Scrittori, la loro vita segreta in 4 libri

23 Novembre 2025

Cosa succede dietro la scrivania degli scrittori? I grandi svelano il lato maniacale del processo creativo. Scoprite con noi 4 libri sul mestiere di scrivere.

Scrittori, la loro vita segreta in 4 libri

L’immagine dello scrittore è spesso avvolta da un’aura mitica. Viene dipinto come un genio tormentato, folgorato da improvvise ispirazioni notturne, e tuttavia egli si muove in modi così diversi che non possiamo neppure immaginare; o forse sì, i lettori di “Scrivere è un Tic” si saranno fatti un’idea.

Dunque, cosa succede quando spegniamo i riflettori sull’aura romantica e accendiamo la luce sulla scrivania? Cosa c’è dietro il sipario del processo creativo? Il vero miracolo, in realtà, non è l’idea, ma la disciplina quotidiana necessaria a trasformare un pensiero in centinaia di pagine.

Per chiunque sia affascinato dalla letteratura non solo come opera finita, ma come lavoro—fatto di routine, manie, conflitti interiori e, talvolta, pura ossessione —  questa selezione di saggi e autobiografie offre una prospettiva illuminante.

Vite di scrittori

Abbiamo raccolto quattro titoli che esplorano il laboratorio dello scrittore da angolazioni diverse, ciascuno un fondamentale “libro-focus” sulla vita al lavoro degli autori. Dal più conosciuto a un compendio di brutale onestà; preparatevi a entrare nelle stanze più segrete della creazione letteraria e a scoprire le regole non scritte che governano il mestiere più solitario del mondo.

“On Writing: Autobiografia di un mestiere” di Stephen King

On Writing” di Stephen King è molto più di un manuale di scrittura; è una sincera e cruda meditazione sul mestiere dello scrittore, strutturata come un’autobiografia letteraria. King smonta il mito dell’ispirazione divina e propone invece una visione della scrittura come lavoro duro, disciplinato e manuale, paragonabile a quello di un artigiano.

La prima parte è dedicata alla sua formazione e alla sua routine lavorativa. King descrive onestamente le sue prime lotte, la sua dipendenza e il modo in cui il suo processo creativo è stato inscindibilmente legato agli alti e bassi della sua vita. Il focus sulla disciplina è centrale: stabilire un orario regolare (King è noto per iniziare a scrivere ogni mattina tra le 8:00 e le 8:30) e rispettarlo, indipendentemente dalle circostanze, è la base per trasformare il talento in professione.

Per King, l’obiettivo del lavoro è semplice: scrivere la prima stesura con la porta chiusa e riscriverla con la porta aperta. Questo suggerimento racchiude il suo intero approccio: la fase iniziale è un dialogo intimo con la storia, un’immersione totale in cui si ignora il mondo esterno; la fase di revisione, invece, richiede onestà brutale e la capacità di accettare il giudizio esterno (la “porta aperta”).

L’autore incoraggia ad abbandonare gli “avverbii” e la prosa fiorita, insistendo sulla chiarezza, sulla narrazione essenziale e sulla creazione di personaggi che si muovono realisticamente nella storia. On Writing non promette il successo, ma offre una mappa pratica e profondamente personale di come uno degli scrittori più prolifici del nostro tempo è riuscito a costruire, giorno dopo giorno, un’opera monumentale, facendo della scrittura un atto di resistenza quotidiana.

“Il mestiere dello scrittore” di Haruki Murakami

Ne “Il mestiere dello scrittore“, Haruki Murakami offre un raro e intimo sguardo dietro le quinte della sua vita professionale, analizzando la natura unica e spesso incompresa della carriera letteraria. Il libro è una raccolta di saggi che esplorano non tanto le tecniche di scrittura quanto l’attitudine mentale e la disciplina necessarie per sostenere una lunga e fruttuosa esistenza come romanziere.

Murakami insiste sul concetto che la scrittura è una maratona, non uno sprint. La sua routine è leggendaria: sveglia all’alba, ore fisse dedicate alla scrittura e, fondamentale, l’esercizio fisico (la corsa) come parte integrante del processo creativo. Egli vede la resistenza fisica come parallela alla resistenza mentale richiesta per creare opere lunghe e complesse. La costanza e la capacità di sedersi ogni giorno, a prescindere dall’ispirazione, sono presentate come i veri pilastri del mestiere.

Il libro è prezioso perché va oltre l’analisi superficiale del successo, affrontando con onestà anche gli aspetti più difficili: i fallimenti, i giudizi, il prezzo della solitudine e la necessità di mantenere un forte mondo interiore al riparo dalle distrazioni e dalle mode. L’autore riflette sull’importanza di sviluppare uno stile personale (“una voce”) e sulla relazione complessa e spesso tormentata tra l’autore e il suo pubblico.

Il mestiere dello scrittore è, in definitiva, un invito alla serietà e all’umiltà. Murakami dimostra che dietro ogni opera letteraria di successo si nasconde un mondo di umanità, di tentativi falliti e di una disciplina quasi monastica. È un testo che rassicura chi aspira a scrivere, ricordando che la grandezza non risiede solo nel talento, ma soprattutto nella tenacia quotidiana.

“Propizio è avere ove recarsi” di Emmanuel Carrère

Propizio è avere ove recarsi” si configura non solo come un’antologia del miglior giornalismo narrativo di Emmanuel Carrère, ma soprattutto come una profonda e involontaria immersione nel laboratorio creativo dell’autore stesso. Il libro è, nelle parole dell’autore, una “sorta di autobiografia,” ma è forse meglio definirlo un “autoritratto involontario” che rivela la sua peculiare e inconfondibile etica del lavoro.

Il saggio di Andrea Bajani posto in apertura sottolinea l’evidenza che il vero propizio di Carrère è il suo metodo: da oltre venticinque anni, lo scrittore applica lo stesso congegno letterario sia ai suoi romanzi che ai suoi reportage. La distinzione tra finzione e non-fiction si assottiglia in una prosa in prima persona, caratterizzata da un tono “riconoscibilissimo e peculiare” e da una narrazione “sinuosa” che mescola l’inchiesta oggettiva con la sua prospettiva esistenziale.

Il volume raccoglie i frutti di un instancabile viaggio intellettuale e fisico. Per Carrère, l’atto di scrivere è intrinsecamente legato all’atto di indagare, di recarsi in luoghi estremi e complessi: dalle tracce post-comuniste della Russia di Putin ai tribunali della “Francia profonda” per seguire processi per crimini atroci, fino agli incontri con i “potenti della terra” al Forum di Davos o con figure enigmatiche come il fantomatico “uomo dei dadi” nello Stato di New York.

Il lavoro di Carrère non è solo la cronaca di questi viaggi, ma anche il riflesso continuo sul proprio mestiere. Il libro svela gli “altri viaggi” che l’autore fa “attorno alla sua mente”: inventare soggetti di film che non verranno mai girati, riflettere sul proprio modo di fare letteratura e rileggere i libri amati. L’opera è una testimonianza di come, per Carrère, il giornalismo più estremo diventi il vero can con cui condurre la propria indagine sul mondo, trasformando ogni inchiesta in una via d’accesso al proprio processo creativo e alla propria anima di scrittore.

“Dizionario del grafomane” di Antonio Castronuovo

Il “Dizionario del grafomane” di Antonio Castronuovo non è una semplice raccolta di biografie, ma una vera e propria indagine sulle manie, le ossessioni e i tic che definiscono l’esistenza e, soprattutto, il mestiere dello scrittore. L’autore sposta l’obiettivo dal feticismo per l’oggetto-libro (trattato nel suo volume precedente, il Dizionario del bibliomane) alla patologia di chi è afflitto da un’incontinenza produttiva: la grafomania.

Attraverso una struttura dizionariale, Castronuovo cataloga e analizza centinaia di aneddoti e ritratti che svelano il lato più stravagante e compulsivo del lavoro letterario. Il libro è una sorta di casellario clinico che dimostra come l’atto di scrivere sia raramente il frutto di una quieta ispirazione, ma più spesso il risultato di una nevrosi interna, un logorio continuo che affligge l’autore.

Le pagine svelano le liturgie eccentriche che hanno scandito la giornata lavorativa dei grandi della letteratura. Viene raccontato Gabriele D’Annunzio come un revisore puntiglioso che poteva impiegare un’intera mattinata solo per ponderare l’aggiunta o l’eliminazione di una virgola. Si scopre che Louisa May Alcott divenne ambidestra a causa dell’assiduità con cui scriveva Piccole donne, arrivando a intorpidire la mano destra. E ancora, Andrea Camilleri emerge come un impiegato prolifico e metodico, rigidamente fedele a schemi compositivi precisi (ad esempio, 18 capitoli da 10 pagine ciascuno).

Il filo conduttore è la tesi – espressa dal drammaturgo Paul Léautaud e citata nel libro – secondo cui “un uomo sano, dallo spirito sano, solidamente fondato, ben piantato nella vita, non scrive, nemmeno penserebbe mai di scrivere”. L’opera offre così uno sguardo ironico e sapiente sul paradosso della creazione letteraria, dove il genio spesso si confonde con l’ossessione, e il desiderio di produrre testo diventa una frenesia irresistibile che definisce e tormenta la vita di chi è “nato per compilare pagine e pagine”.

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