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Michela Marzano, storia di una figlia e dell’amore che salva

Michela Marzano, nota Filosofa e Scrittrice sarà presente ad uno degli incontri organizzati per il Taobuk Festival. Nel corso dell'intervento parlerà di madri e figlie

MILANO – Michela Marzano è nata a Roma nel 1970, è professore ordinario di Filosofia morale all’università Paris Descartes, editorialista de «la Repubblica» e autrice di numerosi libri e saggi tradotti in molte lingue. Lunedì 26 giugno 2017 sarà ospite del Taobuk festival intervenendo all’appuntamento “La maternità negata nel racconto di una madre. Storia di una figlia e della palingenesi dell’amore che salva”, che affronta il tema del dolore assoluto di una maternità straziata da una tragedia familiare.

Il suo oggetto di studio è la fragilità dell’essere umano; trova che la scrittura e la lettura dei suoi libri possa essere in qualche modo d’aiuto?

(Ride) Non so se possa essere effettivamente di sostegno ma sicuramente il punto di partenza per ciascuno dei miei libri, che sia un saggio o un romanzo è sempre provare a seguire quello che sintetizzava Albert Camus in una frase; sostanzialmente solo nel momento in cui si riescono a nominare le cose in maniera corretta e se ne riesce a parlare che in qualche modo diminuisce la sofferenza nel mondo. Ovviamente, non ho la pretesa di far diminuire la sofferenza nel mondo ma considero indubbiamente Camus come una sorta di faro in questi termini.

Nel suo ultimo libro parla della sofferenza di una madre; cosa l’ha convinta ad affrontare un argomento simile?

Il mio ultimo romanzo si apre appunto con una madre, Daria che deve affrontare in modo molto diretto la perdita della proprio figlia. Nel resto del romanzo, parlo non solo di perdita ma anche della mancanza di voglia di andare avanti e dei ricordi che Daria rivive e che condivide con sua figlia ormai morta. E questo è un aspetto autobiografico del libro che, in parte, avevo raccontato in “Volevo essere una farfalla”; nel 1997 ho tentato il suicidio e dopo mi sono chiesta cosa sarebbe successo a mia madre se l’avessi effettivamente portato a termine. “L’amore che mi resta” è, in un certo senso, il libro che avrei voluto mia madre leggesse laddove fossi morta.

E sua madre l’ha effettivamente letto?

Mia madre sì, l’ha letto e ha pianto e mi ha detto che effettivamente le racconto bene le cose. La cosa che però mi ha commosso maggiormente è l’aver ricevuto molte mail di padri e madri che hanno effettivamente perso i loro figli. Da un lato mi hanno chiesto come abbia fatto a scrivere qualcosa che non ho vissuto e dall’altro mi hanno ringraziata perché si sono sentiti meno soli nell’affrontare il loro dolore.

Nei suoi libri ha trattato diversi argomenti propri della nostra quotidianità; discriminazione nei confronti delle donne, questioni di gender.. l’unica soluzione è l’amore?

Penso che l’unico punto di riferimento sia l’amore. Se noi immaginiamo che l’amore possa colmare dei vuoti, in quel caso ci sbagliamo. Trovo che l’amore ci permetta di affrontare e di attraversare i nostri vuoti, piuttosto. Allo stesso tempo, nel momento in cui noi amiamo ci sentiamo liberi di essere noi stessi.

Trova sia semplice parlare d’amore?

Non credo sia semplice. Questo romanzo, ad esempio, ci ho messo quattro anni a scriverlo perché c’era sempre qualcosa che non mi andava bene. Al tempo stesso, ciò dà senso alla mia scrittura. E’ un po’ il fil rouge della mia scrittura e credo che non smetterò mai di farlo.

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