Uscito per la prima volta nel 2005 e a lungo irreperibile, “Sangue marcio” segna l’esordio narrativo di uno degli scrittori italiani più amati degli ultimi dieci anni, creatore del celebre vicequestore Rocco Schiavone: Antonio Manzini.
Oggi, “Sangue marcio” è tornato sugli scaffali con una nuova edizione pubblicata da Piemme, arricchita da una prefazione inedita dello stesso autore. Ed è un ritorno in grande stile: il romanzo è già in vetta alle classifiche e ha riportato al centro della scena un’opera cupa, ruvida, ma sorprendentemente attuale.
Un thriller psicologico dove le indagini si intrecciano ai fantasmi del passato e in cui la tensione narrativa è accompagnata da una riflessione profonda sulla colpa, sull’identità e sull’irrimediabile peso della famiglia.
“Sangue marcio” di Antonio Manzini
Una storia che nasce da una ferita
Autunno 1976. Una famiglia altoborghese viene distrutta da una notizia esplosiva: il padre è accusato di essere il “mostro delle Cinque Terre”, autore di una catena di delitti efferati.
La madre si toglie la vita poco dopo. I due figli, Pietro e Massimo, rimangono soli e segnati da un destino che li spezza ma non li annienta. Cresceranno lontani, divisi da un dolore che li unisce: Pietro sarà un cronista di nera, Massimo entrerà in polizia.
Ventisei anni dopo, a L’Aquila, una serie di omicidi getta la città nel panico. Donne bionde, nude, uccise con lo stesso, inquietante rituale.
Le indagini sono affidate a Massimo. A raccontarle, c’è Pietro. Il caso, però, non è solo cronaca: è una riapertura di ferite che non si sono mai rimarginate. Il thriller si trasforma così in una discesa nel buio interiore dei protagonisti. Più che inseguire un colpevole, si cerca un senso. Si cerca un modo per restare umani.
La complessità dei personaggi
Antonio Manzini costruisce attorno a Pietro e Massimo due figure complesse, vive, intrise di contraddizioni. Pietro è osservatore e voce narrante, ma anche uomo fragile, segnato da un’esistenza in bilico tra cinismo e desiderio di salvezza.
Massimo, invece, è un commissario dallo sguardo spento, scavato da una carriera che non ha risparmiato nulla. Entrambi portano il marchio della colpa, anche se non è la loro. Eppure, in fondo, ciò che cercano – e ciò che leggiamo tra le righe – è una forma di perdono.
La loro storia è quella di due sopravvissuti. Non eroi, non vittime. Soltanto uomini che tentano di ricomporre i pezzi di un’identità lacerata. In questo, “Sangue marcio” non è solo un noir: è un romanzo sull’impossibilità di tornare indietro, ma anche sulla possibilità di attraversare il dolore, passo dopo passo.
Un thriller che parla d’amore
C’è un senso profondo di perdita che permea tutto il romanzo. Eppure, tra le pieghe della narrazione, si insinua anche una forma obliqua di amore: quello che resiste nonostante tutto, che sopravvive alla vergogna e alla rovina.
È amore fraterno, amore per la verità, forse persino amore per la scrittura – che per Pietro è rifugio e condanna.
Antonio Manzini, in questo esordio, mette in scena già tutta la sua poetica: una lingua tesa, precisa, capace di aprirsi a squarci lirici senza mai perdere credibilità.
La tensione narrativa non deraglia mai, eppure la voce che emerge è più ampia del semplice plot: è quella di un autore che riflette sulla giustizia, sulla vendetta, sul male che si eredita senza volerlo.
“Sangue marcio” non è solo un ritorno: è una conferma. La conferma che un buon romanzo può rimanere sepolto per anni, ma se ha radici forti, prima o poi tornerà a galla. Antonio Manzini ci regala una storia che pulsa, che graffia, che resta.
Per chi è adatto
“Sangue marcio” è un libro che potrebbe conquistare chi cerca nel thriller qualcosa di più del semplice enigma da risolvere. Chi ama le storie dove il mistero si intreccia alle ferite personali, dove la tensione non è soltanto quella dell’indagine ma anche quella del cuore, troverà in queste pagine una voce profonda e intensa.
È un romanzo perfetto per chi ha apprezzato le atmosfere cupe e introspettive del noir italiano, ma anche per chi vuole scoprire le radici letterarie di uno scrittore oggi amatissimo.
Chi è affascinato dai legami familiari complessi, dai fantasmi del passato che non smettono di bussare, da fratelli divisi ma uniti da una tragedia, troverà qui un racconto avvolgente, dolente e necessario. Non è solo un giallo: è una riflessione sulla colpa e sull’amore che sopravvive anche quando tutto sembra perduto.
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