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La banda Sacco, il nuovo di capolavoro Andrea Camilleri, un caso politico oltre che giudiziario

La memoria «Penso che il caso sia unico nella storia giudiziaria italiana pur così pesante di capitoli sciagurati» (Umberto Terracini). Questa storia, un caso politico oltre che giudiziario, come dice Camilleri è assolutamente autentica e l’ha potuta scrivere solo perché Giovanni Sacco, uno dei sei figli di Girolamo, l’ha invitato a raccontare le vicende della sua famiglia fornendogli documenti ufficiali, familiari e atti del processo...

Pubblichiamo la recensione di Arcangela Cammalleri per l’attenta analisi dell’ultimo capolavoro del maestro del giallo italiano


La memoria «Penso che il caso sia unico nella storia giudiziaria italiana pur così pesante di capitoli sciagurati» (Umberto Terracini). Questa storia, un caso politico oltre che giudiziario, come dice Camilleri è assolutamente autentica e l’ha potuta scrivere solo perché Giovanni Sacco, uno dei sei figli di Girolamo, l’ha invitato a raccontare le vicende della sua famiglia fornendogli documenti ufficiali, familiari e atti del processo.

Una storia inverosimile, come la realtà ormai ci ha abituati, è quella della famiglia Sacco, famosa tristemente come “La banda Sacco”, nella Sicilia degli anni ’20, precisamente a Raffadali in provincia di Agrigento. Il capofamiglia Luigi Sacco nella seconda metà dell’Ottocento è un giovane onesto ed indefesso lavoratore, travaglia campagne campagne come jornatante agricolo stagionale, di memoria marxista le sue uniche ricchezze sono dù vrazza forti, a ciò si aggiungono la gioventù e tanta gana di travagliare. Sono lontani gli eventi tragici che sovvertiranno il suo futuro e quello dei suoi figli e nipoti.

Si può lavorare onestamente, formarsi una famiglia e realizzare una certa posizione economica e tutto questo essere compromesso dalle malversazioni di capimafia locali, manovrati da eminenze grigie? L’ascesa di una famiglia, conosciuta per l’onestà, la serietà, il rispetto assoluto della parola data, Mai uno screzio, mai un’azzuffatina tra loro, sarà la sua discesa poi negli inferi, tra latitanze, carceri, ingiustizie, processi e morti anche. Intanto la famiglia cresce e attraversa l’emigrazione nell’America latina, la guerra del 15-18, il fascismo mentre la Piovra allunga i suoi tentacoli e branca i fratelli Sacco che vogliono vivere tranquilli e malgrado loro diventano agli occhi dell’opinione pubblica, manipolata ad hoc, dei delinquenti.

Da vittime e testimoni di verità a accusati e dalla mafia da una parte e dalle forze dell’ordine e dallo Stato dall’altra che dovrebbero tutelare e salvaguardare le persone dabbene. Il prefetto di ferro, Cesare Mori, dotato da Mussolini di pieni poteri per sterminare la mafia in Sicilia, aveva a sua disposizione carabinieri, pubblica sicurezza, corpi speciali e reparti dell’esercito, peccato che con il pretesto di combattere la mafia, fu posto il bando ai principi generali del diritto, alle garanzie costituzionali dello Statuto albertino, all’osservanza dell’habeas corpus dei cittadini, alla corretta applicazione della stessa legge di pubblica sicurezza. Nel presupposto di far valere la legge, interi corpi dello Stato non ebbero scrupolo a operare fuori dalla legge e anche contro la legge…

Si perpetrarono vere e proprie razzie quando si eseguivano i mandati di cattura, le confessioni venivano estorte con violenza secondo metodi d’indagine barbarici, salvo poi rilasciare con opportune per “mancanze di prove” chi di dovere. Il prefetto ai giornalisti ricordava la pericolosità della banda Sacco, dedita alle rapine, alla grassazione, al furto, all’abigeato e come animali braccati i fratelli Sacco subiscono questa accanita ed ingiusta persecuzione da parte dei mafiosi e dalla legge fascista, tacciati di essere anche dei sovversivi, perché socialisti; ma non è una vita che può durare a lungo, non si può andare a lavorare la terra come per andare a fare la guerra. Ancora Camilleri in un’intervista afferma che i Sacco si opposero e combatterono contro forze avverse, ma non usarono mai le armi, mai uccisero! Il questo senso la vicenda della banda Sacco misconosciuta ai più, ha un che di straordinario e non sempre l’onestà, la rettitudine pagano.

La verità è piegata ad usum Delphini, la giustizia è per i potenti e i soverchiatori, in una visione fatalistica ed ineluttabile della vita, soccombono i deboli, i vinti di natura. Camilleri in veste di storico sa scrivere e descrivere ciò che desta attenzione ed indignazione, soprattutto quando gli umili e gli indifesi diventano offesi, capri espiatori di tutte le aberrazioni di una società che di civile ha solo la sua falsa rappresentazione. Eppure in questa narrazione di fatti cruenti e vessatori, fa da contrappunto una Sicilia selvaggia e misteriosa, dai paesaggi rupestri, dalle campagne riarse, travagliate con il sudore e la fatica dei viddani di Pirandello, di Verga, dai vigneti e pistacchieti: immagini, odori e profumi e suoni ormai memoria al più di pagine letterarie.

Ancora una volta Camilleri attraverso i suoi scritti penetra nell’anima della Sicilia, nelle sue ineffabili contraddizioni e superando lo spazio geografico isolano riflette quanto storicamente sia impossibile trovare un equilibrio tra il piano del diritto e quello del potere: il primato dello Stato è soperchiato da forze collaterali e centripete e questi fatti ne sono la prova.

14 novembre 2013

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