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Simone Di Meo, “Borsellino e Falcone, dalla cronaca alla storia”

Sono trascorsi 25 anni dalla morte di Paolo Borsellino e noi di Libreriamo abbiamo intervistato Simone Di Meo per parlare dell'importanza della sua storia

MILANO – Sono passati ben 25 anni dalla Strage di Via D’Amelio e l’importanza di figure alla stregua di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si fa ancora sentire, anche oggi. E proprio in occasione dell’anniversario di morte del noto magistrato italiano, il giornalista e scrittore, Simone Di Meo, ha voluto condividere con noi un suo intervento in cui ci ha raccontato il suo personale ricordo su Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Simone vive e lavora a Napoli, scrive per il quotidiano “Il Giornale” e per il settimanale Panorama. Si occupa di criminalità organizzata, terrorismo internazionale e servizi segreti. Ha pubblicato libri sui maggiori fatti di cronaca giudiziaria locale e nazionale.

“Gli eroi sono uomini normali come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone che diventano straordinari quando tutto, attorno a loro, precipita. E precipitando, son gli unici che si oppongono allo sfacelo con la sola forza che conoscono: quella morale, quella intellettuale, quella interiore.

“Il loro contributo alla crescita civile dell’Italia, a mio avviso, è ancora sottovalutato perché un quarto di secolo è un tempo ancora breve per passare dalla cronaca alla Storia. Eppure, non è solo dal punto di vista investigativo e giudiziario che bisogna guardare all’esempio di questi due modelli. Sarebbe troppo facile e sarebbe troppo riduttivo. Hanno combattuto la mafia, ed era il loro lavoro. Ma son morti, e non era il loro destino. Son morti, ammazzati venticinque anni fa proprio di questi tempi, perché avevano fatto uscire l’antimafia dalle aule di tribunale e l’avevano portata in giro per la nazione, in televisione, nelle scuole, nelle piazze, sul palco del “Maurizio Costanzo show”, in Parlamento (che coraggio!)”.

“Son stati uccisi – Giovanni e Paolo – non solo perché erano i più bravi ma perché erano stati i più convinti ad attraccare lungo le coste di un continente oscuro chiamato Cosa nostra. Erano pionieri, e si sa che le terre selvagge non fanno prigionieri. Avrebbero potuto continuare, Giovanni e Paolo, a veleggiare in mare aperto godendo del vento che gonfia la vela e fa correre la carriera e la reputazione. Han scelto di andare sottocosta, invece, sfidando gli scogli aguzzi che spuntavano qua e là dalle onde.”

“Hanno avuto l’ardire addirittura di scendere a terra e di andare a vedere, a toccare, quella sabbia sporca. I killer infami che li hanno trucidati immaginavano che dietro quella barchetta malandata, su cui avevano sfidato la furia del mare, ci fosse nessuno. E che nessuno li avrebbe imitati. Grande è stato il loro stupore quando, all’orizzonte, dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, son comparsi i pennoni di mille e mille navi ammiraglie e galeoni che li avevano invece seguiti. A noi, uomini e donne di quella flotta, il compito di non disperdere la memoria e l’esempio di due uomini normali che son diventati straordinari”.

Simone Di Meo

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