“Noi”, quei colpevoli della morte di Stella, tra i 100 libri del New York Times

2 Dicembre 2025

“Noi e la morte di Stella”: la novella di Haushofer, tra i 100 Notable Books 2025, scava nella complicità domestica: una confessione breve, attualissima.

"Noi", quei colpevoli della morte di Stella, tra i 100 libri del New York Times

Nel 2025 l’edizione inglese di “Killing Stella” è entrata tra i 100 Notable Books del New York Times Book Review. È un dettaglio importante: significa che un romanzo austriaco del 1958, scabro e senza orpelli, parla al presente come pochi altri. Non potendo rimandare alla pagina del Times (bloccata dai loro sistemi), segnalo una fonte che riproduce e organizza l’elenco completo dei “Notable”: tra i titoli di narrativa figura proprio “Killing Stella”.

In Italia la novella è uscita come “Noi e la morte di Stella” per L’Orma, nella traduzione di Eusebio Trabucchi: un dato editoriale utile, perché l’italiano rende bene l’ambiguità del “noi” del titolo tedesco (“Wir töten Stella”), un plurale che include la narratrice, la famiglia, un’intera forma di convivenza.

La novella che torna a far male: perché leggerla, al di là del NYT

La voce che racconta è Anna, moglie e madre, chiusa in casa per un fine settimana. Davanti alla finestra e al giardino – due immagini che torneranno come un’ossessione – ripercorre l’arrivo in casa di Stella, diciannovenne figlia di una conoscente, educata in un collegio religioso e mandata “in città” per imparare a stare al mondo. La casa di Anna è un microcosmo: il marito Richard (infedele abituale), due figli già distanti, una routine di buone maniere in cui tutto è funzionale a non vedere.

Anna “aggiusta” Stella: abiti, capelli, postura. È un gesto materno e, insieme, un atto di messa in scena. Quando Richard si accorge della bellezza della ragazza, la seduzione è rapida, quasi amministrativa. La corsa verso la catastrofe è senza rumore, ma inevitabile. Non ci sono agnizioni, non c’è suspense poliziesca; c’è una confessione. Ed è qui che Haushofer lavora sul lettore: l’assassinio non è un evento improvviso ma una somma di omissioni. La domanda non è “chi ha ucciso?”, bensì “chi non l’ha salvata?”.

Per un quadro critico d’insieme rimando a una recensione del Washington Post, che parla di “horror di vita reale” e insiste su come Anna sia insieme vittima e complice: il libro, scrive B.D. McClay, mostra “la capacità umana – bellissima e terribile – di resistere a quasi tutto”.

Cosa mette in scena Marine Haushofer, e perché riguarda “noi”

Il patriarcato

Non ci sono “mostri”: Richard non è un villain da manuale; è un uomo socialmente irreprensibile, che usa gli altri senza percepirlo come violenza. Il mondo attorno gli permette quella miopia. Haushofer non descrive le botte – descrive le condizioni che le rendono superflue. È il patriarcato quotidiano, quello che non ha bisogno di gridare: decide gli sguardi, occupa lo spazio, formula l’ovvio. Perciò il romanzo colpisce forte nel 2025: non passa da un tribunale, passa dalla cucina.

Il “noi” del titolo: una colpa comune e sempre viva

Il titolo tedesco (“Wir töten Stella”) chiama in causa un plurale. Chi è il “noi”? Anna, certo. Ma anche Richard, i figli, la conoscente che manda la ragazza a “farsi” a città, la società in cui una diciannovenne ingenua è materiale malleabile, e in cui la vergogna – non l’uomo – la uccide davvero. Soprattutto, il “noi” ingloba il lettore: quante volte, nella vita, abbiamo “messo a posto” qualcuno per renderlo accettabile al mondo, senza chiederci a chi servisse davvero?

La voce: un referto emozionale

La prosa di Haushofer è piana, misurata; ma l’effetto è incandescente. Il racconto procede per frasi brevi, interrotte da ritorni ipnotici al giardino, alla finestra, al corpo inerte del presente. È una pagina “fredda” che brucia, come nota anche la scheda dell’editore americano New Directions: un “ritratto inquietante della colpa e dell’autoinganno” narrato con “forza allucinatoria”.

Mettere “Stella” accanto a “La parete”: continuità e scarti

Una chiave per leggere “Noi e la morte di Stella” è accostarla a “La parete” (“Die Wand”, 1963), il romanzo di Haushofer che ha trovato nuovi lettori negli ultimi anni. Là, una donna si ritrova isolata in un alpeggio da una barriera invisibile: un’apocalisse privata. Qui, invece, l’apocalisse è sociale e ha il volto del normale. Il New Yorker, tornando su Haushofer, ha visto in entrambi i libri un’indagine sulla “claustrofobia femminile” e su una resistenza che costa carissimo: lo spazio chiuso del bosco in “La parete”, lo spazio chiuso della casa in Stella.

La differenza decisiva sta nel tipo di responsabilità: la protagonista de “La parete” sopravvive inventando ogni giorno un’etica minima; Anna, in “Stella”, sceglie di non vedere. Sono due facce della stessa domanda: “che cosa significa prendersi cura?” “La parete” è una prova che obbliga a scegliere, Stella è una prova che permette di non scegliere – e proprio per questo condanna.

Una costruzione da manuale, ma senza “trucchi”

Il libro è un lungo monologo nel presente – un diario di due giorni – che rammenda e strappa il passato. Haushofer dosa ripetizioni e vuoti: non tutto viene detto subito; la verità trapela per approssimazioni, come se la narratrice stessa si censurasse. È un’arte della reticenza che ricorda le eroine moderniste di Jean Rhys (citata dal New York Times) e, tra le autrici più tarde, Fleur Jaeggy.

Il motivo della finestra e del giardino

La finestra è un teatro e una scusa: guardare fuori significa non guardare dentro. Il giardino, apparentemente rassicurante, ospita un continuo lavoro di proiezione: Anna vi sgrana ansie e piccoli segnali (il nido, il clima, una creatura che non ce la farà). È un controcampo morale: la natura non giudica, ma fa attrito con l’autoassoluzione.

L’“aggiustamento” estetico come violenza

Uno dei punti più agghiaccianti: Anna decide di rendere Stella “presentabile”. Non lo vive come tradimento, eppure è la prima violenza. L’educazione al decoro diventa educazione al desiderio altrui. È qui che Haushofer mostra il lato oscuro di un’ideologia femminile dell’ordine: sistemare, pettinare, “mettere a posto” per chi?

Che cosa dice oggi (e a chi dà fastidio)

Il mito della neutralità femminile

La critica anglofona ha sottolineato quanto il libro sia un “brillante studio della complicità e della colpa” in un contesto domestico (ancora il Washington Post, con un’analisi che mette in rapporto “Stella” e “La parete”). Non c’è femminilità “neutra”: o si contratta col potere, o lo si disinnesca pagando un prezzo.

L’idea di resistenza “privata”

La resistenza non è sempre eroica. Talvolta è micro-etica: decidere di non “rifinire” le persone perché piacciano di più; decidere di credere alle ragazze quando raccontano i corteggiamenti degli adulti; decidere di spostare il proprio sguardo di un centimetro. Per questo la novella sconvolge: smonta il conforto dell’“io non c’entro”.

Dalla stampa: come ne hanno parlato

  • Il Washington Post definisce il libro “un horror di vita reale” e legge in Anna la somma di vittima e complice, restituendo l’idea che la nostra capacità di resistere può essere tanto una forza quanto una tragedia.
  • Il sito dell’editore americano New Directions parla di “forza allucinatoria” e di “ritratto della colpa e dell’autoinganno”, segnalando la nuova traduzione di Shaun Whiteside e l’impatto del testo breve.
  • Una ricognizione critica del New Yorker su Haushofer conferma la centralità dei temi di isolamento e sopravvivenza nella sua opera, con rimandi espliciti tra “La parete” e “Stella”.

Come lavora la lingua: tagliare per far sanguinare

Haushofer usa parole economiche. Taglia gli aggettivi, ripete nuclei (“non sapevo”, “non ho visto”, “non ho fatto in tempo”) finché si incrinano. La sintassi è diurna – niente virtuosismi – ma ogni periodo ha una piccola crepa. Il lettore la vede in controluce, e quando arriva alla pagina finale si accorge che quella crepa è diventata voragine.

È uno stile che alcuni critici hanno accostato al gotico domestico: una casa, una donna, un segreto. Ma qui il segreto non è un fantasma; è un fatto visibile, condiviso, e proprio per questo innominato. Il brivido non nasce dell’ignoto, nasce dall’ovvio.

Metafore chiave

Il giardino e la finestra

La finestra è un diaframma tra intimità e spettacolo. Il giardino è un’arena minima dove Anna proietta allegorie (un nido fragile, un volatile caduto, la pioggia che “lava via” ciò che non si lascia lavare). Guardare fuori le consente di narrare senza nominare, di circumnavigare la colpa. Fino al momento in cui la narrazione cede, e il “noi” si pronuncia.

La “toeletta” come rituale di potere

Il makeover di Stella non è un gioco da ragazze: è costruzione del desiderio altrui. Pettinare, vestire, insegnare a stare seduta: tutto serve a rendere leggibile la giovane ai codici maschili della casa. L’“educazione sentimentale” che Anna impartisce è, inconsapevolmente, consegna.

Il plurale del titolo

Quel noi è il vero labirinto. Non indica un patto criminale; indica la rete di ruoli e omissioni che portano all’evento. È una parola che allarga la responsabilità fino a includere i silenzi. E quando arrivi all’ultimo capitolo ti chiedi – con disagio – quanti “noi” ho frequentato, nella mia vita?

Che cosa resta addosso

L’arte può essere innocente?

Haushofer non offre scappatoie. Anche il modo in cui racconti è una scelta morale: scegliere cosa mostrare, quando e quanto. In democrazia come in regime, “mettere la macchina da presa” in un punto e non in un altro prende posizione. Qui la scelta è spietata: restare addosso al non detto, costringere il lettore a completare l’orrore.

Esiste un punto di non ritorno?

Quasi mai lo vediamo arrivare. La somma dei piccoli accomodamenti ha la forza di un grande cedimento. Non è una morale teologica; è una pratica quotidiana: ogni volta che preferiamo la quiete alla verità, spostiamo un granello. Alla fine, quella duna ci seppellisce.

Che cosa vuol dire “resistere” qui?

Non tutti possono fare gesti eclatanti. A volte resistere è rifiutarsi di rifinire qualcun altro per renderlo appetibile. È spostare di un centimetro il proprio sguardo, e tenere quel centimetro anche quando costa una cena rovinata, un commento acido, una promozione mancata. In questa novella, l’eroismo è non disinnescabile: o c’è nelle piccole scelte, o non c’è.

Un libro “breve” che pesa

“Noi e la morte di Stella” sta sotto le cento pagine (l’edizione inglese, così come quella italiana de L’Orma, si ferma a 96), ma la sua densità è anomala. Qui la brevità non è povertà di materiali; è compressione. La tecnica del non detto obbliga a rileggere (anche fisicamente, girando indietro le pagine): è un’esperienza raramente “gentile”, ma onesta. E spiega il motivo per cui, a distanza di decenni, il libro continua a rientrare nel canone, a essere ripreso, tradotto, discusso.

Per chi è (e per chi non è)

È un libro per lettori pazienti, che non chiedono conforto. Per chi vuole interrogare i meccanismi dell’attenzione (dove guardiamo, da chi ci lasciamo guardare). Per chi diffida dei finali consolatori. Non è – ed è bene dirlo – per chi ha bisogno, oggi, di una storia di riscatto. Qui non si vince: si prende atto. È già molto.

Una nota sull’autrice e sul “caso” Haushofer

Marlen Haushofer (1920–1970) è stata a lungo percepita come scrittice “di culto”, quasi segreta, e soltanto negli ultimi anni è entrata con decisione nel circuito internazionale: nuove traduzioni, ristampe, film. Il New Yorker ha raccontato questa tardiva consacrazione, spiegando come i suoi libri – spesso “domestici” – si rivelino, in realtà, esperimenti di sopravvivenza. “Killing Stella” (1958) precede “La parete” (1963) e ne prepara il terreno morale.

Per le informazioni editoriali italiane (traduzione, collana, dati di pubblicazione), la scheda L’Orma è la fonte più limpida e aggiornata.

La colpa siamo “noi”

A fine lettura non resta l’indignazione: resta vergogna. Non quella spettacolare, ma quella che cambia postura. Haushofer non ci chiede di odiare Richard – sarebbe facile –; ci chiede di riconoscere il nostro ricamare, pettinare, mettere a posto. Il delitto di Stella non è un cold case del 1958. È un case caldo in ogni stanza che ha preferito il decoro alla verità.

Leggere (o rileggere) questo libro nel 2025 non è un atto museale. È, al contrario, un test d’urto: quanto siamo disposti a vedere quando passiamo davanti alla finestra? Se la risposta è “di più di ieri”, allora la letteratura – quella davvero necessaria – ha fatto il suo lavoro.

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