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Maria Pia Romano, ”I piccoli editori si adoperano meglio per gli autori rispetto alle grandi case editrici”

Meglio un editore piccolo e umano, che si adopera per gli autori e non chiede soldi, che un colosso editoriale per il quale sei solo un numero. Ad Affermarlo è Maria Pia Romano, scrittrice e giornalista leccese, autrice del libro ''L'anello inutile'' (Besa), il suo secondo romanzo dopo quattro raccolte di poesie...

L’autrice de “L’anello inutile” illustra i suoi progetti futuri e commenta l’attuale situazione editoriale 

 

MILANO – Meglio un editore piccolo e umano, che si adopera per gli autori e non chiede soldi, che un colosso editoriale per il quale sei solo un numero. Ad Affermarlo è Maria Pia Romano, scrittrice e giornalista leccese, autrice del libro “L’anello inutile” (Besa), il suo secondo romanzo dopo quattro raccolte di poesie. Per l’autrice la scrittura è salvezza, il mezzo grazie al quale è possibile trovare il passo giusto nella vita. Maria Pia Romano parla del suo ultimo libro, presenta i progetti futuri e commenta l’attuale situazione editoriale.

Quando è nata la sua passione per la scrittura e in che modo l’hai sviluppata nel tempo?
A quindici anni ho iniziato a scrivere poesie. Mi è venuto naturale, in seguito ai primi turbamenti d’amore. L’incisività e l’essenzialità dello sguardo profondo della poesia, per me, sono qualcosa di magico. Quando la scrittura ha cercato nuove forme, mi sono accostata alla prosa, senza mai dimenticare da dove provengo. La lettura è la mia compagna di viaggio da una vita, da molto prima della scrittura, che poi ha preso per mano.

Che significato ha per lei scrivere?
La poesia per me è un’immersione nella vita: si va giù, fino al fondale, per vedere cosa c’è in fondo e a volte si scende talmente giù che non si può rimanere a lungo lì sotto. Con la scrittura in prosa riesco ad immaginare le vite che avrei potuto vivere e quelle degli altri, intesso trame, ma mi piace pensare di poter mantenere questo sguardo profondo sulla realtà delle cose. Grazie alla prosa ho imparato a dilatare i tempi di fondo delle mie immersioni sulla vita. E la scrittura è salvezza, sempre e comunque. Perché il passo giusto nella vita a volte riesco a trovarlo soltanto osservando dai miei mondi quello che accade.

Da quale idea è nato il libro l’ "Anello inutile", la sua ultima pubblicazione?
E’ nato dalla mia vita e dagli incontri che essa mi ha regalato, dalle mie immersioni subacquee, che per me sono state un percorso interiore vero e proprio.
La divisione in acqua, aria, terra e fuoco è stata cercata per evidenziare le fasi diverse di una corsa verso la Libertà che si chiude con la celebrazione della vita.
La ragazza che sognava di nuotare i delfini inizia le sue immersioni con lo zingaro di mare nel luogo dove molti anni prima un uomo buono la portava in grotta: a Porto Badisco, dove ci sono le Grotte dei Cervi. Ho avuto la fortuna di essere presa per mano e portata in grotta da Isidoro Mattioli, uno degli scopritori della famosa grotta.  In un’altra vita quella ragazza ha amato un musicista, vivendo una vita d’aria. Una vecchia scrittrice, che vive sola con i suoi gatti, osserva vivere questa ragazza e vuole salvarla dalla solitudine che è toccata a lei, perché ha scelto di aspettare tutta la vita un anello che non è mai arrivato, invece di vivere fuori dalla sua casa di parole. Nel fuoco si sciolgono, infine, tutte le paure…Tutti i personaggi ho voluto che restassero senza nome, per lasciare il tutto in un’atmosfera di sospesa, tra i quattro elementi che chiudono il cerchio. O non lo chiudono mai.

Questo romanzo presenta una prosa densa e ritmica, che non è possibile definire in altro modo se non lirica. In che modo nasce la sua scrittura e come si concilia con la sua professione di giornalista?
La mia scrittura nasce dalla poesia, a diciotto anni ho iniziato a fare la giornalista semplicemente perché mi piaceva raccontare (e perché dovevo campare!). In fondo entrambe, scrittura creativa e giornalistica, provengono dallo stesso bisogno: i tempi, però, sono completamente diversi, da una parte c’è il tempo lento dell’introspezione, dall’altro la necessità del dinamismo.
Buzzati diceva che non c’è una frattura fra le due. Io ci credo e se poi penso al suo splendido pezzo sulla metro di Milano me ne convinco sempre di più.
In un romanzo sto attenta a fare l’opposto di quello che faccio negli articoli: lascio che le cose si capiscano solo alla fine.

Da scrittrice ha dei modelli nella letteratura a cui si ispira?
Adoro Maria Corti, “L’ora di tutti” secondo me è un romanzo splendido, che andrebbe conosciuto di più anche nelle scuole. I poeti salentini: Bodini, Comi, Verri, Pagano, Fiore me li porto dentro.
In prosa la Duras, la Allende, la Hurt, la Murgia. E molti altri.

 

Da giovane autrice quale pensa che sia lo spazio che i nuovi scrittori possono trovare all’interno dell’editoria italiana? Quale consiglio si sente di dare?
Con i miei 36 anni, non mi sento più tanto “giovane”. Ho la fortuna di aver iniziato presto, di essere stata pubblicata con facilità anche perché facendo la giornalista ho molti contatti. Sono totalmente contraria a pagare per essere letta da agenti letterari o editor, so che questo avviene. Un nome molto noto, un critico italiano che io stimavo molto, mi ha chiesto centinaia di euro solo per leggere alcune cartelle. Non ci sto. Non ho soldi da spendere così e non credo sia giusto.
Ho affidato il mio nuovo lavoro a Lupo editore, che, come Besa, sta credendo in me. “La cura dell’attesa” esce a gennaio in distribuzione nazionale. Io ho scelto di entrare nella sua squadra perché mi piace la passione che ci mette nel fare le cose.
Meglio con un editore piccolo e umano, che si adopera per gli autori e non chiede soldi, che con un colosso editoriale per il quale sei solo un numero.
Il consiglio che posso dare? Di prendere per mano i libri come se fossero bambini, aiutandoli a crescere, senza aspettarsi nulla, altrimenti arrivano solo delusioni. E di metterci tanto impegno, tanta tenacia, mai soldi.

In Italia si dice che si legge sempre di meno. A fronte della sua esperienza, quale è il suo pensiero a proposito?
Io dico che oggi tutti pubblicano e pochi leggono. Finché le presentazioni saranno noiosissime serate in cui un critico parla per un’ora e dieci persone ascoltano, la gente fuggirà via da questo mondo. Se invece i libri vengono proposti in maniera fresca, dialogando con i lettori, allora si scopre che i libri possono aprire nuovi mondi. Alle presentazioni qualcuno mi fa domande, ma poi in tanti, tantissimi, iniziano ad interagire attraverso face book. Perché questo è, alla fine, scrivere significa parlare della vita. E oggi si fa bene anche attraverso i social network.
Il mio prossimo libro sarà presentato dai lettori. Ci sono già oltre dieci persone che si sono prenotate. I libri appartengono a loro, non a chi li scrive: invogliare alla lettura oggi significa rendere protagonisti i lettori.

9 ottobre 2012

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