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Perché la letteratura ci insegna a non avere paura

Da Ammaniti alla Gamberale, da Stoner ad Anna Blume, ecco perché la letteratura ci insegna ad entrare in confidenza con la paura

MILANO – Conviviamo con la paura da sempre: appena veniamo al mondo siamo spaventati e piangiamo, perché ci si para davanti l’ignoto, il caos, un luogo agli antipodi rispetto a quello caldo e sicuro che abbiamo conosciuto per i nove mesi precedenti, dentro la pancia delle nostre madri. Subito capiamo – molto tempo prima di riuscire ad aprire gli occhi – che per tutta la vita avremo di fronte l’immensità di ciò che non conosciamo. Dalla nostra avremo soltanto quel poco che con fatica e sacrifici saremo stati in grado di aver fatto nostro. Il problema, in realtà, è che la paura non nasce soltanto da ciò che non conosciamo ma anche dalla consapevolezza che possa ricapitare quanto di sofferente e maligno abbiamo già vissuto. Secondo Milan Kundera, “l’origine della paura è nel futuro, e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere”, ma questa volta l’autore dell’Insostenibile leggerezza dell’essere sbaglia, perché la soluzione non può stare nel semplice carpe diem, nell’abbandono di qualsivoglia progetto o ambizione. E’ proprio grazie a quel futuro sul quale lavoriamo nel presente che la paura può essere vinta.

PAURA E AMORE – “L’amore allontana la paura” scrive Aldous Huxley e – possiamo aggiungere – le storie che leggiamo ci insegnano a gestirla. C’è chi ogni giorno fa per dieci minuti una cosa nuova (“Dieci minuti” di Chiara Gamberale), chi scrive una lunga lettera (come Anna Blume nel libro di Paul Auster “Nel paese delle ultime cose”), chi i mostri li prende a pugni (“Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti). Ma in fondo ogni libro, ampliando il ventaglio delle nostre esperienze e permettendoci di vivere le vite degli alti, allarga sempre più lo spazio in cui stiamo a nostro agio, schiarendo pagina dopo pagina le zone oscure, quelle dove non batte mai la luce. Il mondo diventa, parola dopo parola, più luminoso e candido, non tanto perché buono ma perché conosciuto. In fondo, però, ha ragione Huxley e con lui concorda John Lennon, Secondo quest’ultimo, “ci sono due forze motrici fondamentali: la paura e l’amore. Quando abbiamo paura, ci ritraiamo indietro dalla vita. Quando siamo innamorati, ci apriamo a tutto ciò che la vita ha da offrire con passione, entusiasmo, e l’accettazione”.

L’ACCETTAZIONE – I libri sono uno strumento di conoscenza e ci permettono di conoscere meglio sia il mondo che noi stessi. Le storie raccontano le nostre paure, ce le sbattono in faccia. Al costo di farci star male ci costringono ad affrontarle. Pensa a Stoner e al modo con cui ha mostrato quanto possa essere infelice la vita di un uomo. La sua storia parla del rischio che corre ognuno di noi di buttar via la propria vita, di non viverla fino in fondo, il rischio di non persistere nel ricercare la propria felicità. E spesso – è chiaro – questo rischio lo corriamo a causa della paura. Una paura viscerale, profonda, che è capace di convincerci che tutto va secondo i nostri piani, una paura capace di eliminare le nostre ambizioni e i nostri desideri. La lettura di certi romanzi ci libera da questa paura, insegnando a convivere con quell’antica amica che ci ha salutato già nei nostri primi secondi di vita. “Ho accettato la paura come una parte della vita – scrive Erica Jong – sono andata avanti nonostante i battiti nel cuore dicessero: torna indietro”. La letteratura, in definitiva, ci insegna che non possiamo permetterci di lasciarci sopraffare dai timori. Solo reagendo è possibile che la situazione migliori e che il mondo cambi.

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