Sei qui: Home » Libri » Salvo Sottile, ”Nel mio libro vi racconto lo stretto rapporto tra polizia e giornalismo nel corso di un’indagine”

Salvo Sottile, ”Nel mio libro vi racconto lo stretto rapporto tra polizia e giornalismo nel corso di un’indagine”

In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo (“Cruel”, edito da Mondadori), abbiamo intervistato il giornalista e presentatore televisivo Salvo Sottile, che ci ha parlato del rapporto tra indagine di polizia e cronaca nera...

Il giornalista e scrittore Salvo Sottile ci parla del suo ultimo romanzo, “Cruel”, edito da Mondadori, un misterioso omicidio da risolvere, tra indagini di polizia e cronaca nera

 
MILANO – In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo (“Cruel”, edito da Mondadori), abbiamo intervistato il giornalista e presentatore televisivo Salvo Sottile, che ci ha parlato del rapporto tra indagine di polizia e cronaca nera, illustrandoci il tormentato tragitto attraverso il quale si può arrivare alla verità.

 
Ci racconti del suo nuovo romanzo, “Cruel”. Com’è nato il libro?
Con “Cruel” ho tentato volutamente un azzardo. Volevo descrivere sì il male, quello che ho studiato e raccontato al pubblico in tv in tanti anni di professione. Lo volevo fare da un altro punto di vista. Dovendo scrivere una storia di fantasia, un racconto con tutti gli ingredienti del giallo, sentivo la necessità di descrivere il male in un altro modo, di comprimerlo e invertirne le polarità. Avevo bisogno di portarlo da fuori a dentro, in un luogo chiuso, che paradossalmente era quello più deputato a descriverlo, la redazione di un crime-magazine. Il male raccontato dentro “Cruel” non è facile da riconoscere, è un male più sottile, più defilato perché attraversa e colpisce tutti. Si nasconde tra i dettagli, nel sospetto che attanaglia ogni protagonista di questa storia. Qualcuno, lo vedrete leggendo il libro, ha la presunzione di trovarlo, di sconfiggerlo, ma ne verrà sopraffatto. Il lettore stesso sarà ossessionato dal sospetto perché a un certo punto egli stesso finirà per sospettare di tutti e farà fatica a guardare oltre le apparenze.
 
Al centro del romanzo troviamo, possiamo dire, la sua esperienza personale di giornalista…
Ho deciso di ambientare il romanzo all’interno di un giornale, una cosa insolita. Ho voluto replicare tutte le dinamiche classiche di una redazione, un luogo che conosco bene, proprio per averne girate tante. Quando la gente vede un programma televisivo o legge un giornale specializzato in cronaca nera può apprezzare o meno il prodotto, ma non sa esattamente  che tipo di lavoro c’è dietro, su quali meccanismi si gioca per vendere più copie e attirare pubblico, quali sono le ansie, le paure, le debolezze ma anche le soddisfazioni di chi sta lì a immaginare quel prodotto. Con “Cruel” permetto ai lettori di entrare in quel mondo, nel “dietro le quinte” di un grande giornale, un luogo dove il concetto di amicizia è relativo, dove la competizione è la regola, dove le invidie e le gelosie che serpeggiano tra colleghi sono “necessarie”, sono quasi il lubricante che scrosta la ruggine dell’immobilismo, dell’indifferenza. Sono un modo per uscire dall’anonimato, per farsi largo in un mondo quasi inaccessibile per i comuni mortali e per essere ammessi alla corte del re, il direttore del giornale. Oggi nei giornali è tutto cambiato, si fa tutto col computer, ma quando ho cominciato io, alla fine degli anni Ottanta, era così che si faceva questo mestiere, consumando le scarpe. In parecchi volevano fare i giornalisti ma in pochi ci riuscivano. Se su un fatto di cronaca trovavi la fonte che ti passava le dritte giuste avevi svoltato. Per il giornale diventavi indispensabile e allora sul posto mandavano te e non un altro, ti guadagnavi la tua chance. Ecco, Mauro, il protagonista di “Cruel”, è un numero uno della cronaca, un mastino, spregiudicato, un po’ cialtrone e con la vita privata a pezzi, è un uomo spavaldo ma al tempo stesso fragile. L’incontro con una donna, un’aspirante giornalista che fa la sua comparsa in redazione, gli cambia la vita, gli fa perdere il vecchio smalto, lo mette in crisi. Ma c’è un omicidio che lo tocca da vicino e la voglia di risolvere il mistero che si cela sullo sfondo gli farà riscoprire la voglia di ritrovare se stesso.  La redazione in cui lavora è un luogo in cui tutto fila liscio fino a che non succede qualcosa che sconvolge la vita stessa della rivista, non lasciando nessuno al riparo dal sospetto. Tutti diventano improvvisamente potenziali vittime e potenziali carnefici. Ognuno dei protagonisti ha l’ossessione di controllare la mente dell’altro, crede di avere la verità in tasca. Qualcuno ha anche la presunzione di riconoscere il male, di afferrarlo, di sconfiggerlo ma è la follia a guidare il gioco, a tirare i fili, a mischiare le carte. Una follia che trama nell’ombra ed è disposta a rischiare il tutto per tutto pur di degenerare.
 
Chi risolve il giallo? Il giornalista o il poliziotto?
Tutto alla fine di un thriller deve tornare. Il lettore alla fine vuole che l’autore attraverso le voci dei protagonisti metta ogni tessera al proprio posto. Mentre pensavo all’impianto della storia mi chiedevo chi tra il giornalista e il poliziotto potesse risolvere il giallo sui delitti del Chierico, quello che sembra essere il capo di una setta responsabile di una serie di brutali omicidi. La risposta, involontariamente, me l’ha fornita un mio caro amico a Milano, una sera, mentre lo stavo riaccompagnando a casa. Commentavamo i tanti casi di vittime senza colpevole, di gialli destinati a rimanere tali. A un tratto, scendendo dall’auto, mi salutò con la domanda che da mesi era diventata una sorta di tormentone tra noi: “Senti, ma se questi delitti non li risolvono gli altri, li dovete risolvere voi?” Era un paradosso che avevo sentito mille volte, ma quella sera all’improvviso mi aprì un mondo. Con la sua ironia tagliente mi poneva un quesito drammatico. Se gli omicidi restano irrisolti, se le forze dell’ordine non trovano un colpevole, spetta ai giornalisti sostituirsi a loro? Nella vita reale non succede mai. Ecco perché scrivendo gli ultimi capitoli di “Cruel” ho optato per la “terza via”. Alla fine, in questo romanzo, c’è un delitto che rischia di rimanere irrisolto, ma è un ragazzo, un elemento “esterno” alla storia, a trovare la chiave di volta. Di fronte al mistero ha qualcosa di diverso rispetto agli altri, il giusto distacco che gli permette di scovare il particolare decisivo, quello che nessuno vede ma è sotto gli occhi di tutti. È lui, forse, a incarnare l’essenza stessa di “Cruel”.
 
“Cruel” rappresenta uno specchio fedele delle indagini, per come vengono svolte in Italia?
Se ci fate caso gli ultimi casi dimostrano che da un lato c’è un’impennata dei crimini violenti, soprattutto contro le donne. Dall’altro una totale inadeguatezza delle strutture e dei mezzi a disposizione degli inquirenti per fronteggiare questa escalation. Spesso, in tempi di “spending review”, la soluzione di un caso è affidata alla fortuna o all’intuizione di un investigatore. Dimentichiamoci i laboratori ipertecnologici alla CSI o i poliziotti che risolvono un caso nel tempo di un episodio. “Cruel”, pur conservando tutti gli ingredienti di un thriller, anche in questo è specchio fedele della realtà. I poliziotti sono reali, combattono con la crisi e devono colmare i pochi mezzi a disposizione con l’intuito. Oltre a Mauro c’è un commissario di polizia che condurrà un’indagine parallela sulla storia di quel giornale e sui misteri che lo avvolgono. Entrambi pensano di seguire la pista giusta, ma non tutto è come sembra… Bisognerà guardare oltre le apparenze per arrivare alla verità. Solo chi avrà gli occhi giusti, chi saprà avere il giusto distacco verso le cose vi arriverà. Vi lancio questa sfida: vedremo se anche voi avrete già da subito gli occhi giusti per arrivare prima della fine alla verità. Pochi di voi ci riusciranno. Gli altri si godranno, spero, un bel libro…
 

 
10 febbraio 2015

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione Riservata