Il giurista e costituzionalista italiano e l’antropologo francese interverranno domani all’interno del convegno, che prende il via oggi a Torino
RASSEGNA STAMPA QUOTIDIANA – Si apre oggi a Torino Biennale Democrazia, e per l’occasione Repubblica e La Stampa anticipano una parte degli interventi di due protagonisti di domani. Su Repubblica, la riflessione del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky sull’importanza delle idee come fattore della felicità umana. Su La Stampa, la lezione dell’antropologo francese Marc Augé su come, adottando il metodo scientifico, possiamo tornare a progettare il nostro futuro in campo politico. Ancora su Repubblica Marco Ansaldo firma un articolo in cui propone la cronaca dell’incontro tra il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, scrittore turco di Istanbul, e il nostro Umberto Eco. L’appuntamento si è tenuto ieri in occasione dei 150 anni dell’Università del Bosforo, nell’aula magna, e il dialogo si è svolto sul tema “Fatti, fiction e storia”.
LE IDEE, FATTORE DI FELICITÀ – Nel suo intervento, in cui interpreta il tema della Biennale di quest’anno, “Utopia. Possibile?”, Zagrebelsky rileva che negli elenchi di quelli che consideriamo i beni della vita, non troviamo quasi mai considerate le idee. Eppure “le idee possono dare anch’esse felicità […] alle persone di pensiero”, afferma il giurista, che non esita a definire l’elaborazione d’idee “qualcosa a cui può essere dedicata, in tutto o in parte, la propria esistenza”. Tutti oggi pensano che la felicità debba essere il fine più alto della vita, e che il “diritto alla felicità” o quanto meno alla “ricerca della felicità” sia fondamentale. E nella nostra epoca, in cui tutto sembra basarsi sulla misurazione di quanto materialmente si possiede, anche per la felicità si cercano di fissare parametri misurabili che la quantifichino. Tra questi parametri però, nelle nostre società, figurano indici come il PIL, che fanno coincidere sostanzialmente la felicità con il benessere economico: è di questo che si occupano gli organi di governo. Già Robert Kennedy, in un discorso pronunciato all’Università del Kansas nel 1968, “denunciava la riduzione economicista e materialista della felicità e dell’infelicità all’indice Dow-Jones e al prodotto nazionale lordo” e proponeva altri fattori da considerare, i “beni dello spirito”, ma non nominava le idee. Il governo Sarkozy nel settembre 2009 incaricò tre magistrati “di suggerire criteri per il ricalcolo del benessere collettivo, sottraendolo alle regole produttivistiche del PIL”. E da noi, “l’Istat e il Cnel hanno messo a punto il Bes (Benessere equo e sostenibile”, un misuratore fondato su indicatori non solo economici, che prendono in considerazione anche i rapporti con gli altri, l’ambiente in cui si vive, l’avere o no un lavoro. Ma “le idee non entrano nel computo dei fattori di vita buona”. Eppure, afferma Zagrebelsky, è vovvia che una società senza idee è infeconda e infelice. Il silenzio sul valore delle idee ci dice molto sulla nostra società, mette in guardia il giurista: evidentemente, visto che “tante idee liberano; una sola opprime”, è alla libertà che la nostra società non dà valore.
LA CONOSCENZA, IL FINE DELLA COMUNITÀ UMANA – La riflessione di Marc Augé riportata da La Stampa muove invece dall’osservazione del ruolo sempre più importante che la collaborazione e il confronto hanno nel mondo della scienza, in cui i ricercatori operano all’interno di una comunità. Oggi che per effetto del rapidissimo evolversi quotidiano delle tecnologie non riusciamo a tenere il passo con il cambiamento, con un futuro che ci piomba sempre addosso cogliendoci impreparati, forse proprio dalla comunità scientifica possiamo apprendere il metodo per ricominciare a pianificare l’avvenire della nostra comunità politica. Non si tratta più, come nel Novecento, di prefissarsi grandi ideali totalitari da porsi come obiettivo, di combattere per realizzare l’immagine del mondo che vorremmo. Più realisticamente, bisognerebbe procedere per ipotesi e verifiche, e laddove le ipotesi non vengono confermate dalla pratica, bisogna revisionarle, rivederle. “Non tutto è […] negativo nella constatazione, che siamo obbligati a fare, di un indebolimento o anche di una scomparsa delle proiezioni politiche del XIX secolo”, afferma Augé. “Questa assenza di rappresentazioni costruite del futuro ci dà forse un’effettiva opportunità di concepire cambiamenti nutriti dell’esperienza storica concreta e della pratica della ricerca fondamentale”. In questa prospettiva, il fine ultimo della comunità umana, non solo di quella scientifica, deve essere la conoscenza, che non è in contrasto, ma anzi favorisce il raggiungimento della felicità.
L’INCONTRO TRA PAMUK ED ECO – Sono stati diversi gli spunti di discussione toccati da Pamuk ed Eco durante il loro incontro di ieri, come riportato da Repubblica. I due hanno discusso di stili di lettura – c’è il lettore più ingenuo, emotivamente coinvolto (Pamuk ammette di vestirne spesso i panni), e quello più distaccato, critico, analitico – e di stili di scrittura, raccontandosi e confrontandosi come autori. “Un tempo i romanzi erano scritti per il popolo, oggi lo sono spesso per gente di buon livello”, afferma Pamuk. “Così noi autori naïf non scriviamo romanzi rosa, ma più complessi. E il romanzo storico non deve essere per forza reale, può anche essere artificiale. […] Io sono come un mago, confondo le vistre menti. Anche Umberto fa questo, e penso che scriva ottimi romanzi storici.” “‘Il nome della rosa’ e ‘Baudolino’ sono romanzi storici. Perché? Perché probabilmente non voglio entrare in cose troppo personali, non mi piace partecipare a livello sentimentale”, confida Eco.
LE ALTRE NOTIZIE – Tra le altre notizie, su Il Giorno Piero Degli Antoni ci aggiorna sulla situazione della libreria Hoepli, che a gennaio aveva chiesto la cassa integrazione a rotazione per i suoi dipendenti, un giorno a settimana a testa. “La cig ha avuto una durata di tre mesi ed è stata appena rinnovata”, scrive degli Antoni. Sul Corriere della Sera Andrea Nicastro ci presenta il saggio di Arcadi Espada, “En nombre de Franco”, in cui il giornalista spagnolo revisiona il mito di Giorgio Perlasca, l’eroe italiano che a Budapest, secondo la versione fin qui conosciuta, avrebbe salvato migliaia di ebrei dalla deportazione. Secondo Espada, la vera mente del salvataggio fu piuttosto Àngel Sanz Briz, ambasciatore spagnolo che agiva comunque per ordine del dittatore Franco. Su Libero Simone Paglia presenta il “Cahier de l’Herne” dedicato a Georges Simenon. Il volume, edito da L’Herne e uscito in questi giorni in Francia, raccoglie inediti e interviste allo scrittore per la cura di Laurent Demoulin, responsabile del fondo Simenon. Su il Giornale Stefania Vitulli presenta il romanzo distopico di Vladimir Vojnovic “Mosca 2024”, in cui l’autore immagina una Russia ancora comunista, e su il Messaggero Fabio Isman presenta il primo volume della “Storia degli ebrei italiani dalle origini al XV secolo”, di Riccardo Calimani, da oggi in libreria. Repubblica e Libero, infine, danno notizia in una breve della morte di José Sampedro, economista e scrittore spagnolo, autore de “Il sorriso dell’etrusco”, avvenuta lunedì e resa nota ieri dalla moglie.
10 aprile 2013
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