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Miriam Toews, “La famiglia è la cosa più importante”

"Un complicato atto d'amore", il romanzo della scrittrice canadese Miriam Toews pubblicato quest'anno in una nuova edizione da Marcos y Marcos

TORINO – Avere sedici anni, ci dice Nomi, non è facile, soprattutto in una famiglia mennonita, “la sottosetta più sfigata a cui si possa appartenere a sedici anni”. È questo che pensa Nomi, la protagonista di “Un complicato atto d’amore“, il romanzo rivelazione della scrittrice canadese Miriam Toews, pubblicato per la prima volta in Italia da Adelphi nel 2005 e ripubblicato quest’anno in una nuova edizione da Marcos y Marcos. Il problema è che dal villaggio Nomi vorrebbe scappare, curiosa di scoprire il mondo, ma non può, non se la sente di abbandonare, come hanno già fatto sua madre e sua sorella, il padre, fedele mennonita dolcissimo e triste. Abbiamo parlato di questo travolgente romanzo insieme all’autrice al Salone Internazionale del Libro di Torino.

“Un atto complicato” è tornato in libreria. Come ti senti all’idea?

È un sentimento strano e interessante. È un’ottima cosa. Ogni libro che ho scritto occupa uno spazio speciale nel mio cuore e tornare a parlare di questo libro mi riporta alla mente tanti ricordi ed è molto gratificante pensare che le persone lo stiano leggendo ancora oggi, a tutti questi anni dalla prima pubblicazione.

Come ti spieghi questo ritorno?

Penso che le persone trovino la comunità mennonita intrigante, esotica, come per me possono esserlo, per esempio, gli italiani. Poi è un romanzo di formazione e tante persone credo si immedesimino nei protagonisti. Oppure è per la voce ribelle di Nomi, che da un lato è curiosa e critica e dall’altro tenera e dolce e testimonia le relazioni di amore-odio che abbiamo con la nostra città, la nostra famiglia o col nostro lavoro. Non saprei esattamente. È un’ottima domanda ma sinceramente non saprei rispondere con esattezza.

Ti piace scrivere dell’adolescenza?

L’adolescenza è un’età di cui amo scrivere. Quelli dell’adolescenza sono anni fondamentali nella vita delle persone. Un’età complicata, perché per certi versi si è ancora bambini e per altri, invece, si è adulti e, in un certo qual modo, sofisticati. È il momento della vita in cui si è in cerca della propria identità e si tenta di definirla.

Tornando a Nomi, è un ragazza ribelle e allo stesso tempo molto responsabile. Cosa pensi che piaccia ai lettori di questo personaggio?

Molte persone la trovano scoraggiante, perché non riesce a prendere il controllo della propria vita, anche se in qualche modo può essere considerata una vittima della sua città. Vorrebbe lasciarla, come ha fatto sua sorella, ma non può per amore del padre. Tanti sono i conflitti che albergano dentro di lei, forse è questo che affascina i lettori.

E al centro del romanzo c’è il concetto di famiglia.

Per me la famiglia è la cosa più importante di tutte. La mia famiglia, i miei genitori, mia sorella, anche se alcuni di loro sono morti, per me sono ancora vivi nella mia mente, nel mio cuore, nella mia immaginazione. Prendermi cura della mia famiglia, sapere che mi sto prendendo cura della mia famiglia, anche della memoria della mia famiglia, mi dà conforto, e vivo ogni giorno con la consapevolezza di avere il loro amore. Eppure, allo stesso tempo, la famiglia può condurti alla pazzia, è un microcosmo ricco di conflitti, arriva sempre un momento in cui vogliamo liberarcene, vogliamo rompere i ponti, vogliamo andarcene,anche se è proprio nella famiglia che possiamo rilassarci, essere noi stessi. Amo scrivere della famiglia, con le sue tensioni, fragilità e carica d’amore. Nella famiglia ci può essere tanta sofferenza, tanto dolore, ma anche tanto amore.

Interessante è il modo col quale gestisci il tempo nel romanzo. Un tempo che non è definito, salti temporali che sono spesso di vari anni, eppure dotato di una certa fluidità. Come ci lavori?

Apprezzo molto che tu l’abbia notato, perché è una cosa su cui ho lavorato molto quando ho scritto questo romanzo. Andare avanti e indietro nel tempo nella memoria di Nomi, seguire i ricordi di Nomi, senza specificare cosa è immaginato e cosa è reale. Non volevo rendere espliciti i vari passaggi. Non volevo spiegare quando la narrazione è al passato, quando è al presente, quando Nomi immagina e quando non immagina. Volevo che fosse un racconto fluido, come uno flusso di coscienza. Questa era la struttura di cui avevo bisogno per questo libro, che è stato scritto dal punto di vista di una ragazza di sedici anni. Ho cercato di ricreare in qualche modo quello che credo succeda nella testa di una ragazza di quella età.

 

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