Pubblichiamo la recensione di Mimmo Mastrangelo per la capacità di mettere in risalto gli autorevoli concetti artistici dell’autore del saggio
Passa per l’acerrimo denigratore dell’arte contemporanea. Ma Vittorio Sgarbi all’addebito non si scompone: da oltre quarant’anni, pur manifestando interesse prevalentemente per l’ arte antica, non smette di occuparsi della produzione artistica più recente. Lo dice (e lo scrive) ne “L’arte è contemporanea”, ultimo suo breve saggio uscito nella collana dei Grandi Passaggi della Bompiani.
E per entrare subito nel merito del titolo del pamphlet, il critico e storico ferrarese espone una tesi fortemente persuasiva: l’arte tutta è sempre contemporanea in quanto il contemporaneo è una cifra cronologica e non ideologica. Per Sgarbi la contemporaneità la si può sì riconoscere in un’opera che si fa lingua di una ricerca o sperimentazione innovativa, ma è rintracciabile anche in Mantenga e Piero Della Francesca, giacché nelle opere di questi due grandi artisti del passato è possibile specchiare “ciò che è esistito e continua ancora oggi a vivere”. E al cospetto di quanto venga divulgato o si voglia far credere, secondo il critico dalla favella pirotecnica ogni opera si riconosce per una sua specifica identità e natura, “ogni opera d’arte è, e basta, così come la bellezza è. “L’arte – scrive – non ha bisogno di specialisti per essere capita”.
E se tutti siamo legittimati e capaci a dare una lettura di un quadro o di una scultura, se è più facile interpretare un’opera di Kounellis, Pollock o Manzoni rispetto ad un affresco di Michelangelo in quanto quest’ultimo richiede in più una conoscenza storica e letteraria, Sgarbi – per dare ulteriore accredito al suo concetto di contemporaneo – non si risparmia nel biasimare chi fa dell’arte contemporanea non una libera ricerca estetica, ma merce da spremere, per massimizzare i profitti che girano intorno a gallerie, collezionisti e grandi mostre allestite con tanto di spreco di denaro pubblico. E sferra colpi bassi contro quel sistema “mafioso” che porta dentro di sé enormi contraddizioni e, soprattutto, opera con discriminazione, osannando comunicatori (e, quindi, non-artisti) come i Cattelan e i Koons e lasciando nell’anonimato artisti-artisti che meriterebbero più riconoscimento e notorietà come i pittori Paolo Giorgi, Roberto Ferri, Lino Frongia o gli scultori Giuseppe Bergomi, Livio Scarpella o Giuseppe Ducrot.
Ma ritornando al titolo e all’idea portante del libello, Sgarbi ammette che analizzando il contemporaneo passato e presente non si fanno antitetici , diventano elementi di complemento dentro un unico discorrere per cui non si può stabilire che un’artista è più attuale di un altro, “uno è più contemporaneo di un altro. L’arte contemporanea – sentenzia il critico – è in divenire, quindi non ce n’è una , non ce n’è un aspetto soltanto. Il contemporaneo è infinitamente esteso”.
Venduto nelle librerie con due diverse copertine di cui una riporta un’opera di Gaetano Pesce e l’altra di Antonio Lòpez Garcìa – il piccolo saggio si chiude con una conversazione tra Sgarbi e il massimo estetologo italiano vivente, l’ultracentenario Gillo Dorfles, il quale con ferma lucidità sostiene che oggi i pittori sono quasi del tutto scomparsi e gli artisti che passavano per avanguardisti a trent’anni col tempo, non avendo saputo imprimere alla loro arte altri elementi di novità , sono diventati la peggior retroguardia. Insomma, Dorfles sembra confermare lo Sgarbi-pensiero sull’arte contemporanea al quale viene incontro pure l’ ultimo saggio del grande storico e critico di fama mondiale Jean Clair… Un interrogativo: vuoi vedere che in futuro il critico d’arte che è passato nel peggior nemico dell’arte contemporanea ne diverrà massimo referente e voce?
25 agosto 2012