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Ettore Randazzo presenta ”Giallo d’Avola”, cronaca siciliana degli anni Cinquanta

''Giallo d’Avola'', vincitore del Premio Viareggio, si occupa del caso giudiziario del morto-vivo. Due fratelli Salvatore e Paolo Gallo se le diedero di santa ragione nelle campagne di Avola Antica, tanto da degenerare nel delitto più grave...

In esclusiva per Libreriamo, l’avvocato penalista presenta il romanzo di Paolo Di Stefano

 

Giallo d’Avola”, vincitore del Premio Viareggio, si occupa del caso giudiziario del morto-vivo. Due fratelli Salvatore e Paolo Gallo se le diedero di santa ragione nelle campagne di Avola Antica, tanto da degenerare nel delitto più grave. Lo dimostravano tracce di sangue stimate in circa due litri e la scomparsa di Paolo, introvabile e quindi verosimilmente ucciso dal fratello, il quale venne arrestato per omicidio volontario aggravato.

I difensori si batterono tenacemente, anche in base alle testimonianze di chi dichiarava di aver visto il “morto” tranquillamente vivo e vegeto nei terreni tra Siracusa e Ragusa. I testi vennero arrestati per falsa testimonianza dicendo la verità e scarcerati solo dopo la ritrattazione, dunque mentendo. Una situazione paradossale che non deponeva bene per la giustizia. Sette anni dopo l’arresto, mentre la condanna di Salvatore Gallo era ormai passata in giudicato, casualmente Paolo Gallo venne individuato. Il morto vivo si era nascosto purché l’odiato fratello scontasse una pena che non meritava!

Il condannato fu scarcerato faticosamente, dato che i casi di revisione allora non prevedevano che il morto fosse vivo … Tuttavia, non si sottrasse a una nuova condanna per lesioni volontarie, la cui pena, anch’essa severa, era già stata ingiustamente scontata. Pasticci di ordinaria giustizia, sempre incombenti negli uffici giudiziari di ieri e di oggi. Sbaglia chi definisce “Giallo d’Avola” un legal triller o ancora più semplicemente un giallo. Non solo perché i fatti narrati sono veri, ma soprattutto perché la vicenda umana e il processo che ne seguì sono solamente lo sfondo del romanzo, un vero pretesto per un avolese che vive lontano dalla sua terra per risentire gli odori e i sapori, lasciandosi catturare dalla sua nostalgia per le sue radici.

Tuttavia, Paolo Di Stefano, notissimo critico letterario e inviato cultura del Corriere della sera, ha studiato il processo Gallo con millimetrica attenzione, documentandosi anche sul rito inquisitorio, vigente all’epoca. La qualità di scrittore, sprizzante in ogni pagina, è arricchita dalla professionalità del giornalista, che connota fortemente il narrato seppure senza oscurare la magia dell’arte di scrivere. Il tratto dello scrittore di rango traspare nello stile, nel linguaggio, nella malia dei messaggi subliminali trasmessi al lettore. In punta di piedi, ché l’Autore è signorilmente riservato, persino schivo.

Così Di Stefano dimostra come possa felicemente romanzarsi una storia vera, tragica e senza tempo. Non è azzardato pensare alle sciagure delle rappresentazioni teatrali di Sofocle: c’è il dramma familiare, ci sono due tragedie, una finta (il supposto omicidio), l’altra vera (la detenzione scontata per un delitto che non c’è). E c’è l’ingiustizia interrotta dal caso –o, anche qui, da un Dio?- per Salvatore Gallo; e prima ancora la carcerazione per i testimoni veri costretti alla menzogna della ritrattazione. Beffardo, sembra affacciarsi anche Pirandello …

In “Giallo d’Avola”, oltre alla particolarità dei fatti, ci cattura la vicenda giudiziaria, non meno singolare nella sua profonda, clamorosa fallacia. Del resto era il triste e pigro conformismo del processo inquisitorio (e di chi, pm o giudice istruttore, doveva indagare in totale assenza di qualsiasi contraddittorio) alla tesi d’accusa, a sua volta troppo spesso adagiata sulla ricostruzione della polizia giudiziaria.
Di Stefano non si sofferma sulle emozioni dei protagonisti, fingendo un distacco da cronista. Il lettore non ci crede, incantato dal narrato e dal suo Autore.

21 luglio 2013

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