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Light in August, il ritorno al pragmatismo americano di William Faulkner

La maggior parte dei lettori di Faulkner – più o meno appassionati di esso che siano – concordano su un fatto: Light in August è il romanzo meno sperimentale, più lineare e più facilmente assimilabile dell'intera bibliografia dello scrittore americano...

La maggior parte dei lettori di Faulkner – più o meno appassionati di esso che siano – concordano su un fatto: Light in August è il romanzo meno sperimentale, più lineare e più facilmente assimilabile dell’intera bibliografia dello scrittore americano.

La storia principia col personaggio di Lena, giovane ragazza incinta che, partendo dall’Alabama, giunge sino alla cittadina di Jefferson (Mississippi) per cercare il compagno fuggitivo. Lì conoscerà Byron Bunch, operaio petulante ma buono, che si innamorerà di lei. Si intrecciano le vicende del misterioso Joe Christmas, del reverendo Hightower e di Mrs. Burden. L’utilizzo del flusso di coscienza, tecnica narrativa che caratterizza The Sound and the Fury e As I Lay Dying, è in questo romanzo praticamente accantonato.

Faulkner evita inoltre i paragrafi interminabili, il massiccio impiego di aggettivi (si ricordi il suo giudizio sullo stile di Hemingway: “Non risulta aver mai utilizzato una parola che costringesse il lettore a consultare un vocabolario”). Attraverso questo ritorno al pragmatismo americano, che lo accosta parzialmente allo stesso Hemingway, Faulkner cesella un racconto caleidoscopico per quanto concerne le tematiche. Ciò che maggiormente emerge dall’autore è la sua prodigiosa attitudine a modificare incessantemente il nucleo del romanzo: i sentimenti che affiorano dalle pagine si evolvono in un perenne vortice. Ci lascia trasportare da flusso delle parole, in un climax ascendente di interesse per le vicende che si tessono, pagina dopo pagina. Così si dipanano gli avvenimenti, talvolta avvolti da un misticismo biblico (l’infanzia di Christmas), talvolta raccontati attraverso il filtro delle voci confuse e maligne degli abitanti di Jefferson (le dicerie sul suicidio della moglie del reverendo).

È il romanzo degli eterni esuli Light in August. È il disegno armonioso di misture di sofferenza apolidi che si incontrino in una coordinata determinata dello spaziotempo – forse per una ragione metafisica, forse casualmente: ma che importanza ha? –, e quando ciò avviene, l’umanità può solo assistere alla risoluzione di problemi atavici (la mancanza di vita nei genitori che diviene morte per il figlio: eredità freudiana) o, al minimo, arcaici (la parentesi storica della guerra di Secessione). E il violento emblema di questa risoluzione è l’incendio della casa, cui la popolazione di Jefferson presenzia attonita e impotente. È il fuoco che divora insaziabilmente le ombre sinistre e irregolari del passato: di lì in poi le ultime scintille della sofferenza provata dai protagonisti confluiranno nel finale, fragile ed elegiaco come un velo che idealmente si posi sul monumentale intreccio di eventi precedenti.

Il romanzo si chiude ciclicamente: con il personaggio di Lena Grove, inconsueta voce che tutto percepisce ma nulla giudica, spettatrice impotente della vita, noncurante osservatrice delle più gravi tragedie e delle più alte meraviglie del mondo. Light in August si spegne in uno squarcio di luce, emanando un timido ottimismo, quello scaturito dalle parole ingenue e vagamente infantili di Lena: “Gran Dio, gran Dio! Se ne può fare di strada, a questo mondo! Sarà neanche due mesi che siamo partiti dall’Alabama, ed eccoci già nel Tennessee!”.

Raffaele Indri

23 febbraio 2014

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