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Ricordare le fiabe di Andersen visitando il museo di Odense

A trentโ€™anni di distanza da quegli intimi momenti della mia fanciullezza, mi sono recata nella deliziosa Odense, la cittร  natale di Andersen, sita a breve distanza da Copenhagen, nella quale, oggi, vivo...

“Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere’.

 Gilbert Keith Chesterton

 

 “Cosa ti preparo per pranzo?”.

Riso al tonno”.

Il rumore delle stoviglie che proviene dalla cucina è una melodia meravigliosa, così rassicurante, così consueta, quasi una ninna nanna.

L’acqua, che bolle sulla pentola, appanna delicatamente la cappa di una cucina in stile anni ’50, dalle linee semplici, le cui venature sul legno svelano infiniti toni di marrone.

Il tonno spezzettato in mille minuscoli pezzi.

I quattro tipi di formaggio disposti accanto alla grattugia elettrica.

Il riso mi piace con una crema che diventa rosata per via del colore pesce che viene, meticolosamente, mischiato ai prodotti caseari locali.

Mio zio si spazientisce e borbotta fra sé: “Non si può far decidere ad una bambina di tre anni il menù per il pranzo, soprattutto se si sa che la risposta è sempre la medesima”, e soprattutto se lui il riso lo odia, aggiungo.

Ma io sono la principessa del Nonno, il quale, intanto che cucina su mia commissione, dispone i cuscini sulla sedia, affinché io possa desinare come posta su un trono.

Eccomi, assisa e felice, mentre sfoglio il librodi fiabe che mi è stato donato. Un regalo dello zio che, gusti gastronomici a parte, vuole bene a questa bimba vestita di rosa e sempre con un fiore di stoffa fra i boccoli scomposti, viranti al biondo dorato.

 

La voce del Nonno, intento nella lettura, la avevo registrata nella mente in ogni sfumatura e inflessione, nel corso dei mesi. Evidentemente chiedevo che mi venisse narrata con la stessa frequenza con la quale optavo per il riso al tonno. Quindi, pur non sapendo ancora decifrare le lettere, ero in grado di ripetere a memoria ogni parola della fiaba, perdendomi nei colori e nei tratti decisi delle illustrazioni.

Appaiono nella mia mente, ancora oggi, distintamente, il soldatino di stagno e la ballerina di carta, creature della magia letteraria, impregnata di malinconia, di Hans Christian Andersen.

La giacca color porpora, i pantaloni blu scuro, l’importante copricapo nero ornato di piume. Una gamba sola.

Le braccia, protese in un arco, guizzanti sopra il capo di capelli biondi raccolti in trecce, la gonna ampia. Un unico piede, sulla punta, che reggeva l’esile figura di carta in elegante equilibrio.

La fiaba narra un amore che cresce fra le peripezie, per finire nel fuoco, nella fusione dei protagonisti nella grigia cenere di un camino.

Essere, finalmente, una cosa sola, congiunti in un nulla solo apparente, che è preludio dell’eternità e emblema di risurrezione.

 

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco
”.

Cantico dei Cantici, 8,6.

 

A trent’anni di distanza da quegli intimi momenti della mia fanciullezza, mi sono recata nella deliziosa Odense, la città natale di Andersen, sita a breve distanza da Copenhagen, nella quale, oggi, vivo.

Dal 1908 la casa del celebre scrittore danese è inclusa in uno spazio museale di estrema e coinvolgente bellezza, dove la dinoccolata sagoma dell’autore ottocentesco accompagna i visitatori in un itinerario che immette in un’epoca lontana, popolata da oggetti e mobili, forieri di memoria; da itinerari di viaggio; da geniali illustrazioni; da statue imponenti e da marionette di legno consunto. Il tutto intriso del dolce sapore del mistero, insondabile come il più recondito dei fondi marini, il cui fascino è, indiscutibilmente, il dono più prezioso che ogni fiaba sa regalare.

 

Nella vita corre un invisibile filo”.

H. C. Andersen, La fiaba della mia vita.

 

Emma Fenu

2 settembre 2014

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