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“Country girls”: il nero romanzo rosa di Edna O’Brien

Entusiaste, superlative, sono le critiche ricevute da Edna O'Brien con il suo romanzo di esordio, “Ragazze di campagna” (1959), primo volume di una trilogia a cui seguiranno “La ragazza sola” (1964) o “La ragazza dagli occhi verdi” (1989) e “Ragazze nella felicità coniugale” (1990)...

Country girls‘ – Edna O’Brien

 
Entusiaste, superlative, sono le critiche ricevute da Edna O’Brien con il suo romanzo di esordio, “Ragazze di campagna” (1959), primo volume di una trilogia a cui seguiranno “La ragazza sola” (1964) o “La ragazza dagli occhi verdi” (1989) e “Ragazze nella felicità coniugale” (1990), da parte della stampa e dei più grandi scrittori contemporanei; tanto per fare un nome, Philip Roth che ha definito l’ irlandese O’Brien la più grande scrittrice di lingua inglese vivente. Nonostante abbia letto d’un sol fiato i tre romanzi che hanno per protagoniste Cait e Baba, partite dalla remota ed esasperatamente cattolica campagna irlandese alla disperata ricerca di una vita che in tutto e per tutto sia diversa da quella vissuta nel loro paese natio, né da un punto di vista stilistico, né diegetico la trilogia mi ha particolarmente colpita; se non fosse per quella morbosa curiosità che s’impadronisce di noi ogni volta che leggiamo un romanzo il cui unico effetto catalizzatore è rappresentato dalla sua trama. Un po’ come accade con il romanzo rosa, a cui è stata dedicata una longeva e fortunata collana che ha oltrepassato i confini canadesi divenendo in tutto il mondo il passatempo preferito di tante donne costrette, all’improvviso, a districarsi tra i doveri quotidiani e l’irresistibile desiderio di sapere cosa accadrà ai protagonisti delle ‘avvincenti’ storie che di volta in volta danno vita a un illusoriamente nuovo Harmony (crasi linguistica che nasce dall’unione delle tre lettere iniziali di Harlequin, casa madre della produzione in rosa e le edizioni Mondadori con cui si forma una joint-venture, con l’aggiunta di una Y finale avente funzione di creare armonia).

 

Come spiega Alberto Brodesco in “Harmony. L’amore in edicola”, contenuto nel volume “Una galassia rosa, ricerche su una letteratura femminile di consumo”, la nascita dell’amore tra una ragazza semplice e un milionario conferma il valore attrattivo del potere economico dell’uomo. L’obiettivo fondamentale resta il matrimonio o meglio la felicità coniugale, la stessa cui aspirano Cait e Baba e che fa da titolo all’ultimo libro della trilogia, “Ragazze nella felicità coniugale”. Di fronte a essa tutto è sacrificabile: il lavoro, i viaggi, le avventure; il privilegio economico dell’uomo induce sovente le nostre eroine a preferire il matrimonio alla carriera. Cait e Baba, sebbene con un atteggiamento differente, la prima in nome dell’amore, almeno in apparenza, la seconda di uno sfrenato desiderio di ricchezza, non esitano nemmeno un attimo ad abbandonare la condizione di libertà e indipendenza che si erano guadagnate fuggendo dalle loro famiglie, per diventare parte di un altro sistema in cui, nonostante i benefici economici che ne traggono, si condannano all’assoggettamento a un uomo con il quale si formerà un nuovo nucleo familiare che segnerà il ritorno alla situazione di partenza.

 

Un’altra caratteristica comune tra il romanzo rosa targato Harmony e la trilogia della O’Brien sta nelle mancanza di metodi contraccettivi adeguati. Negli Harmony , spesso, le protagoniste rimangono incinte senza volerlo, come capita a Baba e a Cait. Baba rimarrà incinta più di una volta, ma quella decisiva sarà con un artista conosciuto in occasione di una cena organizzata dal marito; la gravidanza sarà la conseguenza del primo e unico rapporto sessuale che avverrà tra i due, l’artista scomparirà e Baba farà in modo che il marito accetti la maternità extra-coniugale riconoscendo il bambino. Cait resterà incinta dell’uomo che sposerà, ma prima del matrimonio, cui sarà attribuita una funzione soprattutto riparatrice. Contro la duplice dominazione sessuale ed economica, l’unica arma posseduta dalla donna è l’amore e la sua unica vittoria il matrimonio come strumento di ascesa sociale. Allo stesso tempo però, la sessualità è un pericolo per la protagonista perché segna la perdita di controllo, da sempre combattuta tra il desiderio sessuale e la moralità legata alla castità. Cait impiegherà molto tempo prima di lasciarsi andare con Eugene perché tormentata dalla sua coscienza cattolica che le fa considerare la sessualità come un peccato, sebbene muoia dalla voglia di lasciarsi andare. Inoltre, proprio come la protagonista degli Harmony, cerca di porre un limite alle pulsioni sessuali per paura che la relazione possa essere unicamente carnale senza mai trasformarsi in un sentimento duraturo. Ecco quindi la necessità del matrimonio, che in Harmony come nella trilogia della O’Brien, assume una funzione liberatoria perché affranca la protagonista da tutte le paure derivanti da donne appartenenti al passato, dal timore di essere usate, o meglio non amate dall’eroe oppure di non poter godere della sua ricchezza e prestigio sociale. I romanzi Harmony, quindi, sembrano accettare la tradizionale visione maschio-femmina, senza proporre un’ideologia femminista alternativa e accettando invece quella patriarcale. Anche la O’Brien sembra confermare questi schemi, sebbene la ribellione delle due protagoniste possa far pensare a scelte differenti, più audaci, emancipate, frutto di una visione di sé maggiormente consapevole; le peripezie di Baba e Cait non hanno alcun fine ultimo, sono piuttosto gli effetti di una condizione di assoluta oppressione che le ha indotte a cercare in maniera disperata, sregolata e cieca la libertà, identificandola, ciascuna, con situazioni differenti, accomunate dallo stesso anelito di autodeterminazione. Alternando all’illusione di averla raggiunta la presa di coscienza della realtà, senza mai però rimpiangere la vita passata, fuggendola continuamente e ricascandoci ogni volta.

 

Tanto vicini quanto lontani, il romanzo rosa e la trilogia della O’Brien: il primo punto di distanza è rappresentato dall’assenza del lieto fine nei romanzi della scrittrice irlandese, onnipresente nel romanzo rosa. Non c’è spazio per le illusioni, le edulcorazioni, le visioni fiabesche nelle vicende narrate da Edna. La più grande rivoluzione di questa donna è stata l’aver interrotto quella tradizione, tipica di numerose generazioni femminili di scrittrici e non, di raccontare fiabe intrise di stereotipi che male si sposano con la realtà. Il suo romanzo rosa è alla rovescia, tratta le stesse tematiche ma ne svela meccanismi molto più complessi e crudeli. Edna O’Brien non è Liala, che persino alla guerra riconosce un fine nobile, una causa giusta, un’inevitabile sebbene sofferente necessità. La divisione tra buoni e cattivi, bene e male, è netta nel romanzo rosa, non esistono zone grigie, esistono la vittima da una parte e il carnefice dall’altra. Vige una legge di carattere morale, cui è impossibile porre un veto, secondo cui i cattivi vengono puniti e i buoni premiati attraverso un riscatto che, anche se in ritardo, li ripaga delle sofferenze subite. Sono personaggi semplici, dai tratti ben definiti che non lasciano alcun dubbio in quale categoria farli rientrare, o sono totalmente buoni o totalmente malvagi, da qui la prevedibilità delle loro azioni.

 

Nel racconto de “Il Vecchio Smoking”, di Liala, numerose sono le situazioni che ritroviamo anche nei romanzi della O’Brien: l’infelicità del matrimonio, l’amore tra un uomo ricco e una giovane di umili origini, così come l’affinità da un punto di vista delle ambientazioni, feste dell’alta società frequentate da giovinette delle classi sociali meno abbienti tra cui spunta quella dai più facili costumi il cui scopo è abbindolare qualche giovane rampollo con cui sposarsi e fuggire dalla condizione di modestia a cui la provenienza sociale la costringe; l’esclusività dell’amicizia: il Conte Doria vivrà le sue esperienze extra-coniugali sempre incoraggiato dal suo amico Gianolini che tra i due è quello più sfrontato, che crede meno nell’amore e più nella libertà, corrispettivo della Baba di “Country girls”. Le eroine della O’Brien non troveranno alcun riscatto, alcuna felicità, i fini che le muoveranno ad agire non saranno mai nobili, agiranno sempre e solo in vista di un unico obiettivo: la propria felicità, ed ecco la più grande rivoluzione della O’Brien, la rimozione del senso di colpa a vivere la vita secondo le personali aspirazioni ed esigenze. Non esistono leggi morali nella galassia rosa della O’Brien e se ci sono non vengono rispettate, anzi, la loro ragione di esistere sembra strettamente legata al bisogno di infrangerle e smentirle. Una rivoluzione che diventa particolarmente sovversiva quando riguarda le donne, da sempre subordinate e assoggettate agli uomini, alla famiglia, alla società, al sistema che, per quanto si provi a cambiare, resta sempre lo stesso, per il romanzo rosa e per la trilogia della O’Brien.

 

Serena Salerno

 

30 maggio 2015

 

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