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I libri che si amano meno perché ricordano la scuola

Per quanto la freccia di Cupido possa rendere ciechi, non esiste al mondo un booklover che abbia amato immediatamente ed incondizionatamente alcuni dei titoli che le professoresse ci costringevano a leggere a scuola, come fossero l’unica pillola contro una vita vuota...
Abbiamo chiesto ad una nostra giovane booklover e neolaureata Sofia Di Giuseppe quali sono i libri che ricorda meno volentieri perché le riportano alla mente la scuola

ROMA – Per quanto la freccia di Cupido possa rendere ciechi, non esiste al mondo un booklover che abbia amato immediatamente ed incondizionatamente alcuni dei titoli che le professoresse ci costringevano a leggere a scuola, come fossero l’unica pillola contro una vita vuota.
Quei libri pesavano più del dovuto, erano più lunghi del dovuto e anche un bambino appassionato finiva per contorcersi sulla sedia per evitare di cadere in un sonno profondo.
Ognuno, certo, ha avuto le proprie esperienze più o meno traumatiche. Quali sono quelle che condividiamo? E quelle invece che ci hanno scosso privatamente?

LEGGERE A SCUOLA – Nessun libro fu più noioso che uno letto in classe. I giovani allievi non possono perdonare agli uomini di lettere una frase complicata o pagine intere di descrizioni. E così, la lista nera degli autori da maledire e verso cui imprecare in caso di disgrazie cresce insieme al programma scolastico.
Ogni giorno, durante l’ora di italiano, quando la professoressa immersa in un trans mistico per la materia spiega e legge ininterrottamente, gli allievi progettano il pomeriggio guardando un punto nel vuoto che sembra inghiottire la loro capacità di discernimento.

– “Ma da più parti cominciavano a giungere notizie d’una doppia natura di Medardo. Bambini smarriti nel bosco venivano con gran loro paura raggiunti dal mezz’uomo con la gruccia che li riportava per mano a casa e regalava loro fichifiori e frittelle; povere vedove venivano da lui aiutate a trasportar fascine; cani morsi dalla vipera venivano curati (…) Nello stesso tempo però le apparizioni del visconte mezz’avvolto nel mantello nero segnavano tetri avvenimenti: bimbi rapiti venivano poi trovati prigionieri in grotte ostruite da sassi ; frane di tronchi e rocce rovinavano sopra le vecchiette; zucche appena mature venivano fatte a pezzi per solo spirito malvagio.” (I. Calvino, Il visconte dimezzato)

–    (Io non ce la faccio più! Ma perché deve essere anche doppio? … Cosa facciamo dopo la scuola? … Ti va di fare una foto?)

La trilogia di Italo Calvino, nonostante l’invenzione fantastica, tiene a bada ben poco l’attenzione fugace degli allievi. Eppure, la mia professoressa divise i tre libri per i tre anni previsti nelle scuole medie. Tornavano come un appuntamento al quale non puoi scampare, scandivano lo scorrere del tempo e riempivano le ore di italiano con un grande interrogativo noioso e ridondante. A undici anni non riuscivo a divertirmi con un visconte a metà.

I MUST DELLA NOIA
– I titoli che accomunano il percorso di ogni scolaro e che terrorizzano tutte le generazioni, si sa, sono: I Promessi Sposi e La Divina Commedia. Non c’è scampo. Nessuna scusa. Renzo e Lucia si prenderanno i nostri insulti, così come si sono presi quelli dei nostri genitori, e Dante, nonostante l’intento celeste, non verrà salvato dagli attacchi d’ira.

UN’ESTATE TORMENTATA – Sembrerebbe impossibile immaginare un’opera più cattiva di una lettura noiosa in classe. Invece, qualche professoressa sa cosa inventarsi. I libri assegnati durante il periodo estivo sono mattoni che tentiamo invano di leggere l’ultima settimana prima dell’inizio della scuola. Pensiamo che tre mesi possano bastare, invece no. Quei titoli rimangono scritti sul diario e prendono la consistenza di un libro solo quando ormai è inevitabile.
Fuori dal programma scolastico, i professori possono suggerire a proprio piacimento e coscienza innumerevoli titoli.
A sedici anni, Olga di “Và dove ti porta il cuore” non riuscivo a comprenderla. E il pomeriggio era angosciante in sua compagnia. A diciassette anni “Io e Te” di Niccolò Ammaniti mi faceva infuriare davanti alle bugie e ad una promessa non mantenuta. “Cronache marziane” non stimolava la mia immaginazione e per leggere il “Manifesto del partito comunista” mi serviva un aiuto costante.
A diciotto anni “Lo scudo di Talos” di Valerio Massimo Manfredi era il sonnifero più potente che avessi provato.

Lasciavo alla sera i libri che preferivo. “La città delle bestie” di Isabel Allende mi accompagnava nella notte e si prendeva la mia fantasia. Spesso il mio umore dipendeva da Harry Potter, poi spettegolavo con Jane Austen e mi riempivo di orgoglio con Oriana Fallaci.
Per quanto le professoresse ce la mettessero tutta, la mia curiosità mi guidava verso lettere più interessanti. Ma non perché fosse migliore la mia scelta. Ci sono, però, motivi che spingono verso qualcuno o qualcosa. Quei motivi ci somigliano e noi cerchiamo un nostro simile.  

Sofia Di Giuseppe

16 settembre 2013

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