Il Natale, per gli scrittori, raramente è soltanto una festa. È piuttosto una parentesi narrativa, un tempo sospeso in cui le abitudini diventano rituali e i gesti quotidiani sembrano chiedere di essere raccontati. C’è chi lo trasforma in letteratura, chi lo vive come un teatro domestico, chi lo reinventa ogni anno con piccole stranezze. Osservare come gli autori del passato e del presente hanno attraversato le feste significa sbirciare dietro le quinte delle loro opere, nei luoghi in cui la scrittura nasce prima ancora di diventare parola.
Lontano dai cliché delle tavole imbandite e delle luci scintillanti, il Natale degli scrittori si nasconde spesso nei dettagli: nei gesti ripetuti ogni anno, nelle abitudini eccentriche o tenerissime che difficilmente finiscono nei manuali di letteratura. Sono scene private, a volte silenziose, a volte teatrali, che raccontano un lato più umano degli autori. Mescolate insieme, sembrano comporre un racconto corale, dove la letteratura scende dal piedistallo e si siede a tavola.
Il Natale come racconto, rifugio e atto creativo
In tutti questi casi, il Natale non è mai una scenografia neutra. È un punto sensibile dell’anno che rivela il rapporto degli scrittori con il tempo, il lavoro, gli affetti. Per alcuni è pausa, per altri scintilla, per altri ancora un semplice gesto ripetuto che diventa rituale.
Non a caso, in Islanda esiste il Jólabókaflóðið, l’inondazione di libri: la sera della Vigilia si regalano libri e si passa la notte a leggerli. Silenzio, pagine, immaginazione. Forse è questa l’immagine che più si avvicina al Natale degli scrittori: non una festa da esibire, ma un tempo da abitare.
J.R.R. Tolkien: il Natale come mito domestico
Per Tolkien il Natale era un’estensione naturale dell’immaginazione. Ogni anno scriveva ai figli le celebri Lettere di Babbo Natale, firmandosi come se fosse davvero il vecchio signore del Polo Nord. Non semplici biglietti augurali, ma veri racconti illustrati, pieni di personaggi, incidenti, mappe e avventure. Il Natale diventava così un rito narrativo familiare, una saga privata che cresceva con i bambini. In quelle lettere si intravede lo stesso impulso che darà vita alla Terra di Mezzo: la necessità di costruire mondi coerenti, anche per amore.
Charles Dickens: inventare il Natale moderno
Con Canto di Natale, Dickens non si è limitato a raccontare una storia: ha contribuito a definire l’immaginario natalizio che ancora oggi riconosciamo. Per lui il Natale era redenzione, famiglia, calore condiviso. Tavole imbandite, carità, musica, spiriti e seconde possibilità. Ogni dicembre tornava a raccontarlo come un appuntamento fisso, un brindisi narrativo da condividere con il mondo. Il suo Natale non era intimo, ma pubblico: un gesto letterario che trasformava la festa in un’esperienza collettiva.
Virginia Woolf: il Natale silenzioso
All’estremo opposto, Virginia Woolf viveva il Natale con discrezione. I suoi regali erano semplici, spesso frutti raccolti nel giardino, come le mele. Nessuna ostentazione, nessun eccesso. La festa diventava un tempo di passeggiate, di quiete, di osservazione. Un Natale che non faceva rumore, ma lasciava spazio ai pensieri, alle sensazioni, a quelle riflessioni minime che sarebbero poi confluite nella sua scrittura.
William Faulkner: l’essenziale come scelta
Faulkner aveva una richiesta natalizia chiarissima: accettava come unico regalo scovolini per la pipa. Tutto il resto era superfluo. Un desiderio così minimale da sembrare una metafora involontaria della sua prosa, asciutta, ostinata, priva di ornamenti inutili. Anche il Natale, per lui, doveva essere funzionale, senza fronzoli.
Ernest Hemingway: zucchero e animali
Hemingway decorava il Natale con topolini di zucchero, dolcetti tradizionali che spesso attiravano l’attenzione dei gatti di casa. Un dettaglio apparentemente infantile, che racconta invece un Natale fatto di materia concreta, di gusto, di animali, di una convivialità ruvida e istintiva. Anche sotto l’albero, il suo spirito restava quello dei bar affollati e delle case vive.
Jean-Paul Sartre: il Natale come resistenza
Nel 1940, durante la prigionia in Germania, Sartre mise in scena una rappresentazione della Natività per gli altri prigionieri. Pochi mezzi, nessuna libertà, ma una straordinaria carica simbolica. In quel contesto, il Natale diventava un atto di solidarietà e di immaginazione condivisa: quando non puoi uscire dal campo, la creatività diventa una forma di sopravvivenza.
Il Natale degli scrittori italiani
Alessandro Manzoni: fede e provvidenza
Nelle opere di Manzoni, come negli Inni sacri, il Natale è la celebrazione di una rivoluzione silenziosa: la nascita di Cristo come riscatto della condizione umana. A livello domestico, le testimonianze raccontano un Natale conviviale, profumato di dolci, con il panettone al centro di una tavola che immaginiamo severa, ma capace di sciogliersi almeno una volta l’anno.
Dino Buzzati: il Natale come territorio narrativo
Buzzati ha dedicato al Natale oltre trenta testi tra racconti, poesie e articoli, poi raccolti in Il panettone non bastò. Per lui la festa era una lente attraverso cui osservare il tempo, la perdita, l’attesa. C’è il primo Natale senza il padre, ma anche riflessioni ironiche sulla “tecnica dei regali”. Il Natale diventa filosofia quotidiana.
Umberto Eco: il presepe come sistema di segni
Eco amava allestire il presepe con il nipotino. Un rito paziente, quasi semiotico, dove ogni statuina trovava il suo posto. Il Natale diventava esercizio di ordine, memoria e condivisione: un testo da leggere e rileggere, fatto di simboli.
Eugenio Montale e Giovannino Guareschi
Montale viveva le feste con discrezione, quasi in punta di piedi. Guareschi, al contrario, amava un Natale di provincia, conviviale, fatto di tavola, racconti e comunità. Due modi opposti di abitare lo stesso momento dell’anno.
Gli scrittori contemporanei e il Natale
Chimamanda Ngozi Adichie: racconta il Natale come una festa collettiva, rumorosa, legata alla comunità e alla memoria dei Natali in Nigeria.
Sally Rooney: sembra viverlo attraverso atmosfere sensoriali: musiche, luci, dettagli emotivi più che rituali solenni.
Ali Smith: lo usa come calendario narrativo, un tempo che fa emergere le stranezze domestiche e i rapporti familiari imperfetti.
Stephen King: ha spesso raccontato di concedersi una pausa dalla scrittura solo in tre giorni all’anno, uno dei quali è Natale.
Sophie Kinsella: amava profondamente il Natale, vissuto in famiglia e nella musica; è scomparsa serenamente proprio durante le feste, circondata dall’affetto.
