Nadine Gordimer, la voce coraggiosa che sfidò l’apartheid

19 Luglio 2025

Scopri come Nadine Gordimer ha usato la sua penna per combattere l'ingiustizia e dare voce a chi non ce l'aveva.

Nadine Gordimer, la voce coraggiosa che sfidò l'apartheid

Nadine Gordimer non è stata solo una scrittrice, ma una voce solida e tonante che ha scelto di raccontare ciò che molti, accanto a lei, si rifiutavano di vedere. È stata parte della resistenza all’apartheid e ha messo in luce il razzismo istituzionalizzato attraverso le sue opere.

Nata in Sudafrica nel 1923, bianca e figlia della borghesia, Nadine Gordimer non è proprio il tipo di persona che tutti si aspetterebbero di vedere accanto a Mandela; tuttavia è la stessa che scrisse romanzi così scomodi a livello politico da essere vietati.

Nadine Gordimer e l’educazione all’indifferenza: cosa significa nascere dalla parte sbagliata

Nadine Gordimer nasce nel 1923 a Springs , una cittadina mineraria poco lontana da Johannesburg. È figlia di una famiglia borghese: il padre, ebreo lituano, gestisce una gioielleria; la madre, inglese, è una donna colta ma fragile.

La casa in cui cresce è piena di libri, ma anche di silenzi. Gordimer è bianca, vive nel lato “giusto” della segregazione, circondata da agi e tutele. All’inizio, non sa nemmeno di vivere in un mondo profondamente ingiusto e, come molti bambini privilegiati, non conosce la violenza dell’apartheid.

Ma con il trascorrere del tempo le cose cambiano. A dieci anni, Nadine Gordimer inizia a porsi delle domande: perché la sua domestica nera deve entrare da una porta di servizio e perché certe zone della città sono vietate ai “non bianchi”? Perché nei treni ci sono scompartimenti separati? E perché le biblioteche dividono i libri, i parchi le panchine etc. in un ciclo infinito, dove il mondo sembra una torta a spicchi?

La sua infanzia prende una piega stranissima. Dovrebbe essere felice, divertirsi con i bambini, ma scopre la diseguaglianza… Perciò a undici anni scrive il primo racconto per una rivista — per bambini, beninteso.

È una forma di disobbedienza silenziosa, un modo per dire ciò che nel suo mondo nessuno dice. Inizia così la sua forma di attivismo, sotto gli occhi di tutti, mettendo in contraddizione il mondo fino ad allora conosciuto.

A sedici anni, poi, c’è la goccia che fa traboccare il vaso. Una sua amica viene arrestata perché comunista e lei assiste all’evento, impotente, scoprendo così la repressione politica. Da lì in poi, la scrittura non sarà più evasione, ma strumento. Non decorazione, ma denuncia. E se prima era stata una sorta di disobbedienza, un tentativo per muovere i primi passi della discordia nell’attivismo, ora Nadine Gordimer inizia a fare fuoco e fiamme.

La formazione di un Nobel

  • L’autodidattica precoce

Nadine comincia a scrivere giovanissima. È una bambina solitaria, spesso lasciata sola dalla madre, che la incoraggia però a leggere. Si forma leggendo classici inglesi, francesi e russi, e scopre presto l’importanza della letteratura come lente sulla realtà. Virginia Woolf, D.H. Lawrence, Flaubert, Čechov e Dostoevskij sono tra gli autori che più la influenzano.

  • Un’educazione irregolare

Frequenta scuole cattoliche e scuole private ma non conclude gli studi universitari: si iscrive all’University of the Witwatersrand a Johannesburg, ma lascia dopo un solo anno. Si considera “poco adatta alle istituzioni”, e costruisce la sua formazione fuori dagli schemi.

In seguito dirà: “Tutto ciò che ho imparato, l’ho imparato da ciò che ho vissuto e da ciò che ho letto.”

  • L’osservazione diretta dell’apartheid

La vera “formazione politica” avviene nelle strade di Johannesburg, osservando la quotidianità della segregazione razziale e i suoi effetti sulle persone comuni. Gordimer si avvicina progressivamente a intellettuali neri, attivisti e avvocati dell’ANC, rompendo con il mondo borghese in cui era cresciuta. L’esperienza personale diventa la sua più potente fonte di conoscenza.

  • La scrittura come educazione etica

Pubblica racconti in riviste letterarie e comincia a usare la narrativa per esplorare temi sociali. Il primo romanzo, The Lying Days (1953), è semi-autobiografico e già carico di tensione razziale.

Per Gordimer, scrivere non è mai stato solo esprimersi, ma formarsi scrivendo. “La letteratura è sempre stata, per me, una forma di resistenza. Scrivere è diventare consapevoli.”

  • L’incontro con l’intellighenzia internazionale

Negli anni ’60–’70, grazie alle sue pubblicazioni su riviste come The New Yorker, entra in contatto con il panorama letterario mondiale. Partecipa a conferenze, scrive saggi, interviene nei dibattiti internazionali sul razzismo e la libertà di espressione. Questi scambi la arricchiscono senza snaturarla: resta ancorata alla sua terra, ma si forma anche come intellettuale globale.

Contro l’apartheid, accanto a Mandela: quando la letteratura diventa azione

Nadine Gordimer non ha mai scritto da spettatrice. La sua letteratura è nata dentro l’apartheid, contro l’apartheid. Quando il regime segregazionista era ancora saldamente al potere in Sudafrica, Gordimer sceglie di schierarsi con decisione. Si avvicina all’ African National Congress (ANC) , allora considerato fuorilegge, e inizia a frequentare attivisti, intellettuali neri, avvocati, militanti.

Diventa una voce bianca di dissenso, tra le pochissime in un mondo in cui il silenzio era comodo e il privilegio paralizzava.

Non è una militante di facciata: i suoi libri vengono censurati, i suoi legami monitorati, la sua casa tenuta sotto osservazione. Gordimer non si tira indietro. Aiuta a nascondere documenti segreti, scrive testi di denuncia, e soprattutto testimonia.

Quando Nelson Mandela viene arrestato e processato nel 1962 come uno degli imputati del famoso Processo di Rivonia, Nadine Gordimer collabora con i suoi avvocati , fornendo loro materiale e visibilità internazionale. Dopo la liberazione di Mandela, i due manterranno un rapporto di profonda stima reciproca.

Nel 1991, quando Gordimer riceve il Premio Nobel per la Letteratura, Mandela è libero da un anno. E sono proprio le sue parole a spiegare meglio di chiunque altro il ruolo della scrittrice: “Nadine Gordimer ha dato voce a chi non poteva parlare. È una delle persone che ha aiutato il mondo a capire cosa significava vivere in un paese diviso.”

Quando scrivere è pericoloso: la censura dei libri di Nadine Gordimer

In un regime che aveva paura delle parole, i libri di Nadine Gordimer facevano paura. Alcuni furono censurati ancor prima di raggiungere le librerie. Altri furono rimossi dagli scaffali, vietati, nascosti.

Il Sudafrica dell’apartheid non poteva permettersi che una scrittrice bianca raccontasse la verità: le ingiustizie sistemiche, la violenza, la segregazione non più come cronaca, ma come esperienza letteraria.

Tra le opere più colpite c’è “La figlia di Burger’” (1979), che racconta la storia della figlia di un attivista comunista incarcerato. Il libro venne bandito perché, secondo la censura, “poteva incoraggiare il malcontento e la disobbedienza”. Solo dopo l’intervento di intellettuali stranieri — e il clamore internazionale — fu riammesso alla circolazione.

Anche “Luglio” (1981), romanzo distopico che immagina un Sudafrica futuro in cui i bianchi devono chiedere asilo ai loro ex servi neri, venne duramente osteggiato. Considerato “pericoloso”, il testo fu vietato nelle scuole e accusato di “minare l’autorità bianca”.

Gordimer sapeva che ogni parola aveva un peso, ma non smise mai di usarla. Come dirà anni dopo: “Essere censurata è stata la conferma che stavo facendo la cosa giusta.”

Quando la letteratura diventa giustizia: il Nobel a Nadine Gordimer

Nel 1991, Nadine Gordimer riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Il comitato di Stoccolma la premia per aver dato voce, con eccezionale chiarezza morale e sensibilità narrativa, “a un’intera epoca nella coscienza del Sudafrica”. Ma il Nobel, per lei, non è un punto d’arrivo: è una tappa nel cammino di chi ha sempre creduto che la letteratura non dovesse limitarsi a raccontare, ma agire.

E oggi, che il mondo continua a confrontarsi con disuguaglianze, razzismi, discriminazioni e silenzi comodi, i suoi romanzi restano attuali come non mai. Leggere Gordimer significa confrontarsi con la storia, ma anche con se stessi. Significa scoprire quanto la scrittura possa essere coraggiosa, scomoda e necessaria. Proprio come la verità.

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