quello sfavillante del I secolo. Ma non più un imperatore al centro della vicenda, ma due schiavi stranieri, destinati a entrare nella storia di Roma.

 

Generi molto definiti, quelli che lei frequenta da autore: noir, romanzo storico. E da lettore, cosa ama leggere? Ci sono opere che ritiene fondamentali nella sua formazione?

Ho, come ogni lettore forte, degli autori di culto, di genere e non: Don Winslow, Philip Meyer, James Ellroy, Giancarlo De Cataldo. E dei numi tutelari: Emilio Salgari e Stephen King sopra ogni altro.

 

Insegnare scrittura creativa è (solo) una necessità (bisogna pur guadagnare e con la scrittura gli introiti non sono consistenti, soprattutto agli esordi) o (anche) una passione? C’è uno scambio tra chi insegna e chi impara, secondo lei? Insomma, si sente arricchito in qualche modo dall’attività didattica? E qual è la prima cosa che spiega agli allievi del corso?

Più che una necessità è un lusso che mi concedo. Potrei vivere di romanzi ma, per qualche mese l’anno, è bello uscire dal proprio studio tentando di comunicare stralci del proprio lavoro di bottega a chi è ansioso di apprendere. Il rapporto con gli allievi è il cuore di questa esperienza: se loro non fossero così ricettivi e stimolanti, credo che avrei già mollato da tempo (giacché il tempo è davvero poco. Pochissimo).

La prima cosa che insegno è la prima che ho imparato, un secolo prima di diventare scrittore: “Leggete, leggete, leggete. Fino a farvi sanguinare gli occhi.”

 

Che progetti ha in cantiere adesso?

Attualmente sto lavorando a un dittico di romanzi di ambientazione classica per Rizzoli, sul mito di Enea.

E a una nuova trilogia criminale per Marsilio: s’intitolerà Cent’anni e narrerà di un secolo di mafia italoamericana a New York.

 

Grazie per il suo tempo e le sue risposte, Simone.

Grazie a lei!

8 novembre 2014

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