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Margherita De Napoli, ”Il mio libro vuol essere un’iniezione di autostima per tutti gli adolescenti insicuri”

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MILANO – “Vorrei dare con il mio libro un’iniezione di autostima e qualche ‘dritta’ per affrontare le durezze del crescere senza farsi troppi bernoccoli”. Parola di Margherita De Napoli, giornalista e scrittrice barese, autrice del libro “Mi chiamarono Brufolo Bill”, autobiografia semiseria di una adolescente in perenne lotta contro l’acne. In questo libro Margherita racconta la disavventura con i malefici pedicelli cercando di sdrammatizzare il problema con un pizzico di allegria. Il “brufolo” è il filo conduttore lungo il quale scivolano via via divagazioni scherzose e riflessioni più serie sulle diverse situazioni della vita quotidiana: dagli “intrighi” sentimentali alle vicissitudini scolastiche, dal primo approccio col mondo del lavoro ai rapporti all’interno del gruppo di amici, dai conflitti della giovane con se stessa alla liberatoria scoperta che timidezza e aggressività non sono altro che facce della stessa medaglia.

Come nasce il personaggio di Brufolo Bill?

‘Brufolo Bill’ non è un personaggio nato a tavolino, è venuto alla luce mentre il treno che prendevo per andare al lavoro correva lungo le rotaie. Non pensavo in quel momento a chi avrebbe potuto leggermi, era un modo per ricordare le tante emozioni vissute durante il periodo in cui la mia pelle è stata colpita dall’acne: un guaio che tocca tantissimi adolescenti e non, ma di cui si parla pochissimo; già il semplice farlo -naturalmente con tatto- ne alleggerisce il peso.

Chi non vorrebbe strappare le pagine che raccontano i graffi che la vita ci ha dato?
Ho voluto salvarle desiderando che le mie parole leniscano quelle ferite e liberino gli stati d’animo inespressi che risuonano ancora facendo soffrire. Ci sono sentimenti negletti, come la vergogna, di cui ci si vergogna. L’adolescente dev’essere sfrontato, disinvolto…tutti hanno paura di sembrare goffi, impacciati e magari finiscono col darsi la carica con ‘aiutini’ chimici. La timidezza, i rossori si devono celare e a volte qualcuno lo fa indossando la maschera del bullo, così, nell’aggredire gli altri, trova una falsa sicurezza. Vorrei dare con il mio libro un’iniezione di autostima e qualche ‘dritta’ per affrontare le durezze del crescere senza farsi troppi bernoccoli.

Quanto c’è di autobiografico in questa storia?

Mi è stato chiesto se è vero che mi hanno chiamata ‘Brufolo Bill’. Sì, è verissimo. Un dentista, per scherzo, mi affibbiò quell’insopportabile soprannome. Sino ad allora la mia  pelle di pesca era ammirata e d’un tratto sentirsi appellare così fu un brutto colpo. Avevo il morale sotto i piedi e volevo solo nascondermi alla vista di sguardi da cui mi sentivo ‘scannerizzata’. Può sembrare paradossale, ma se non fosse accaduto quello sgradevole episodio probabilmente non avrei scritto il libro. Ho imparato ad usare l’autoironia e mi sono accorta che questa strategia funziona per disinnescare le battute velenose che fanno vacillare la fiducia in noi stessi. Quindi, certo, ‘Brufolo Bill’ sono io, ma anche i tanti che vengono derisi per qualcosa che li rende ‘diversi’ agli occhi degli altri:l’altezza, qualche chilo in più, la timidezza e persino una passione, un talento possono essere bersaglio di scherno o di atti di bullismo. Le etichette sono rassicuranti, discriminare è un meccanismo di difesa per sentirsi più forti, ma la nostra ricchezza è proprio in quella diversità che ci rende non omologabili: ognuno di noi ha valore. C’è una frase di H.Miller che amo: “Tutti partecipiamo alla creazione; Siamo tutti re, poeti, musici; non c’è che da aprirsi come i fiori di loto per scoprire tutto ciò che era in noi”.

 

L’acne, di cui si parla nel libro, è solo uno dei diversi fattori che mettono a dura prova la ricerca di sicurezza e fiducia dei giovani d’oggi. Quali sono secondo lei oggi le maggiori difficoltà che affrontano i giovani?

Riuscire a svezzarsi dalla famiglia e nascere al mondo è un’avventura complessa. Oggi i giovanissimi sono senza bussola in una realtà che va trasformandosi e che anche gli adulti di riferimento fanno fatica a decifrare. La psiche durante l’età evolutiva è sottoposta a spinte interne ed esterne e l’identità in formazione richiede continui accomodamenti. I brufoli sono stati un ‘incidente di percorso’, ma il cammino per diventare grandi è comunque arduo. Penso che riuscire a trovare un equilibrio tra senso d’identità e senso d’appartenenza sia la sfida più affascinante e difficile che, indipendentemente dal contesto in cui si vive, impegna ogni adolescente. Per loro non esiste solo la realtà ‘off line’ nella quale destreggiarsi, anche il virtuale è un territorio inesplorato, fonte di opportunità può essere luogo di conflitti. Cosa accade quando la stima di sé è affidata al consenso espresso dai ‘like’ nei social network? Se sono i ‘mi piace’ a dare un senso di appartenenza, non c’è il rischio di cadere nel conformismo e quindi anche di perdere la propria unicità? Pur comunicando in modo bulimico -la chiamano la generazione ‘always on’- l’esser sempre connessi non elimina nell’animo di ragazzi e ragazze la paura della solitudine. Sembra assurdo, ma la verità è che molti adolescenti si sentono profondamente soli. Una quindicenne dopo aver letto il mio libro mi ha confidato: “Non mi sono sentita sola”, e io sono stata felice.

 

Quanto pensa che la lettura e i libri possano essere un antidoto per le insicurezze dei giovani d’oggi?

Porto la mia esperienza personale: in un libro di psicologia ho trovato la chiave per comprendere la timidezza che mi bloccava. Da allora i libri sono diventati degli amici. In un particolare momento un libro può essere la torcia che aiuta ad illuminare un angolo buio della coscienza e magari a scoprire che ciò che si ritiene una debolezza può essere invece un punto di forza. Tra le pagine si può trovare una frase illuminante che, consentendo di vedere le cose da una prospettiva diversa, ti cambia la vita. Leggere è viaggiare, incontrare chi ci ha preceduti e ha voluto lasciarci il suo segreto nascosto in un libro che, come un messaggio in una bottiglia, sarà condiviso da chi lo aprirà per guardarci dentro. Un libro può essere tante cose: un seme che fa germogliare un’idea, una scintilla che accende una passione. E perché non pensarlo come ad una lampada di Aladino in grado di realizzare qualche desiderio sconosciuto anche a noi stessi?                                                    

Scriveva Oscar Wilde: “E’ importante avere sogni abbastanza grandi da non perderli di vista mentre li s’insegue”. Ecco come un autore venendoci incontro da un altro secolo ci fa dono di un pensiero che può diventare il nostro faro. Vorrei che, anche con una risata, il mio libro sciogliesse le energie che magari sonnecchiano in attesa di una sveglia. Mi piacerebbe che fosse un tiramisù dell’umore ed un ‘antidoto’ a quei sensi d’inadeguatezza che a volte ci buttano giù: la perfezione non esiste.       

Quello tra autore e lettore è un incontro magico, non si sa mai cosa può accadere.

 

Cosa significa per lei partecipare al premio Porta d’Oriente?

E’ una bella sfida. Conosco il Premio già da due anni, ma solo quest’anno ho scelto d’iscrivermi perché ho pubblicato il libro per adolescenti “Mi chiamarono Brufolo Bill”. Ho partecipato anche con un racconto e una poesia per mettermi alla prova in un concorso letterario prestigioso che ha in giuria personalità del mondo culturale e viene patrocinato, tra gli altri, dall’Università di Bari e dall’Assessorato al Mediterraneo. Ho grande ammirazione e stima per coloro i quali lavorano per portare alla luce i tesori della Puglia. Condivido con l’Associazione “Porta d’Oriente” la tenacia e l’entusiasmo di chi ha a cuore le ragioni della propria Regione senza dimenticare il dialogo con i Paesi che abitano come noi nel grembo del Mediterraneo. Credo sia importante valorizzare e promuovere i beni culturali, l’uomo non può essere ridotto a una sola dimensione, quella materiale, esiste un mondo spirituale che va nutrito e la cultura è alimento dell’anima.

24 novembre 2014

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