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Remo Bassini, una passione per la scrittura divisa tra giornalismo, letteratura e politica

Inauguro questo nuovo blog intervistando Remo Bassini, classe 1956, di Cortona. Giornalista freelance, vive a Vercelli. Ha collaborato con L'Indipendente (direzione Vimercati)...

Inauguro questo nuovo blog intervistando Remo Bassini, classe 1956, di Cortona. Giornalista freelance, vive a Vercelli. Ha collaborato con L’Indipendente (direzione Vimercati) e firmato pezzi, per lo più di cultura, su Il Corriere Nazionale e su Il Fatto quotidiano. Per quasi nove anni, dall’aprile 2005 al febbraio 2014, ha diretto la testata storica della città di Vercelli, La Sesia. Scrive in due blog, uno personale e uno sulla piattaforma de Il Fatto quotidiano.

Bassini è anche scrittore. È infatti autore delle seguenti opere letterarie: Il quaderno delle voci rubate (La Sesia, 2002), Dicono di Clelia (Mursia, 2006), Lo scommettitore (Fernandel, 2006) – un giallo politico che fu il libro del mese di Fahrenheit nel luglio 2006 e finalista del libro dell’anno Fahrenheit 2006 −  La donna che parlava con i morti (Newton Compton, 2007), Tamarri (Historica, 2008), Bastardo Posto (Perdisa Pop, 2010), Il monastero della risaia (SenzaPatria, 2010), Vicolo del precipizio (Perdisa Pop, 2011).

Ciao, Remo. Le domande che si possono fare a uno scrittore sono in fondo sempre le stesse: perché scrive, com’è nata la sua vocazione, cosa sta scrivendo. Sono queste, poi, le cose che vogliono sapere i lettori, per entrare un po’ in confidenza con lo scrittore, per sentirlo più vicino, uno che quasi si conosce. E quindi ti tocca la domanda sul percorso che ti ha portato a scrivere il tuo primo libro e poi a perseverare e a scriverne diversi altri.
Ho scritto per anni e per anni ho distrutto quello che scrivevo. Rileggevo e non mi piaceva. Non mi pento di aver gettato via tutto o quasi (ho solo tenuto, più per ricordo che altro, due capitoli che scrissi quando, a vent’anni, avevo lasciato l’università per la fabbrica e soffrivo di epilessia).
Il primo vero libro si intitola Il quaderno delle voci rubate, iniziai a scriverlo a trentotto anni. Era una sera di mal di denti. Uscivo tutte le sere, allora, almeno per una passeggiata. Mi piace camminare da solo, sentire il rumore dei miei passi. Comunque, quella sera decisi di stare in casa e di scrivere una storia. Presi un bloc notes e pensai: tanto poi finisce come le altre volte, getterò via.
Insomma, riuscii a scrivere stupendomi, grazie a un’indicazione perentoria. Dissi a me stesso: raccontami una storia. Per la prima volta riuscii a scrivere, stupendomi. Non gettai via quando, settimane dopo, rilessi. Perché mi sembrava che quelle pagine le avesse scritte un altro.

Molto interessante l’affermazione che per scrivere senza gettar via hai dovuto quasi distaccarti dal materiale narrativo, considerarlo quasi scritto da un altro, sdoppiandoti in lettore di te stesso. Forse, con minor consapevolezza, lo facciamo tutti.
Hai debiti di gratitudine verso qualcuno, per la tua attività letteraria? Un editore, un editor, un amico che ti ha incoraggiato, qualcuno che ti ha aiutato a crederci?
Il quaderno delle voci rubate lo diedi da leggere a una scrittrice ed editor, che conoscevo di vista e che ora è una mia grande amica, Laura Bosio. Quando le inviai il manoscritto le scrissi: merita di essere pubblicato o devo gettarlo nel cassonetto dell’immondizia? Mi rispose dopo mesi, entusiasta. Mi diede anche dei consigli preziosi. Poi scrissi Dicono di Clelia, e chiesi a una scrittrice ed editor che non conoscevo affatto, Alessandra Buschi, di leggerlo. Mi commosse Alessandra. Propose quel manoscritto a tutti gli editori che conosceva. Addirittura, parlò di me e del mio libro il giorno del suo matrimonio. Laura Bosio e Alessandra Buschi: due donne insomma che mi incoraggiarono a scrivere. Quando ti dicono che sei bravo, e tu sai che non è il solito complimento di parenti o amici, scrivi meglio. Ti senti più sicuro.

Ti senti più giornalista o più scrittore? E pensi che saresti diventato un blogger se avessi fatto l’insegnante o il bancario?
Mi sento scrittore, ma ora che ho lasciato il giornalismo provo nostalgia per questo mestiere che ho fatto per ventotto anni.
No, avessi fatto altro (non mi ci vedo in banca; insegnare, invece, è stato il mio sogno) non sarei stato un blogger. Sono sincero: aprii un blog per fare un po’ di pubblicità ai miei libri. Poi successe che mi appassionai anche al blog.
 
Un percorso che ho fatto anch’io, dal blog  per farmi una pubblicità che le piccole case editrici non sono in grado di fare alla passione per questo mezzo di comunicazione semplice e libero.
Questo è per te un periodo di grandi cambiamenti, di progetti impegnativi. Vuoi parlarne?
Ho lasciato il giornalismo, per una pausa che non so quanto durerà. Sono infatti candidato sindaco di due liste, a Vercelli. Una lista, che si ispira a Tsipras, si chiama Sinistra per Bassini, l’altra, che è civica, trasversale, un po’ liberale e un po’ anarchica, si chiama Voce Libera. Si tratta di una parentesi di vita che non so dove mi porterà. Di sicuro non diventerò un politico di professione, di sicuro voglio tornare, dopo il 25 maggio quando si volterà, a leggere e scrivere. Ora sto studiando bilanci e scrivo il programma.
Aggiungo questo. Ho una grande forza: non ho ambizioni. Per me la politica è servizio, è passione. Non è mediare, non è dire bugie. Il mio motto è ‘Preferisco un sogno’.

La tua attività letteraria risente di questo fervore di altre attività? Stai scrivendo qualcosa o l’intensità del quotidiano non si concilia con la scrittura?
Per la prima volta in vita mia la scrittura non si concilia, purtroppo.
È anche un momento no. Dopo aver visto pubblicati sette romanzi, sono anni che c’è poco feeling tra me e l’editoria. Ho mandato a destra e manca quattro miei lavori: nessuna risposta. Oddio, se gli editori non mi pubblicano più mica mi spavento: continuo a scrivere lo stesso.

Conosco la trafila e posso solo incoraggiarti a non demordere. Grazie, Remo, e in bocca al lupo per tutto.
Grazie a te e a tutti quelli che passeranno di qua.

29 marzo 2014

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