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Marta Pastorino, ”Credo nel potere terapeutico delle storie e della lettura”

Una scelta difficile che segnerร  in modo indelebile il percorso della protagonista, ma anche una possibilitร  di rinascita e di cambiamento...
L’autrice de “Il primo gesto” ci parla del percorso di crescita della protagonista del suo romanzo.  Alle prese con una scelta essenziale per ogni donna, la maternità.
 

MILANO – Una scelta difficile che segnerà in modo indelebile il percorso della protagonista, ma anche una  possibilità di rinascita e di cambiamento. Questi gli elementi narrativi de “Il primo gesto”, romanzo che affronta il tema del rifiuto della maternità. Marta Pastorino, autrice del libro, ci parla della storia che ha scelto di raccontare, e riflette sul potere terapeutico della scrittura e della lettura.

Com’è venuta l’idea del libro?
Il libro è nato in un momento in cui mi trovavo in un grande vuoto, dalla coincidenza di due storie che avevo in testa. La prima era quella dell’anziana signora, Maria. La seconda quella di una ragazza, Anna, che decide di abbandonare il proprio figlio in ospedale. Mi è venuta l’idea di far incontrare questi due personaggi. L’anziana donna sta per morire e non riesce ad accettarlo, lotta per non andarsene e muore arrabbiata. La giovane invece, che per una serie di vicissitudini passate da cui sta fuggendo si trova ad accogliere e accudire un corpo malato, non riesce ad accogliere il corpo di una vita che nasce.

“Il primo gesto” è la storia di un viaggio di fuga e di ricerca: la fuga di Anna dalla sua famiglia, dal suo bambino, la ricerca del nipote di Maria, Giovanni, e soprattutto la ricerca di sé. In che modo Anna, attraverso la danza sensibile, riuscirà a ritrovare se stessa? Come la conoscenza del proprio corpo è legata a una profonda conoscenza di sé?
Nella sua fuga a un certo punto Anna decide di rintracciare questo personaggio, Giovanni, di cui ha sentito parlare negli anni trascorsi con Maria. Il suo incontro con la danza avviene dunque quasi per caso: è Giovanni, che è un danzatore, a insegnarle le tecniche della danza sensibile. Anna, che nella sua infanzia aveva interrotto un percorso di ginnastica artistica, riscopre così questo lato della sua vita ritornando in palestra da giovane adulta.
La danza sensibile insegna a riscoprire l’armonia del corpo, quei movimenti che consentono di far nascere la danza senza fatica, dando delle coordinate per rimpostare il proprio rapporto con lo spazio. A inventarla è stato un coreografo insieme a due osteopati. Il suo obiettivo è riequilibrare i movimenti dell’individuo a partire dai movimenti originari della colonna vertebrale e ripercorrendo l’evoluzione dell’essere umano nei millenni, quei passaggi che lo hanno portato ad acquistare la posizione verticale. In un’epoca in cui si è perso il contatto con il proprio corpo, la danza sensibile permette di ritrovarsi. È questo il cammino che Anna compie, che le permette di far emergere la coscienza di sé e la memoria di quello che le è successo. Le tre sfere del corpo, la testa, il cuore e la pancia ritrovano nella danza un legame: allineando queste tre sfere lei riesce a comprendere meglio qualcosa di sé. In questo senso c’è un percorso di conoscenza attraverso il corpo.

Quanto è importante per Anna l’abbandonare, il lasciar andare qualcosa di sé, per compiere il suo percorso di guarigione? E invece quanto è importante il saper reintegrare il passato, e le ferite, nella propria vita?
Quanto al “lasciar andare”, spesso bisogna rinunciare a delle cose per far spazio ad altro, per andare avanti nella propria vita. A me importava sottolineare questo aspetto: che sempre c’è un prezzo da pagare per ciò che abbiamo, per i percorsi che facciamo e i risultati che otteniamo, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. È solo creando uno spazio vuoto nella propria esistenza che si può crescere, reintegrare, vivere.
Per quanto riguarda invece l’importanza del reintegrare il proprio vissuto, Anna compie questo passo grazie a Giovanni. Attraverso l’incontro con lui, che le fa da specchio e le racconta la sua storia, di come abbia rotto anche lui con la sua famiglia e con  la danza classica, per ritrovare poi se stesso nella danza sensibile, Anna comprende che questo percorso è possibile. Nel rapporto con lui Anna trova uno spazio per condividere la sua propria storia e la sua colpa, quella di aver abbandonato suo figlio, di aver lasciato la famiglia e l’università. E attraverso il racconto Anna trova una strada verso la guarigione, compie un primo passo in quella direzione. Il percorso in verità inizia per lei già prima, quando incontra la nonna di Giovanni, Maria.

C’è in questo libro un tema molto importante per l’identità di una donna, quello della maternità. In letteratura è di solito più affrontata una declinazione opposta del tema, quella del desiderio piuttosto che della negazione di maternità, non pensa? La decisione di non diventare madre è invece altrettanto importante per una donna nel percorso di comprensione di sé. Quanto pesa la scelta di Anna sul suo cammino futuro?
Credo che l’estremo desiderio di maternità e l’estremo rifiuto della stessa si rispecchino l’uno con l’altro: sono due opposti che arrivano a toccarsi. È un passaggio importantissimo nella vita di ogni donna la creazione di una nuova vita, con cui tutte devono prima o poi confrontarsi. A volte accettandola e desiderandola, altre volte invece rifiutandola. A me interessava passare dall’altra parte, da quella di chi si trova a compiere un gesto di negazione, anche per comprenderlo. Per quanto riguarda la scelta di Anna, da quando ho concepito il motore della storia, questo fatto “scatenante”, fin da subito ho capito che si sarebbe trattato di un punto di non ritorno, di un segno indelebile nel suo percorso. C’è però una trasformazione che potrebbe avvenire in lei, anche se il libro si ferma all’inizio di questo possibile cambiamento. Tale possibilità di trasformazione è rappresentata nella scena di Anna e Giovanni che in una notte, nel bosco, danzano: il contatto con la natura e il fatto che Anna ritrovi in sé una sua natura interiore, intima, rappresentano uno spiraglio di luce per un cambiamento futuro.

In che modo la scrittura e la lettura possono aiutarci a ritrovare noi stessi, a guarire dalle ferite del passato? La scrittura di questo libro è stata per lei un percorso di ricerca e scoperta come per la protagonista?
Si assolutamente. Credo nel potere trasformativo della storie e nel potere catartico dei libri. Mi sono interrogata molto su questo, e da lettrice, devo ammettere che all’interno di molte letture ho trovato la mia salvezza. Anche se la maggior parte delle storie sono dolorose, spesso è necessario passare attraverso questo dolore per uscirne. Inoltre, ritengo che all’interno delle storie degli altri si trovino pezzettini di sé, come crede e afferma anche la mia protagonista.

25 febbraio 2013

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