9 libri per non sfigurare a tavola: saggi da non perdere e che devi avere

25 Ottobre 2025

Scopri i 9 saggi imperdibili per arricchire la tua cultura e non sfigurare a tavola. Saggi che devi avere e leggere assolutamente per intavolare ottime conversazioni e non rimanere mai indietro.

Saggi da non perdere e che devi avere: 9 libri per non sfigurare a tavola

C’è un momento, tra un antipasto e un bicchiere di vino, in cui la conversazione si fa più interessante. Qualcuno cita un autore, un fatto storico, una teoria sul potere o una curiosità d’arte, e improvvisamente la tavola diventa un piccolo salotto letterario. In questi casi, avere il libro giusto nella propria libreria, o almeno averlo letto una volta, può fare la differenza.

I saggi non sono soltanto manuali di sapere: sono strumenti per capire il mondo e raccontarlo meglio, con ironia, profondità e spirito critico. Dai grandi temi della politica alle meraviglie dell’arte, dalle contraddizioni del nostro tempo alle storie dimenticate che plasmano la memoria collettiva, questi nove titoli sono letture essenziali per chi vuole nutrire la mente tanto quanto il palato.

9 saggi da non perdere per non restare indietro

Leggere saggi, oggi, è un gesto di resistenza e di eleganza insieme: significa scegliere la complessità in un mondo che preferisce la semplificazione, la riflessione al posto dell’urgenza. Questi nove libri non servono solo per “non sfigurare a tavola”, ma per imparare a guardare la realtà con occhi nuovi, cogliendo le sfumature dietro ogni epoca, ideologia o forma d’arte. Perché, in fondo, la cultura è come una buona cena: va condivisa, gustata lentamente e ricordata a lungo.

“Medioevo proibito.” Peccati e penitenze di un’epoca (non troppo) buia di Daniela Tedone, – BUR Rizzoli.

Dimenticate il Medioevo dei castelli silenziosi e delle torri assediate. Nel nuovo libro di Daniela Tedone, divulgatrice conosciuta come @lastoriaperted, il cosiddetto “secolo buio” si accende di colori, vizi e desideri umanissimi.

“Medioevo proibito. Peccati e penitenze di un’epoca (non troppo) buia” è un viaggio tra confessionali, tariffe di peccati e manuali per redimersi, che mostra come gli uomini e le donne del Medioevo non fossero poi così diversi da noi, solo con un senso del peccato molto più creativo.

Partendo dai libri penitenziali, veri e propri “tariffari dell’anima” che stabilivano la pena per ogni trasgressione, Tedone ricostruisce con ironia e precisione le abitudini più intime e scandalose del tempo. C’erano penitenze per chi rubava, per chi bestemmiava, per chi indulgiva in piaceri proibiti o per chi, semplicemente, rideva troppo.

Tra un monaco troppo curioso e una donna accusata di stregoneria, il libro svela una società viva, contraddittoria, piena di passione e superstizione. Il peccato, nel racconto di Tedone, diventa uno specchio del quotidiano: il desiderio, la fame, la rabbia e la fede convivono in un equilibrio instabile ma profondamente umano. Con linguaggio accessibile e aneddoti irresistibili, l’autrice restituisce un Medioevo ironico, sensuale e persino moderno, dove ogni trasgressione racconta il bisogno di libertà.

Sotto la sua superficie accattivante, Medioevo proibito è anche una riflessione sulla morale collettiva e sull’eredità culturale del peccato. Leggere queste pagine significa scoprire che molti pregiudizi, soprattutto quelli su corpo, sessualità e ruolo della donna, non sono mai del tutto scomparsi, ma hanno solo cambiato forma. Il risultato è un ritratto spassoso e affilato di un’epoca “non troppo buia”, dove il confine tra sacro e profano diventa terreno fertile per capire chi siamo oggi.

Con il suo tono ironico e colto, Daniela Tedone illumina il Medioevo come non lo abbiamo mai visto: un mondo di peccatori, superstizioni e confessioni che sembrano scritte da un autore contemporaneo. “Medioevo proibito” è un libro che fa sorridere e riflettere, un piccolo manuale di sopravvivenza morale tra passato e presente. In fondo, se c’è qualcosa che non cambia mai, è il desiderio di peccare, e di raccontarlo.

“Eileen Gray” di Cloé Pitiot – Johan & Levi

Il libro è dedicato a una delle figure più affascinanti e rivoluzionarie del design del Novecento. Figura enigmatica e pionieristica, Eileen Gray (1878–1976) è stata una delle menti più visionarie del design e dell’architettura del Novecento. Il volume pubblicato da Johan & Levi Editore ne restituisce la complessità e la modernità con uno sguardo lucido e poetico, restituendo voce a una donna che ha saputo reinventare il concetto stesso di spazio, abitare e bellezza.

Nata in Irlanda e formatasi tra Londra e Parigi, Eileen Gray attraversa il secolo come un’ombra luminosa, fedele alla propria indipendenza e insofferente a qualsiasi etichetta. Fu pittrice, designer, architetta e persino gallerista, celandosi dietro lo pseudonimo maschile Jean Désert per poter esporre le proprie creazioni in un ambiente ancora profondamente maschile.

Ma dietro l’apparente discrezione si nascondeva un genio rivoluzionario: i suoi paraventi laccati, i mobili dalle linee pure e gli oggetti in tubi d’acciaio rappresentano un equilibrio perfetto tra funzionalità e poesia. Gray concepiva lo spazio come un organismo vivente, in cui ogni curva, superficie e luce dovevano rispondere non solo a esigenze estetiche, ma a una visione umanistica dell’abitare, dove l’emozione è parte integrante della forma.

Il suo capolavoro architettonico, la celebre villa E-1027 a Roquebrune-Cap-Martin (1926), è una dichiarazione d’amore e indipendenza: costruita per Jean Badovici, è un’opera che unisce ingegnosità e intimità, luce e silenzio, corpo e spazio. La casa, pensata come un organismo che respira insieme a chi la abita, rappresenta il culmine della sua ricerca: un’architettura empatica, femminile, profondamente moderna. Il libro esplora con attenzione non solo la produzione artistica di Gray, ma anche la sua filosofia di vita: un costante tentativo di superare il rigore razionalista per restituire al design la dimensione dell’anima.

“Eileen Gray” di Johan & Levi è molto più di una monografia: è un ritratto intimo di una donna che ha trasformato l’arte del costruire in una forma di libertà. Attraverso fotografie, analisi e testimonianze, il volume ci accompagna dentro il laboratorio mentale di un’artista che ha fatto dell’armonia tra materia e spirito la sua più grande invenzione. In un’epoca in cui la modernità rischiava di farsi fredda e impersonale, Eileen Gray ha riportato la bellezza al suo centro originario: l’essere umano.

“Cancellare la storia”. Come i fascisti riscrivono il passato per controllare il futuro di Jason Stanley –  Solferino.

C’è un filo sottile che unisce tutte le dittature: la manipolazione del passato. “In Cancellare la storia”, il filosofo statunitense Jason Stanley, già autore del fondamentale “Come funziona il fascismo”, firma un saggio di straordinaria urgenza, che indaga la riscrittura del passato come arma politica. Un libro che non si limita a descrivere la strategia autoritaria, ma ci costringe a interrogarci sul presente: su quanto del nostro mondo democratico stiamo lasciando cancellare, pezzo dopo pezzo, senza accorgercene.

Secondo Stanley, i nuovi fascismi, aperti o mascherati, condividono un obiettivo comune: ridurre la storia a propaganda, cancellando tutto ciò che non si allinea alla narrazione dominante. Nelle loro mani, la memoria collettiva diventa uno strumento di potere: eliminando le voci del dissenso, riscrivendo il ruolo delle minoranze, e trasformando gli oppressori in salvatori.

Il passato, però, non è mai neutro. La storia, quando studiata e insegnata in modo critico, ci ricorda che le gerarchie possono essere rovesciate e che la libertà non è un dono, ma una conquista. È proprio questo, sostiene Stanley, ciò che spaventa gli autoritarismi: il potere emancipatore della conoscenza, la capacità della scuola e della cultura di generare pensiero libero e rivoluzione pacifica.

Uno dei capitoli più potenti del libro è dedicato all’istruzione, che Stanley definisce il primo campo di battaglia della memoria. Le democrazie, scrive, si fondano sulla trasmissione di una memoria viva, fatta di conflitti, proteste e conquiste civili. Le destre autoritarie, invece, tentano di smantellarla, colpendo scuole, università e insegnanti: non per un disprezzo della cultura in sé, ma perché la cultura è per natura una pratica egualitaria, aperta, plurale. Distruggere la libertà di insegnare e di interpretare il passato significa preparare il terreno al controllo del futuro.

Con rigore accademico e un linguaggio chiaro, Jason Stanley costruisce un saggio che è insieme analisi e monito, indagine e appello. Ogni pagina risuona come un invito a non cedere alla rassegnazione: la memoria non è un archivio immobile, ma un corpo vivo che si difende solo attraverso la partecipazione e la conoscenza. “Cancellare la storia” è dunque molto più di un libro di filosofia politica: è un atto di resistenza civile, una chiamata alle coscienze in un’epoca in cui la disinformazione e la nostalgia reazionaria si travestono da verità.

Jason Stanley ci ricorda che difendere la storia significa difendere noi stessi. Perché ogni volta che una dittatura riscrive il passato, non cancella soltanto i fatti, cancella le possibilità del futuro. E leggere questo libro oggi è, a tutti gli effetti, un gesto politico.

“Il romanzo inglese del ’900” di Paolo Bertinetti – La nave di Teseo

“Il romanzo inglese del ’900” è un libro che illumina un intero paesaggio culturale, un viaggio attraverso cento anni di narrativa britannica, narrato con la chiarezza e la profondità di uno dei più autorevoli anglisti italiani. Non un semplice manuale, ma una galleria di voci, visioni e rivoluzioni letterarie che hanno definito il Novecento inglese e, con esso, la modernità stessa del romanzo.

Dalle tempeste interiori di Virginia Woolf alla lucidità visionaria di Conrad, dal moralismo inquieto di Greene al disincanto contemporaneo di McEwan, Bertinetti costruisce una mappa completa delle metamorfosi del romanzo inglese. C’è l’eleganza razionale di Huxley, il mistero popolare di Agatha Christie, il lirismo di Banville, la ribellione ironica di Zadie Smith.

Ogni autore viene raccontato non come una figura isolata, ma come parte di un sistema vitale, in continuo dialogo con la società, la politica e la psiche collettiva. Con una scrittura limpida e critica, Bertinetti restituisce al lettore il senso di continuità e rottura che attraversa il secolo, mostrando come la narrativa inglese sia riuscita a fondere introspezione e avventura, realismo e simbolismo, sperimentazione e racconto popolare.

Il cuore del libro sta nel rifiuto di un canone statico. Seguendo l’invito di Ezra Pound: “il solo modo di mantenere la buona letteratura in circolazione consiste nella drastica separazione delle opere maggiori dalla zavorra”, Bertinetti sceglie di concentrarsi su pochi romanzi essenziali per ogni autore, quelli che resistono al tempo e ancora ci interrogano. Il risultato è un atlante letterario che unisce rigore e passione, pensato tanto per lo studioso quanto per il lettore curioso, per chi desidera scoprire non solo quali romanzi leggere, ma perché leggerli oggi.

Con “Il romanzo inglese del ’900”, Paolo Bertinetti offre una chiave d’accesso privilegiata alla narrativa britannica del secolo scorso: un laboratorio di forme, stili e sensibilità che continua a plasmare il nostro immaginario. Un libro che è insieme guida, riflessione e dichiarazione d’amore per la letteratura, capace di restituire al romanzo inglese la sua inesauribile capacità di raccontare l’essere umano in tutte le sue contraddizioni. Bertinetti ci ricorda che la grande narrativa è, da sempre, il modo più profondo di pensare il mondo.

“Un libro di martiri americani di Joyce” Carol Oates -La nave di Teseo.

Ci sono romanzi che non si leggono soltanto: si attraversano come una terra devastata, piena di macerie e di voci. “Un libro di martiri americani” di Joyce Carol Oates è uno di questi: un’opera monumentale che squarcia il ventre dell’America contemporanea per mostrarne il fanatismo, le colpe e le ferite morali. Con la lucidità di una cronista e la sensibilità di una grande romanziera, Oates costruisce un racconto che è insieme tragedia familiare e allegoria nazionale, ritratto del dolore privato e indagine sul male pubblico.

Al centro del romanzo, due uomini: Luther Dunphy, fanatico evangelico convinto di essere un “soldato di Dio”, e Augustus Voorhees, medico abortista mosso dal principio della libertà di scelta. Quando Dunphy uccide Voorhees, Oates non racconta solo un delitto, ma l’atto simbolico di un Paese spaccato, dove religione, politica e identità si confondono fino a generare una guerra invisibile tra “salvezza” e “libertà”.

Attraverso le vite delle due famiglie, e soprattutto delle loro figlie, Naomi, figlia del medico, e Dawn, figlia dell’assassino, il romanzo si trasforma in una meditazione sulla colpa ereditata, sulla vergogna e sulla possibilità di perdonare. Oates esplora come il male non sia mai un assoluto, ma un gesto umano che si propaga nei legami, nei silenzi, nei traumi tramandati di generazione in generazione.

Come in “Blonde” o “Una famiglia americana”, la scrittrice statunitense affronta la materia della violenza non per scandalizzare, ma per comprendere. Con una scrittura corale, quasi documentaria, Oates alterna punti di vista, registri e toni, costruendo un mosaico che riflette la disgregazione morale di un Paese ossessionato dall’idea di purezza e redenzione.

La fede diventa fanatismo, la giustizia si trasforma in vendetta, e la compassione, unica vera forma di libertà, sembra un lusso che pochi possono permettersi. Ma in fondo, il romanzo suggerisce che ogni atto di odio è anche una domanda di amore andata perduta, e che la storia americana è un continuo alternarsi di vittime e carnefici, incapaci di riconoscersi.

“Un libro di martiri americani” è un’opera che sfida il lettore, lo costringe a guardare dove preferirebbe distogliere lo sguardo. Joyce Carol Oates firma una tragedia civile e spirituale che parla di aborto, fede, fanatismo, ma soprattutto di umanità: quella che resiste, ferita e ostinata, anche quando tutto sembra perduto. Leggere questo romanzo significa entrare nel cuore oscuro dell’America e uscirne con la consapevolezza che, ovunque ci sia odio, c’è anche una possibilità di riscatto.

“La peste. Indagine sulla destra in Germania” di Tonia Mastrobuoni – Feltrinelli.

C’è una peste che non si vede, ma serpeggia tra le pieghe della società. Non ha sintomi immediati, ma infetta lentamente la memoria, la fiducia, la convivenza civile. Nel suo libro-inchiesta “La peste. Indagine sulla destra in Germania”, Tonia Mastrobuoni, corrispondente di Repubblica da Berlino, indaga con rigore giornalistico e tensione morale la mutazione genetica dell’estrema destra tedesca, che da movimento marginale si è trasformata in una forza di penetrazione culturale e politica capace di minare le fondamenta della democrazia.

La “peste” descritta da Mastrobuoni non è fatta di slogan o marce nostalgiche, ma di strategie sottili e radicamenti lenti. L’autrice racconta una Germania attraversata da comunità völkisch, da neonazisti che si travestono da ecologisti e pedagoghi, da ex militari che addestrano bambini in campi paramilitari per preparare un “nuovo ordine etnico”.

Non è più il nazismo di piazza, ma un neofascismo di campagna, discreto e metodico, che colonizza scuole, associazioni, municipi, chiese. Attraverso interviste, documenti e anni di inchieste, Mastrobuoni mostra come la radicalizzazione sia entrata nel tessuto quotidiano. La democrazia tedesca, scrive, non è minacciata da un golpe, ma da un’erosione progressiva dei suoi anticorpi morali.

Al centro del libro si staglia l’Alternative für Deutschland (AfD), partito nato come movimento euroscettico e trasformato in un crocevia tra populismo e estremismo neofascista. Mastrobuoni ne ripercorre la parabola: la svolta xenofoba, le derive revisioniste, la normalizzazione del linguaggio dell’odio.

Il dato più inquietante, sottolinea l’autrice, non è tanto la violenza dei suoi margini, quanto la rispettabilità che l’estrema destra ha imparato a costruire, infiltrandosi nei corpi civili e nelle istituzioni locali. Questa “peste” politica non ha bisogno di rovine per diffondersi: le bastano le crepe della disillusione, della paura, del silenzio.

La peste non è solo un libro sulla Germania, ma una lente per leggere il presente europeo. Ogni pagina è un monito: se può accadere in Germania, il Paese che più di ogni altro ha fatto i conti con la propria storia, può accadere ovunque. Mastrobuoni ci mostra come la memoria, quando smette di essere vigilata, possa diventare il primo terreno di conquista per le nuove destre.

Con uno stile limpido e privo di retorica, l’autrice unisce la forza del reportage alla precisione dell’analisi politica, offrendo un quadro inquietante ma necessario: un viaggio nel cuore oscuro della democrazia contemporanea, dove la peste non ha più uniforme, ma conserva la stessa ambizione: rifondare il mondo sulla paura.

“La peste” è un’inchiesta coraggiosa, urgente, che ci costringe a guardare in faccia la malattia morale dell’Europa. Tonia Mastrobuoni racconta una Germania che resiste ma è vulnerabile, e insieme ci chiede di interrogarci: quanto è saldo davvero il nostro sistema immunitario democratico? Non un semplice saggio politico, ma una chiamata alla vigilanza, perché la storia, quando smette di essere ricordata, torna sempre a contagiare.

“Le vie delle guerre” di Andrea Santangelo -il Mulino

Non esiste continente più segnato dalla guerra dell’Europa. Ogni collina, fiume, città o pianura racconta una battaglia, un assedio, una cicatrice lasciata da secoli di conflitti che hanno forgiato la storia e la geografia del mondo moderno. Con “Le vie delle guerre”, Andrea Santangelo, archeologo, storico e divulgatore, ci invita a un viaggio attraverso i luoghi in cui l’Europa ha combattuto e si è reinventata, trasformando le ferite in memoria e la memoria in identità.

Santangelo ci accompagna lungo un itinerario che attraversa venti secoli di guerre, dal Limes romano alle devastazioni della Seconda guerra mondiale. Ogni tappa è un frammento di un’epopea collettiva: le fortificazioni che punteggiano la Pianura Padana e la Fiandra, le rocche medievali italiane, i bastioni dell’Ancien Régime, le trincee della Grande Guerra, i crateri lasciati dai bombardamenti aerei del Novecento.

Il libro è un atlante del conflitto, ma anche un racconto di come la guerra abbia modellato l’ambiente, l’architettura e persino la mentalità europea. Ogni muro, ogni torre, ogni rovina diventa una testimonianza concreta di quella tensione costante tra distruzione e rinascita che ha definito il destino del continente.

Con uno stile chiaro e avvincente, Santangelo restituisce la guerra non solo come evento militare, ma come fenomeno culturale e umano. L’Europa, suggerisce, è il continente che ha conosciuto la guerra più di ogni altro, e proprio per questo ha saputo generare anche la pace più lunga della storia moderna.

Dietro ogni confine, dietro ogni fortificazione, si nasconde un paradosso: la paura del nemico ha spesso costruito le fondamenta della civiltà. Ecco allora che il libro diventa anche una riflessione sulla memoria: ricordare non significa glorificare, ma capire la fatica della pace. Oggi, dopo ottant’anni di tregua apparente, l’autore ci invita a non dimenticare che la guerra è un’eredità sempre pronta a risvegliarsi.

“Le vie delle guerre” è un saggio che si legge come un viaggio nel tempo e nello spazio, tra paesaggi e rovine, mappe e ricordi. Andrea Santangelo riesce a intrecciare rigore storico e capacità narrativa, guidando il lettore alla scoperta di un’Europa ferita ma ancora viva, capace di interrogarsi sul proprio passato per comprendere il presente. Un libro prezioso per chi ama la storia, ma soprattutto per chi crede che la memoria, come una mappa, serva a non smarrire la strada della pace.

“Melania G. Mazzucco. Scrittura e impegno” di Maria Luisa Sais, -Franco Cesati Editore.

In un panorama letterario che troppo spesso dimentica la funzione civile della scrittura, Melania G. Mazzucco rappresenta una voce rara, capace di unire la forza della narrazione all’urgenza dell’impegno. Il saggio di Maria Luisa Sais, Melania G. Mazzucco. “Scrittura e impegno”, esplora con rigore critico e profonda sensibilità il percorso di una delle più importanti scrittrici italiane contemporanee, offrendo al lettore una mappa lucida e appassionata della sua produzione narrativa.

Dalla condizione femminile alla memoria collettiva, dall’arte alla guerra, dall’emarginazione all’identità, l’opera di Mazzucco attraversa le zone più complesse del nostro presente, restituendone la profondità umana attraverso storie di coraggio, perdita e rinascita.

Maria Luisa Sais legge questa scrittura come un gesto di responsabilità, un modo per dare voce a chi la società tende a cancellare: le donne, i migranti, i fragili, i dimenticati.

L’autrice del saggio ricostruisce con attenzione il filo rosso che lega i romanzi di Mazzucco: da “Vita a Un giorno perfetto”, da “Lei così amata” a “L’architettrice”, mostrando come ogni opera sia un tassello di un progetto coerente, fondato su una continua tensione etica e conoscitiva.

Non si tratta solo di letteratura “al femminile” o “sociale”, ma di una scrittura che interroga la realtà per trasformarla. Sais adotta come categoria critica proprio l’impegno, ma lo declina in modo ampio e contemporaneo: l’impegno non come militanza, bensì come atto di empatia, come ricerca di verità attraverso la forma narrativa.

La Mazzucco che emerge da queste pagine è un’intellettuale totale, una narratrice che usa la parola come strumento di conoscenza e di giustizia. Il volume evidenzia anche il valore di una prosa che coniuga documentazione e invenzione, linguaggio e storia, fino a trasformare la pagina scritta in un luogo di resistenza morale.

Con “Melania G. Mazzucco. Scrittura e impegno”, Maria Luisa Sais colma un vuoto nella critica letteraria italiana, offrendo uno studio rigoroso e necessario su una scrittrice che ha saputo dare forma al nostro tempo con intelligenza, compassione e coraggio. Questo libro non è solo un saggio accademico, ma un atto d’amore verso la letteratura come pratica etica, e verso un’autrice che continua a ricordarci che scrivere significa, prima di tutto, assumersi la responsabilità di guardare il mondo.

“Non è colpa dello specchio se le facce sono storte”. Diario di un filorusso di Paolo Nori – UTET.

Paolo Nori nel suo nuovo libro, “Non è colpa dello specchio se le facce sono storte”. Diario di un filorusso, lo scrittore e slavista emiliano ripercorre una delle vicende più emblematiche del nostro tempo, quella che lo vide, nel marzo 2022, vittima di una censura tanto paradossale quanto rivelatrice: la cancellazione di un ciclo di lezioni su Dostoevskij, in pieno clima di sospetto verso tutto ciò che fosse “russo”.

Nori parte da quell’episodio, divenuto simbolo della confusione morale e culturale che accompagna ogni guerra, per costruire una riflessione sull’identità, la libertà e la responsabilità della letteratura. Lo fa con il suo stile unico: ironico, doloroso, malinconicamente comico.

Nel raccontare la propria vicenda, Nori smonta con delicatezza e precisione la logica binaria che divide il mondo in buoni e cattivi, ricordandoci che un popolo non coincide con il suo governo, una lingua non coincide con la propaganda, un romanzo non coincide con un’ideologia. La citazione di Gogol’ che dà il titolo al libro “Non è colpa dello specchio se le facce sono storte” diventa una chiave di lettura per il presente: la colpa non è della realtà, ma dello sguardo che la distorce.

In queste pagine, l’autore intreccia ricordi personali, riflessioni letterarie e lampi di umanità, come solo lui sa fare. Ritornano i suoi maestri russi: Dostoevskij, Tolstoj, Gogol’, Bulgakov, ma non come statue, bensì come presenze vive, capaci di illuminare le contraddizioni del nostro tempo.

Nori è un lettore appassionato e un narratore fuori dagli schemi, capace di passare dal sarcasmo all’emozione più pura in poche righe, mantenendo sempre la convinzione che la letteratura sia un luogo di libertà assoluta. E proprio questa libertà lo rende, paradossalmente, uno scrittore censurato in due Paesi: in Italia, per aver “difeso” Dostoevskij; in Russia, per non aver accettato di chiamare la guerra “operazione speciale”. Una condizione che Nori racconta con disincanto e intelligenza, come se la censura fosse soltanto un altro modo per confermare che la parola, quando è vera, fa paura.

“Non è colpa dello specchio se le facce sono storte” è molto più di un diario: è un atto di fiducia nella letteratura e nella capacità dell’uomo di pensare con la propria testa, anche quando tutto lo invita a smettere.

Paolo Nori ci ricorda che la libertà non è mai neutra, e che scrivere, o leggere, può ancora essere un gesto di resistenza. Un libro necessario, ironico e dolente, che parla della Russia ma, in realtà, parla di noi: del nostro modo di giudicare, di avere paura, e del bisogno, oggi urgente, di imparare di nuovo a guardarci allo specchio.

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