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Mariapia Veladiano, ”Chi ha paura della cultura, ha paura della libertà”

Un libro scritto e riscritto, alla ricerca dei personaggi giusti e delle parole corrette per dire una riflessione sul bene e sull'amore che doveva diventare vita. E’ questo “Il tempo è un dio breve” di Maria Pia Veladiano...
La scrittrice vicentina parla del suo ultimo libro e spiega perché in Italia siamo agli ultimi posti in Europa per l’investimento nella scuola e nella cultura

MILANO – Un libro scritto e riscritto, alla ricerca dei personaggi giusti e delle parole corrette per dire una riflessione sul bene e sull’amore che doveva diventare vita.  E’ questo “Il tempo è un dio breve” di Mariapia Veladiano, l’autrice alla sua seconda esperienza come scrittrice dopo il successo raggiunto con il suo primo romanzo “La vita accanto” (Premio Calvino 2010, secondo classificato Premio Strega 2011). La scrittrice ci parla della sua nuova opera e spiega perché in Italia siamo agli ultimi posti in Europa per l’investimento nella scuola e nella cultura.

Da cosa nasce l’idea del libro? Perché “Il tempo è un dio breve”?

Nasce dallo scandalo del dolore che improvvisamente può investire le nostre vite. Soprattutto il dolore innocente. La vita ha in sé una pretesa di felicità. Nessuno mette al mondo un figlio pensando che sarà infelice. Trasmettiamo la vita e insieme questa promessa di felicità che la vita porta. La bufera che ci investe è sempre un tradimento di una promessa. Il male è uno scandalo e basta. Sempre. Da credenti e da non credenti. Il libro ha avuto una storia lunga. E’ nato dodici anni fa. Scritto e riscritto. Cambiati i personaggi. Cercate le parole per dire una riflessione sul bene e sull’amore che doveva diventare vita. Ed è arrivata la storia di Ildegarda, questa donna forte che resiste alla bufera e trova nell’amore, per un uomo, per il figlio, per la vita, la possibilità di rinascere. Una volta e un’altra volta. E’ un libro sul potere dell’amore. E sul tempo. Sì, prezioso e breve sempre, perché per noi finisce e quindi va vissuto con tutta l’intensità e pienezza possibile.

Quali sono i punti in comune con il suo precedente romanzo? Possiamo dire che ci sia un filo conduttore che li unisce?
La passione per la vita tutta intera. Credo che per vivere in modo autentico sia necessario vedere il bene e la bellezza, e anche il male. Intorno vedo una patologica passione per gli aspetti violenti e cruenti dell’esistenza, nella forma di uno spettacolo continuamente riproposto in libri e film pieni di violenza esibita, sangue, serial killer crudelissimi. E insieme coltiviamo la patologica illusione di una vita che possiamo dissipare perché ne nascondiamo la fine, la fragilità. Sono due aspetti scissi. Credo che per vivere bene, o abbastanza bene, sia necessario avere davanti la vita tutta intera, nel suo bene e nel suo aspetto oscuro. Un po’ questo è il compito della letteratura, restituire attraverso le parole l’esistenza ascoltata e osservata.

La protagonista dell’opera ci pone con la sua storia alcune riflessioni sulla paura della morte e sulla fede. Quali sono le conclusioni a cui è possibile arrivare leggendo il libro?

La storia di Ildegarda non dà risposte assolute. Perché è vero che lei una risposta per sé forse la trova, ma non è, come dire, esportabile. E’ un libro sulla potenza buona dell’amore terreno. Sulla forza del corpo. E su come la passione che accompagna i nostri giorni li salva anche dalla paura. Insieme è nulla la paura, dice Ildegarda ad un certo punto. Forse è esagerato. Ma insieme la paura fa meno paura. E le nostre solitudini la moltiplicano.

In Italia si legge poco. Da chi dipende? Cosa è possibile fare per promuovere la lettura in maniera più allargata possibile?
Questa è una bella battaglia da fare. Abbiamo costruito una società convinta che potere e denaro siano tutto e che con la cultura non si mangi, come qualcuno ha detto. La cultura è libertà. Di dire, di difendersi dal sopruso, di costruire il proprio desiderio. Chi ha paura della cultura ha paura della libertà. Vuole sudditi e non cittadini.
Siamo in fondo a tutte le classifiche europee per l’investimento nella scuola e nella cultura. E’ dissennato continuare così perché non può durare. Non c’è un benessere duraturo senza creatività, paziente costruzione di una convivenza che è soprattutto fatta di conoscenza che vince il pregiudizio. Cosa fare? La scuola resiste. Si lavora controcorrente e si legge, si promuove in mille modi la lettura. Io credo nella scuola, che un poco alla volta coinvolge la famiglia e l’ambiente intorno, con progetti condivisi, in modo che il libro non sia “cosa di scuola”. Certo ci vogliono poi politiche di promozione delle librerie indipendenti che fanno un mare di promozione culturale nei paesi, che stanno sul territorio. Una libreria di catena non andrà mai in una città medio piccola o piccola. E’ una tragedia la chiusura di tante librerie indipendenti. Vien da dire che tutto si tiene: una politica che crede nel futuro, in modo naturale crede anche nell’investimento sulla cultura, sulla scuola.

6 luglio 2013

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