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Riccardo Angiolani, ”Nel mio libro voglio far emergere il senso di precarietà dell’esistenza”

Un'esistenza senza certezze, in cui mancano punti fermi ed è impossibile, anche in una città solitamente tranquilla, rintracciare il confine tra il bene e il male. Ciò è quanto emerge dalle pagine di ''Sotto il cielo di Hale-Bopp'', il nuovo romanzo di Riccardo Angiolani. Il cantante, scrittore e giornalista di Vogue ci racconta com’è nato il suo libro e commenta la situazione storica attuale...

 Il giornalista di Vogue ci presenta "Sotto il cielo di Hale Bopp, la sua ultima fatica letteraria

 

MILANO – Un’esistenza in cui mancano certezze, senza punti fermi, in cui è impossibile, anche in una città solitamente tranquilla, rintracciare il confine tra il bene e il male. E’ la realta descritta e contenuta all’interno delle pagine di ”Sotto il cielo di Hale-Bopp”, il nuovo romanzo di Riccardo Angiolani. Il cantante, scrittore e giornalista di Vogue ci racconta com’è nato il suo libro e commenta la situazione storica attuale.

 

Cosa l’ha spinta a scrivere questo romanzo?
L’input, almeno in principio, è stato il puro divertimento, ma, se si vuole, anche la sfida di ambientare una vicenda così “cattiva” in una serena città di provincia quale appare Ancona: tranquilla, lavoratrice, benestante; una città in cui si può uscire a qualsiasi ora del giorno e della notte – uomo o donna, bambino o anziano – senza pericolo di imbattersi in chissà quali mostri; una città in cui, se accade uno scippo, la notizia finisce sulle prime pagine dei quotidiani locali. Almeno questo è come si mostra la città a un primo colpo d’occhio. Perché poi, andando a scavare, si scopre che, sotto questa superficie piatta come il mare d’agosto, s’invorticano mulinelli capaci di inghiottire intere vite. Così è in “Sotto il cielo di Hale-Bopp”: una storia rocambolesca e violenta, narrata con una scrittura veloce che spesso si è trovata a inseguire i personaggi.

 

Quale messaggio o emozione vuole che arrivi al lettore?
Il senso della precarietà. Molto spesso, nelle storie che leggiamo o che guardiamo al cinema o alla tv, i personaggi si dividono in buoni e cattivi, coraggiosi e vigliacchi, generosi ed egoisti, e così via. In ogni caso, il lettore ha dei punti fermi, si sente rassicurato, distingue il giusto dall’ingiusto. Ecco, è proprio questo che nel mio romanzo viene a mancare: non c’è più il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e il punto di vista si relativizza, schiacciandosi sulla visione e le ragioni del qui, ora, io. La soggettività, con tutti i suoi limiti, le sue incertezze, ma anche la sua umana verità di vita quotidiana, diviene il punto di vista privilegiato della narrazione, così che uno stessa azione può sembrare la cosa più ovvia da fare, per chi la fa, ma l’ingiustizia più crudele per chi la subisce. E questa è la vita. Nessuna certezza. A far crescere questo senso di disagio, la scelta di una narrazione che non si dipana seguendo l’ordine cronologico degli eventi: il tempo viene smontato e rimontato seguendo le vicende personali dei tanti personaggi, storie “minimali” che, intersecandosi, portano avanti, ognuna dal proprio ristretto punto di vista, la vicenda principale. Ecco allora che il finale del romanzo non si trova nell’ultima pagina, ma quasi al centro della storia. Per cui la domanda che il lettore si porrà non è più il solito: “Come andrà a finire?”; bensì: “Perche accade ciò che accade? Perché si è finiti dove siamo finiti?”.

 

Il suo libro è ambientato ad Ancona, negli anni 90. Quanto c’è di biografico in questa sua opera? Si tratta di pura fiction e tuttavia, inevitabilmente, c’è dentro molto delle persone che conosco, molto di me e delle mie esperienze, molto della vita anconetana. Ma nulla è immediatamente riconoscibile, nel senso che nessun personaggio o accadimento è in scala 1:1 con la realtà da me vissuta. Gli unici dati oggettivi sono i riferimenti storici, meteo e il passaggio della cometa Hale-Bopp: tutti elementi che collocano la vicenda in un preciso anno, il 1997. La storia, poi, si svolge nell’arco di circa ventiquattro ore, a cavallo tra il 20 e 21 marzo; ma ci sono alcuni flashback che recuperano accadimenti avvenuti vent’anni prima.

 

Qual è secondo lei il segreto per scrivere un best seller?
La formula magica per scrivere un best seller non la conosco. E, tolti forse alcuni ovvi ingredienti fondamentali, credo che poi molto dipenda dal periodo storico, dalle mode, o, per dirla con un parolone, dallo Zeitgeist, lo spirito del Tempo di Hegel. Per questo al best seller ho sempre preferito il long seller, capace di cogliere lo spirito dell’Uomo, di raccontare le sue più profonde pulsioni. Libri che superano il tempo e che, non di rado, nel “proprio” tempo non sono stati best seller, perché troppo avanti o, forse, non abbastanza allineati al sentire comune. In termini più strettamente commerciali, non vendono moltissimo subito, né vendono moltissimo mai, ma vendono sempre, sono degli evergreen e, a conti fatti, nella somma totale, pur non apparendo in alcuna classifica che duri lo spazio di una settimana, vendono una quota tale di copie da superare alla distanza le vendite del best seller. Ed è proprio così che restano nella storia, anzi, la fanno.

 

Dalla fiction alla realtà: come vede la fase storica attuale dell’Italia?
Non sono mai stato un nostalgico, non mai ho guardato al passato come all’Eden e all’oggi come agli inferi. Insomma, non ho una visione della storia come una caduta. Al tempo stesso, però, non ho neppure una visione del futuro come inarrestabile progresso dell’Uomo (nel senso che il progresso tecnologico non coincide con quello culturale). Ho una visione più caotica della Storia, con momenti in cui si fanno enormi balzi in avanti e altri in cui si precipita nella più totale oscurità. Basta guardare al Novecento per capire che l’uomo moderno può essere cupo e violento come Torquemada. Ma per tornare all’oggi e all’Italia, direi che stiamo scivolando, o forse ruzzolando, giù per una lunga curva discendente della Storia. Ma voglio essere ottimista, e affidarmi all’idea della “Renovatio” di Savonarola: nessun millenarismo, ma il raggiungimento del fondo sarà l’occasione per un rinnovamento antropologico della società; non solo italiana, ma, mi auguro, su più larga scala.

 

21 giugno 2012

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