Il “realismo magico” può considerarsi un po’ come il “padre” di altri generi visti finora — la speculative fiction, la slipstream — e tanti altri non approfonditi — ad esempio il new weird.
Ma di cosa tratta, esattamente?
Lo dicotomo le parole di cui si compone “realismo magico”: realtà e magia. Il meraviglioso non viene visto come una fuga, ma come un modo più profondo di vedere la realtà. Questo lo differisce dallo slipstream, che scivola da una dimensione reale a una immaginaria per creare una metafora.
La nascita del realismo magico
Il realismo magico è una corrente letteraria in cui il soprannaturale convive con la vita di tutti i giorni, senza bisogno di stupire il lettore, in cui la realtà e la magia sono sullo stesso piano. Nelle pagine di García Márquez, Isabel Allende, Alejo Carpentier o Juan Rulfo, i morti parlano, il tempo si piega, gli amori durano cent’anni, eppure tutto sembra naturale. Come se fosse sempre stato così, perché è scontato sia così.
Il realismo magico non è un genere di evasione, ma un modo di percepire il mondo.
Nasce dall’idea che il reale non sia solo ciò che vediamo, ma anche ciò che ricordiamo, sogniamo o temiamo. L’irrazionale diventa parte della vita, e la magia non è spiegata: semplicemente accade, come la pioggia o la nostalgia.
Le origini: un linguaggio latinoamericano per un mondo nuovo
Il termine “realismo magico” è usato per la prima volta dal critico tedesco Franz Roh nel 1925, ma la sua incarnazione letteraria esplode in America Latina nel secondo dopoguerra.
A fare il suo è la fusione di culture, miti e religioni; questo crea un terreno fertile per un racconto in cui magia e realtà non si contraddicono, ma si completano.
Gli autori latinoamericani rifiutano la razionalità europea e riscoprono il potere arcaico del mito. È un gesto politico e poetico insieme: la magia diventa la lingua delle origini, il modo per restituire dignità a un’identità collettiva spesso negata.
“Cent’anni di solitudine”: l’origine del mito moderno
Pubblicato nel 1967, il capolavoro di Gabriel García Márquez è considerato la pietra miliare del realismo magico.
La storia della famiglia Buendía e del villaggio di Macondo attraversa un secolo di amori, nascite, guerre, piogge interminabili e apparizioni di fantasmi. Ma non c’è nulla di straordinario in tutto questo: per Márquez, la meraviglia è una condizione naturale della vita.
Nel suo linguaggio, il magico è trattato con la stessa concretezza di un fatto storico. Gli eventi impossibili — un personaggio che ascende in cielo stendendo le lenzuola, un figlio con la coda di porco, un diluvio che dura quattro anni — diventano metafore della memoria collettiva e della ciclicità del tempo.
Macondo, come la memoria umana, non distingue tra ciò che è accaduto e ciò che è stato sognato.
“La casa degli spiriti”: genealogia di un continente
Nel 1982 Isabel Allende pubblica “La casa degli spiriti”, romanzo che intreccia storia familiare e storia politica.
Attraverso le generazioni dei Trueba, l’autrice racconta il Cile del Novecento: l’amore, la violenza, la dittatura, la spiritualità. Clara, la matriarca della famiglia, parla con i morti e annota i sogni nei suoi quaderni, ma nessuno la considera folle — perché la sua veggenza è parte della normalità domestica.
Allende fonde il tono epico con la quotidianità, costruendo una narrazione dove il soprannaturale non spezza la logica del mondo, la amplia. In questo senso, il suo realismo magico è anche una forma di resistenza: la possibilità di conservare la memoria quando la storia tenta di cancellarla.
Un’estetica dell’anima
Il realismo magico non descrive solo eventi impossibili: costruisce un modo di sentire. Le sue immagini — il vento, la pioggia, i fantasmi, i fiori che crescono dalle lacrime — sono simboli di una verità più profonda: quella che unisce la vita e la morte, la storia e la leggenda, l’individuo e la comunità.
È un linguaggio della meraviglia pacata, non dell’effetto speciale. Per questo continua a ispirare scrittori contemporanei da Salman Rushdie a Banana Yoshimoto, fino a autori italiani come Laura Pariani e Valeria Luiselli.
Realismo magico e slipstream: le due facce dell’assurdo
A differenza del slipstream, che nasce nel mondo anglosassone come genere del disorientamento e dell’ambiguità, il realismo magico è un linguaggio della coesistenza. Nel slipstream, il fantastico incrina il reale e lascia il lettore sospeso nel dubbio — come in “Non lasciarmi” di Ishiguro o nelle storie di Murata Sayaka, dove l’assurdo è una crepa che spinge il lettore in zone liminali.
Nel realismo magico, invece, la crepa non esiste: il meraviglioso è già parte del mondo e nessuno si stupisce, nessuno chiede spiegazioni, perché la magia è la forma naturale del reale.