“Pluribus”: 6 libri da leggere se ti piace la serie tv

3 Dicembre 2025

Se guardando "Pluribus" sei diventato un appassionato del genere e vuoi leggere dei libri su mente condivisa, disposizione alveare etc, sei nel posto giusto.

"Pluribus": 6 libri da leggere se ti piace la serie tv

Dopo aver spento la tv è difficile mettere “Pluribus” in un cassetto, e noi lo sappiamo a nostre spese. Quel mondo in cui le menti si intrecciano come server in un cloud, gli individui restano persone ma condividono una stessa coscienza espansa, lascia addosso una sensazione precisa e ineguagliabile

È come se qualcuno avesse sollevato il coperchio del nostro cervello collettivo e ci avesse mostrato quanto poco conosciamo di ciò che chiamiamo “io”.

Se vi è piaciuto “Pluribus”

Quello che vorrete adesso è un libro che sappia rimettere in discussione il confine tra singolo e collettività, tra corpo e dati, tra identità biologica e identità digitale; una storia in cui la tecnologia non è un semplice gadget narrativo, ma una lente crudele e affascinante per osservare il potere, la memoria, le relazioni…

Ci sono romanzi che esplorano la mente violata da Stati totalitari, altri che trasformano il cyberspazio in un vero paesaggio interiore, altri ancora che interrogano il futuro dell’umanità a partire dai laboratori di genetica, dalle intelligenze artificiali, dai sistemi che promettono comfort assoluto in cambio di una lenta rinuncia alla libertà. Accanto alla narrativa, c’è anche chi prova a raccontare cosa sta accadendo davvero nella scienza di oggi, quando l’idea di “aggiornare” l’umano smette di essere solo una fantasia letteraria.

In questo articolo abbiamo raccolto sei titoli perfetti per tormentare i lettori con una domanda davvero scomoda: quanto di noi è davvero solo nostro, e quanto è già, in qualche modo, condiviso, manipolato, riscritto da altri?

Dopo “Pluribus”: 6 viaggi nella mente

In queste sei letture troverete distopie, future reti digitali, cloni, esperimenti di laboratorio e saggi che dialogano con la realtà. Sei modi diversi di continuare il viaggio iniziato con “Pluribus” senza perderne la carica filosofica e l’inquietudine.

Adesso non dovrete far altro che scegliere cosa fa per voi.

“Kallocaina. Il siero della verità” di Karin Boye

Siamo in uno Stato poliziesco del futuro, completamente militarizzato, dove ogni gesto è sorvegliato e la fiducia è considerata un lusso sovversivo. Leo Kall, chimico modello e cittadino leale, mette a punto una sostanza rivoluzionaria: un “siero della verità” capace di far saltare ogni barriera psicologica e far emergere ciò che le persone pensano davvero, anche ciò che non osano confessare neppure a sé stesse. È lo strumento perfetto per uno Stato che sogna il controllo assoluto delle coscienze.

All’inizio, Leo crede di servire il bene comune: grazie alla Kallocaina verranno smascherati traditori, codardi, ribelli. Ma gli esperimenti, condotti su cavie sempre meno volontarie, cominciano a mostrare l’altra faccia della verità: quella che mette a nudo la fragilità dei legami, la paura, il desiderio di libertà e di amore.

Nel laboratorio e nella vita privata, soprattutto nel rapporto con la moglie Linda, Leo scopre che la verità non è un blocco monolitico da registrare e archiviare, ma qualcosa di vivo, contraddittorio, profondamente umano.

Il romanzo, scritto nel 1940, dialoga idealmente con “Noi” di Zamjatin, “Il mondo nuovo di Huxley” e “1984” di Orwell, ma ha una differenza importante: al centro non c’è solo la macchina del potere, c’è la lenta presa di coscienza di un individuo che ha interiorizzato quel potere e deve disinnescarlo dentro di sé. La Kallocaina non smaschera soltanto i cittadini, smonta il super-io del protagonista, costringendolo a riconoscere bisogni che aveva sepolto: amore, fiducia, possibilità di scegliere.

Per chi ha amato “Pluribus”, è una lettura ideale: stessa domanda di fondo – cosa resta dell’io quando la mente viene messa in comune, scandagliata, violata – ma declinata in chiave distopica, intima e psicologica.

“Neuromante” di William Gibson

Con “Neuromante” entriamo nel cuore del cyberspazio, molto prima che Internet diventasse ciò che conosciamo oggi. Il romanzo si apre con un incipit celebre – “Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione, sintonizzata su un canale morto” – e da lì non rallenta più. Il protagonista è Case, ex “cowboy del console”, un hacker di talento che ha tradito le persone sbagliate: per punizione gli sono state bruciate le sinapsi che gli permettevano di connettersi alla Rete.

Ridotto a piccolo truffatore nei bassifondi di una città giapponese tossica e lucida al neon, Case è un uomo spezzato, tagliato fuori dal solo spazio in cui si sentiva vivo: la matrice, il cyberspazio, quella realtà parallela fatta di dati, geometrie luminose e intelligenze artificiali.

Quando un misterioso datore di lavoro gli offre una seconda possibilità – ricostruire il suo sistema nervoso in cambio di un’ultima, complessissima missione – Case non ha davvero scelta. Accanto a lui c’è Molly, samurai di strada dagli occhi a specchio, e una galleria di personaggi borderline che vivono tra megacorporazioni, mafie tecnologiche e spazzatura hi-tech.

Il colpo che devono mettere a segno non è solo un furto informatico: dietro si muovono intelligenze artificiali “neuromantiche”, entità che sembrano usare gli umani come pedine per un disegno più grande, quasi una volontà collettiva che vuole sfuggire ai propri limiti.

Pubblicato nel 1984 e vincitore di tutti i premi più importanti della fantascienza, Neuromante ha ridefinito il nostro immaginario sul rapporto tra mente e tecnologia: il corpo come gabbia, la coscienza che si proietta in uno spazio condiviso, la realtà filtrata da reti e algoritmi. Per chi ha amato “Pluribus”, è la lettura perfetta per esplorare il lato più oscuro e visionario dell’idea di mente connessa: qui la collettività è fatta di codici, IA e memorie digitali che possono riscrivere ciò che chiamiamo “io”.

“Solo il mimo canta” di Walter Tevis

In “Solo il mimo canta” al limitare del bosco Walter Tevis ci porta nel 2467, in un futuro in cui l’umanità ha delegato tutto ai robot: produzione, decisioni, perfino la gestione delle emozioni. Il comandamento è uno solo: «Non fare domande, rilassati». Niente più lavoro, niente più fatica, tecnicamente niente più problemi. Eppure il mondo è esausto: le persone vivono sedate da psicofarmaci, immerse in uno stordimento elettronico che spegne il desiderio, la curiosità, la capacità di pensare. La famiglia è stata abolita, l’arte non esiste, la storia è stata cancellata.

A garantire questo equilibrio depressivo è Spofforth, un androide di altissima generazione, tanto perfetto da essere più sensibile degli umani che controlla. L’unica crepa nel suo programma è un desiderio che nessun robot dovrebbe avere: quello di morire. Imprigionato nella propria impossibilità al suicidio, Spofforth guarda la specie umana spegnersi lentamente, intrappolata in una collettività passiva che somiglia più a un coma che a una mente comune.

Qualcosa cambia quando entra in scena Paul Bentley, un professore che, quasi per caso, scopre l’esistenza dei libri e impara a leggere. In un mondo in cui la parola scritta è stata rimossa, saper decifrare un testo diventa un atto rivoluzionario, un modo per recuperare memoria, identità, storia. Accanto a lui c’è Mary Lou, ragazza che rifiuta i farmaci e gli schermi, un’“anomala” che sceglie di restare sveglia, di sentire, di soffrire. Insieme iniziano a mettere in discussione il sistema, aprendo una breccia in quella realtà ipertecnologica che ha trasformato gli uomini in utenti docili.

Rispetto a “Pluribus”, Tevis sposta il fuoco: non tanto una mente condivisa, quanto una coscienza collettiva anestetizzata dalla tecnologia. Ma la domanda è la stessa: cosa resta umano quando la nostra capacità di pensare, ricordare, amare viene delegata a un sistema che promette sicurezza e comfort in cambio della nostra libertà interiore?

“Più in alto degli dei” di Marco Crescenzi

Con “Più in alto degli dèi. L’ingegneria genetica dell’uomo prossimo venturo” Marco Crescenzi porta fuori dalla narrativa e dentro il territorio, ancora più inquietante, del saggio scientifico. Il punto di partenza è semplice e spiazzante: l’essere umano non è una macchina biologica perfetta, anzi, è fragile, pieno di limiti, e la genetica molecolare oggi dispone degli strumenti per “correggerlo”. Non in un futuro remoto, ma già adesso.

Pagina dopo pagina, l’autore racconta esperimenti reali in cui animali sono stati modificati per diventare più forti, più resistenti alle malattie, più longevi, persino più intelligenti. Sono casi di laboratorio che sembrano usciti da un romanzo di fantascienza, ma che appartengono alla ricerca contemporanea: topi che non sviluppano tumori, organismi con capacità cognitive potenziate, manipolazioni del DNA che aprono la strada a una nuova idea di “superumano”.

Crescenzi non si limita però a elencare successi e promesse. Ogni risultato scientifico viene messo a confronto con i dilemmi etici che porta con sé: chi deciderà quali tratti migliorare? Dove finisce la cura e dove inizia l’eugenetica? Cosa succede alle disuguaglianze sociali se la possibilità di “aggiornare” il proprio corpo resta appannaggio di pochi? Il libro ha il pregio di essere chiaro, accessibile anche ai non addetti ai lavori, ma senza banalizzare la complessità del tema.

Per chi ha letto Pluribus, questo saggio è la controparte non-fiction di molte domande del romanzo: se in “Pluribus” si sperimenta sulla mente, qui si interviene sul genoma; in entrambi i casi l’idea di “migliorare” l’umanità apre scenari vertiginosi. Più in alto degli dèi è la lettura giusta per chi, dopo aver immaginato una coscienza collettiva, vuole capire quanto siamo già vicini – nel mondo reale – a ridisegnare l’umano in laboratorio.

“Il problema dei tre corpi” di Cixin Liu

Ne “Il problema dei tre corpi” Cixin Liu parte dalla Cina della Rivoluzione culturale, da un clima di sospetto e violenza ideologica, per raccontare una delle più affascinanti storie di primo contatto degli ultimi decenni. In un’installazione militare segreta, il progetto “Red Coast” invia segnali nello spazio alla ricerca di civiltà extraterrestri. L’impensabile accade: qualcuno risponde. Ma il messaggio viene captato dal pianeta sbagliato, Trisolaris, unico superstite di un sistema con tre soli, governato da forze gravitazionali caotiche che rendono il clima assolutamente imprevedibile e hanno già distrutto numerosi mondi.

I trisolariani sanno che anche il loro pianeta è condannato. L’unica speranza è trovare una nuova casa: la Terra. Mentre sul pianeta alieno si pianifica un’invasione a lungo termine, sul nostro pianeta la notizia filtra in modo carsico e devastante. Scienziati, militari, attivisti e disperati si dividono in fazioni: c’è chi vede negli alieni la possibilità di ripulire un’umanità irrimediabilmente corrotta e chi, al contrario, comprende la portata del pericolo e si prepara a resistere.

Una delle trovate più brillanti del romanzo è il videogioco “Tre Corpi”, simulazione immersiva in cui i giocatori devono risolvere il problema fisico alla base del sistema trisolariano. Attraverso sessioni di gioco surreali e logiche spietate, Liu traduce l’astronomia in esperienza narrativa, mettendo in scena il modo in cui la scienza modella la percezione della realtà.

Per chi sta guardando “Pluribus”, questo libro è un salto di scala: dalle menti connesse di una singola specie a un intero dialogo – e conflitto – tra civiltà. Resta però la stessa domanda di fondo: cosa significa essere umani quando ci scopriamo parte di un sistema molto più grande di noi, che può riscrivere il nostro futuro con un semplice segnale nello spazio?

“L’invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares

Ne “L’invenzione di Morel” un uomo senza nome, fuggiasco braccato dalla giustizia, approda su un’isola misteriosa. Crede di essere solo, ma ben presto compaiono altri “abitanti”: eleganti villeggianti che sembrano ignorare completamente la sua presenza. Fra loro c’è Faustine, una donna che il protagonista inizia a osservare ogni giorno, alla stessa ora, fino a innamorarsene. Eppure ogni suo tentativo di comunicare con lei fallisce: è come se appartenessero a due piani diversi della realtà, destinati a non toccarsi mai.

Poco alla volta, dettagli inquietanti incrinano la scena: tramonti che si ripetono identici, dialoghi che si ripropongono uguali a se stessi, rumori che sembrano sfasati rispetto alle immagini. Il protagonista scopre così l’esistenza della “macchina di Morel”, un congegno capace di registrare e riprodurre all’infinito non solo le immagini e le voci delle persone, ma l’intera loro presenza: gesti, movimento, persino la temperatura dei corpi. I villeggianti che vede non sono vivi: sono proiezioni perfette, imprigionate in un loop eterno.

Di fronte a questa rivelazione, l’uomo è costretto a scegliere: continuare a vivere in una solitudine reale, o farsi “registrare” dalla macchina per poter stare per sempre accanto a Faustine, al prezzo di rinunciare alla propria vita biologica. L’isola diventa così una sorta di server ante litteram, un luogo in cui coscienze e corpi vengono trasformati in tracce ripetibili, copie senza originale.

Per chi ha amato “Pluribus”, “L’invenzione di Morel” è un ponte ideale: al posto della mente condivisa troviamo qui una realtà condivisa, artificiale, in cui l’identità si gioca sul confine tra presenza viva e replica tecnica. Il romanzo interroga con eleganza filosofica cosa significhi “esistere” quando la tecnologia è in grado di catturare e riprodurre ogni istante della nostra vita.

 

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