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Romana Petri, ”Con il mio ultimo libro torno a vivere l’avventura dello Strega”

Gli uomini non sono affatto semplici. Sembrano voler mettere tutto da parte, dimenticare, ma in verità sono spesso capaci di riconoscere la felicità che nasce dalle sorgenti immemoriali del cuore. Sono parole di Romana Petri, che nel suo ultimo libro, ''Figli dello stesso padre'', candidato al Premio Strega di quest'anno, ha esplorato a fondo il mondo dei sentimenti maschile...
La scrittrice ci parla del suo romanzo, “Figli dello stesso padre, candidato al Premio Strega di quest’anno

MILANO – Gli uomini non sono affatto semplici. Sembrano voler mettere tutto da parte, dimenticare, ma in verità sono spesso capaci di riconoscere la felicità che nasce  dalle sorgenti immemoriali del cuore. Sono parole di Romana Petri, che nel suo ultimo libro, “Figli dello stesso padre”, candidato al Premio Strega di quest’anno, ha esplorato a fondo il mondo dei sentimenti maschile. Il romanzo racconta la storia di Germano ed Emilio, fratelli da parte di padre ma figli di madri diverse. I due sono diversissimi, ma accomunati dall’amore insoddisfatto per il padre Giovanni, figura passionale ed egocentrica che ha abbandonato la madre di Germano perché la sua nuova donna aspettava un figlio, Emilio, per poi abbandonare poco dopo anche lei. Germano, pur essendo sempre stato il preferito del padre, non ha mai perdonato al fratello piccolo di essere la causa del divorzio dei genitori. Emilio invece, cresciuto sapendo di essere il figlio non voluto, ha sempre cercato, invano, l’affetto del padre e del fratello.

Com’è nata l’idea di “Figli dello stesso padre”?

Mi risuonava nella testa da un bel po’ di tempo. I libri sono molto bizzarri, a volte vogliono essere scritti subito, altre lasciano molto tempo a disposizione anche quando hanno già chiamato. C’è un po’  d’esperienza di vita in questo libro, ma molto rimanipolata. Del resto, qualsiasi opera narrativa che nasce dalla vita personale è una specie di sottrazione, perché alla fine quello che viene  fuori è solo l’opera narrativa in sé, e direi quasi completamente liberata di quel po’ di vita che le si era insinuata dentro.

Come è riuscita a esplorare e trovare le parole per descrivere il complicato rapporto di due uomini con loro padre, le rivalità tra i due per conquistarsi il suo amore e la sua presenza e la relazione tra loro come fratelli?  È stato difficile calarsi nella psicologia e nel mondo sentimentale di personaggi maschili?
Ho avuto la fortuna di avere un padre che mi ha fatto amare molto gli uomini e nei panni degli uomini non è la prima volta che mi  calo. È divertente essere “l’altro”, è un mondo che si scopre  con autentico piacere. Gli uomini non sono affatto degli essere semplici, come molto spesso sentiamo dire, sono solo individui che apparentemente recriminano meno, ma lo fanno dentro la loro anima e in modo talmente elaborato che spesso sembra non venire nemmeno fuori. Pare  mettano sempre tutto da parte, che vogliano addirittura dimenticare. Alla fine, invece, sono spesso  capaci di riconoscere la felicità che nasce  dalle sorgenti immemoriali del cuore.
 
In quale dei due fratelli, Germano ed Emilio, è stato più facile identificarsi?

Ho amato entrambi questi due ragazzini (poi uomini fatti) con lo stesso affetto. Chi scrive si deve  identificare con tutti i suoi personaggi, proprio come un attore. La differenza è che in genere gli attori interpretano un ruolo per volta. Gli scrittori, invece,  in modo un po’ più schizofrenico, devono identificarsi con una grande moltitudine. Sono stata  a mano a mano ognuno di loro due, quando scrivevo di Emilio ero lui, quando scrivevo di Germano Emilio diventava il mio problema. Ho provato le loro rabbie, ho subito il  loro stesso  difficile destino. Ho amato, di entrambi, il loro sano ribellarsi al dolore.
 
È un’emozione figurare tra i dodici nomi che concorrono per il Premio Strega? Se lo aspettava?
Sono molto lieta di partecipare al Premio Strega, è un’avventura che ho già sperimentato 15 anni fa con il romanzo “Alle Case Venie”. Però la prendo in modo molto sportivo. Le occasioni della vita non sono sempre di questo genere, voglio dire che qui, nel premio, male che vada non succede nulla. E nulla significa niente di pericoloso. È già qualcosa non correre pericoli. Se invece va bene…  Beh, questo è un premio che può fare molto per uno scrittore. Inutile negarlo. Sono comunque molto grata alla casa editrice Longanesi che ha creduto nel romanzo e  ha voluto darmi questa bella opportunità.

Cosa pensa riguardo alle polemiche sull’eccessivo peso che certe case editrici eserciterebbero nell’assegnazione del Premio?
È  una polemica ormai molto antica.  Sono i fatti che parlano da soli. Però le cose possono sempre cambiare, e non per restare com’erano come si dice nel Gattopardo.  Del resto, nell’anno in cui un Papa si dimette, può accadere proprio di tutto.

Su dodici concorrenti solo tre sono donne: è un caso oppure le autrici non godono di altrettanta considerazione rispetto ai loro colleghi uomini?
Io andrei ancora più indietro. Su 67 premi Strega le donne hanno vinto solo una decina di volte. Una percentuale bassissima. L’Italia è un Paese un po’ indietro su questo fronte, qui si fa fatica in ogni campo. Non so quanto, per esempio, negli altri paesi  si parli di “letteratura al femminile” come qui da noi. Sarebbe ora di farla finita, non crede?  Oppure di tornare a molto tempo fa. Se lo immagina cosa avrebbe potuto rispondere , che so, un’Elsa Morante, all’idea di “letteratura al femminile”? Mi vengono i brividi solo a pensarci.

1 maggio 2013

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