Nella storia della letteratura romantica, pochi legami sentimentali hanno esercitato un fascino tanto oscuro e affascinante quanto quello fra Mary Shelley e Percy Bysshe Shelley. Due spiriti ribelli, due menti innamorate, e due esistenze segnate da tragedie, delusioni e creazione artistica. Il loro amore, Mary e Percy Shelley, non fu solo un’unione sentimentale, ma una fonte di conflitto, ispirazione e distruzione. È un amore gotico non per via di castelli e vampiri, ma per la costellazione di pericoli, ombre, interrogativi e ossessioni che lo accompagnarono sempre. E dentro di esso nacque Frankenstein, uno dei miti più potenti della modernità.
Mary e Percy Shelley, tra passione, follia e mito
Mary e Percy Shelley rappresentano un simbolo di passione e creatività che ha attraversato i secoli.
Mary Godwin (futura Shelley) fu la figlia di due figure radicali: Mary Wollstonecraft, teorica femminista, morta subito dopo la sua nascita, e William Godwin, filosofo anarchico. Cresciuta in un ambiente filosofico, con una formazione informale, Mary assorbì fin da giovane una forte tensione verso l’idea di libertà.
Nel 1814, all’età di 16 anni, Mary dichiarò il suo amore per Percy Shelley davanti alla tomba di sua madre, al cimitero di St Pancras, in una notte stellata. Percy, già sposato, affascinato dall’intelligenza di Mary, trovò in lei una compagna e una musa con cui condividere idee radicali, letterarie e filosofiche. L’episodio del cimitero, lugubre e simbolico, fu solo l’inizio di un amore che avrebbe messo alla prova norme, reputazioni e resistenze culturali.
L’elopement e l’ostracismo
Pochi giorni dopo, Mary, Percy e la sorellastra Claire Clairmont partirono in segreto verso la Francia, in un gesto che era insieme fuga romantica e dissenso morale. Il gesto fu duro per il padre di Mary, disgustato da quella ribellione. Il matrimonio “ufficiale” arriverà solo nel 1816, dopo che la prima moglie di Percy, Harriet, si suicidò.
Nel frattempo, la coppia visse nell’esilio morale: ostracismo sociale, difficoltà economiche, critiche, rifiuti. Mary e Percy furono considerati scandalosi, immorali, fuori posto. Eppure, nel dolore di quella marginalità, fiorì una complicità intellettuale: scambi di versi, letture condivise, sperimentazioni letterarie e progetti ambiziosi. Mary non era solo “la moglie di Shelley”: era coautrice, editor, interlocutrice, custode dell’eredità poetica di lui.
Dolore, perdite, scrittura come salvezza
La vita matrimoniale Shelley fu costellata di lutti personali. Nel 1815 morirono il primo figlio della coppia e la sorella di Mary, Fanny Imlay, si suicidò. Nel 1819, un altro figlio, William, morì probabilmente di malaria, aggravando il dolore e l’instabilità emotiva della coppia.
Mary, spesso immersa in depressione, trovò nella scrittura un rifugio e un atto di resistenza. La sua opera più grande, Frankenstein, nacque proprio in quell’estate inquieta del 1816, mentre i sogni, le letture e le paure si intrecciavano a discorsi scientifici e filosofici.
Percy, al contrario, era un poeta idealista, animato da un progetto intellettuale totalizzante. La sua visione politica, il suo radicalismo e il suo bisogno di libertà contrastavano spesso con le pratiche concrete della vita coniugale. Quando Percy morì tragicamente per annegamento nel 1822 durante una traversata in barca al largo della Spezia, Mary rimase sola, madre, custode dell’eredità del marito, con il figlio Percy Florence.
Un amore gotico non convenzionale
Non c’è lieto fine nella storia di Mary e Percy, ma c’è bellezza nella loro ascesa e nella loro caduta. È un amore gotico nel senso che contempla l’ombra, il lutto, la rimozione, il desiderio impossibile. Non è epico, ma tormentato. Non è un idillio, ma un canto su binari fragili.
Mary scrisse anche Mathilda (novella inedita pubblicata postuma), in cui riflette sulle relazioni incestuose, sul legame con il padre e sulla perdita. Molti critici leggono Mathilda come una confessione velata, un’ombra più intima del dramma maryshelleyano. Insieme scrissero Proserpina (1820), un dramma in versi ispirato al mito greco, che Mary compose insieme a Percy; un’opera che pone lo sguardo sulla separazione madre-figlia e la violenza della perdita.
Il loro amore fu anche un’alleanza intellettuale: Percy aiutava Mary a rivedere i suoi testi, la leggeva con attenzione, la incoraggiava. Mary, al contrario, fu spesso assorbita dal dovere di preservare, editare e promuovere la produzione del marito dopo la sua morte.
Influenza sulla letteratura: dall’amore al mito
L’influenza di Mary Shelley nel panorama letterario non è solo legata al suo romanzo gotico. La sua vita e il suo legame con Percy costituiscono un archetipo: la scrittrice che ama e che perde, che sostiene un compagno geniale, che vive nell’ombra e muta il suo dolore in arte.
Il fatto che Frankenstein nasca da vissuto, da perdita, da inquietudine, rende Mary Shelley un’autrice esemplare di quella fusione tra vita e mito che è tipica del Romanticismo ma che sfida i limiti del genere. Il loro rapporto è anche paradigmatico per come le tensioni tra libertà personale e legame di coppia, tra visione ideale e realtà concreta, tra creatività e sacrificio emergono in molte storie artistiche successive.