“Microgrammi” di Robert Walser. I segreti della letteratura

15 Novembre 2025

Quando la letteratura si fa segno e traccia, scopri i segreti di Robert Walser e dei suoi "microgrammi" raccontati in una calligrafia quasi invisibile.

“Microgrammi” di Robert Walser. I segreti della letteratura

Quando la letteratura si fa segno, traccia, geroglifico, e quando un autore decide di rinchiudere il proprio universo in una calligrafia invisibile a occhio nudo, allora siamo davanti a un mistero. Un mistero che ha per protagonista Robert Walser, uno degli scrittori più enigmatici del Novecento europeo.

Con “Microgrammi”, edito da Adelphi, viene pubblicato un corpus di testi che l’autore svizzero scrisse in una grafia così minuta da risultare indecifrabile per decenni. Un lascito trovato dentro una vecchia scatola da scarpe, custodita nella clinica psichiatrica di Herisau dove Walser visse gli ultimi vent’anni della sua vita.

Non si tratta solo di scrittura. È resistenza. È follia che precede la parola. È desiderio di raccontare senza farsi vedere. È, soprattutto, una poetica del margine e del frammento. Una forma estrema di autobiografia mascherata, che ha stregato scrittori, studiosi e critici: da Sebald a Walter Benjamin.

“Microgrammi” di Robert Walser: i segreti scritti in minuscolo che raccontano la follia e la bellezza della letteratura da una scatola di scarpe

“Microgrammi” non è un libro facile. Non è nemmeno un libro per tutti. Ma è un’esperienza necessaria. Chi ama la letteratura che si interroga su se stessa, che si nasconde nei margini, che si frammenta per non soccombere, troverà in queste pagine una profondità rara. Walser non scrive per farsi capire. Scrive per sopravvivere. Per dire senza dire. Per custodire un nucleo di verità che il linguaggio “normale” non può più contenere.

Leggere questi microgrammi significa affacciarsi sull’abisso e scoprirlo pieno di luce. Un invito a entrare nel labirinto, dove come il Minotauro, si aggira lo spirito inquieto di uno dei più grandi scrittori dimenticati del Novecento.

Il mistero nella scatola: scrittura come ultimo rifugio

Quando Walser morì nel 1956, nessuno si aspettava che il suo archivio personale custodisse una delle sorprese più singolari della storia letteraria del Novecento. Nascosti in una scatola da scarpe, furono ritrovati centinaia di foglietti, cartoline, ricevute, lettere e buste, tutti ricoperti da una scrittura fittissima, tracciata a matita, apparentemente incomprensibile. Una calligrafia che sembrava una forma di stenografia privata, un codice segreto, un ultimo rifugio per chi aveva scelto il silenzio del manicomio come ultimo approdo.

Quella scrittura era in realtà una forma di “microgramma”: un alfabeto ridotto a miniatura, con lettere alte meno di un millimetro, che per decenni sfidò paleografi, critici e filologi. Adelphi, con la consueta cura, ne pubblica una selezione preziosa, portando alla luce un tesoro sommerso.

Un universo anarchico di prosa, versi e chiacchiere

I “Microgrammi” contengono un universo letterario anarchico e ingannevole, in cui “prosa e versi, scarabocchio e fiaba si confondono, e ogni parola, ogni frase, ogni racconto, si mescola alla chiacchiera”. È qui che Walser porta al massimo grado la sua poetica dell’invisibilità. Non più romanzi come Jakob von Gunten, né racconti perfetti come La passeggiata, ma frammenti in cui la parola stessa è interrogata, compressa, sfibrata.

C’è un senso quasi dadaista in questi testi, un’ironia che si scontra con la malinconia, una tensione continua tra bisogno di narrare e necessità di occultare. Scrivere diventa per Walser un modo per non morire. Ma anche per non esporsi. Per non farsi del tutto comprendere. Per restare, come diceva Sebald, “il più solitario fra tutti i poeti solitari”.

Follia o protezione? Il linguaggio come maschera

Uno degli aspetti più affascinanti dei Microgrammi è la riflessione implicita che pongono sul rapporto tra linguaggio e follia. Come nota la sinossi, “chi vedesse questi minuscoli geroglifici come lo sbocco della sua follia capirebbe molto poco di Walser. La follia, semmai, è quella che precede tutta la sua opera, e che essa deve celare”. La scrittura non è il sintomo, ma la cura. Un velo protettivo.

E Walser lo sa. Scrive: «Mi aleggia sulle labbra qualcosa che in genere non si dovrebbe mai permettere alle labbra di pronunciare». E ancora: «Appartengo a quel vastissimo gruppo di chiacchieroni che, oralmente o per iscritto, assicurano di essere discreti». Chiacchierare è ciò che lo salva. È la sua paralisi evitata. È il suo modo per abitare la notte e uscirne, “là dove essa è più nera, una notte veneziana”, come scrisse Walter Benjamin.

Tra Benjamin e Sebald: un autore che inquieta e incanta

Non è un caso che “Microgrammi” abbia ossessionato due dei più grandi intellettuali del secolo scorso: Walter Benjamin e W.G. Sebald. Il primo vedeva in Walser un narratore dell’oscurità, capace di parlare dall’interno del labirinto. Il secondo lo trasformò in un fantasma letterario, evocandolo in ogni suo libro come emblema dello scrittore sparito, cancellato, dimenticato.

Con questa pubblicazione Adelphi rende giustizia a quella memoria marginale. E lo fa con una qualità editoriale altissima: il volume è curato da Bernhard Echte e Werner Morlang, studiosi che hanno lavorato per anni alla decifrazione dei microgrammi, e che hanno permesso la restituzione di una voce fragile, ma potentissima.

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