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Marco Magini, ”Il mio libro racconta una tragedia di fronte a cui abbiamo chiuso gli occhi”

Noi che eravamo sicuri che in Europa non si sarebbero piรน ripetute tali stragi, abbiamo assistito al genocidio di Srebrenica seduti a poche centinaia di chilometri di distanza e ce ne siamo disinteressati. Cosรฌ Marco Magini spiega che attraverso il suo libro, ''Come fossi solo'', finalista al Premio Calvino 2013, ha voluto rappresentare anche noi...

L’autore, finalista al Premio Calvino 2013 con il suo romanzo d’esordio “Come fossi solo”, ci parla del romanzo in cui racconta della strage di Srebrenica e spiega perché abbia deciso di dedicare un libro a questo drammatico evento

MILANO – Noi che eravamo sicuri che in Europa non si sarebbero più ripetute tali stragi, abbiamo assistito al genocidio di Srebrenica seduti a poche centinaia di chilometri di distanza e ce ne siamo disinteressati. Così Marco Magini spiega che attraverso il suo libro, “Come fossi solo”, finalista al Premio Calvino 2013, ha voluto rappresentare anche noi. Questo romanzo racconta il più grave dei fatti storici seguiti in Europa alla Seconda guerra mondiale, la deportazione e l’assassinio, l’11 luglio 1995, durante la guerra di Bosnia, dei bosniaci di Srebrenica a opera delle truppe serbe la strage di Srebrenica. La rievocazione del massacro e del successivo processo presso il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia è affidata a tre voci alternate. Quella del magistrato spagnolo Romeo González che rievoca lo svolgersi del processo seguito, evidenziando le motivazioni non sempre limpide di una sentenza. Quella di Dirk, casco blu olandese di stanza a Srebrenica, rappresentante del contingente Onu colpevole di non avere impedito la strage. E quella del soldato serbo-croato Draลพen Erdemović, vero protagonista della storia, volontario nell’esercito serbo. Lui che fu l’unico a confessare di avere partecipato al massacro, l’unico processato e condannato, era solo un giovane uomo, un ventenne costretto a combattere una guerra voluta da un’altra generazione

Com’è venuta l’idea di questo libro? Perché ha deciso di raccontare della strage di Srebrenica?
Inizialmente sono stato attratto dalla storia di Drazen Erdemovic che mi ha subito colpito come una metafora potente dell’“essere umano” nella sua concezione più profonda. Un uomo, trovatosi a combattere contro eventi tragici, contro quella che in quel momento storico è “la legge”, che si ribella senza però riuscire a sfuggire al suo tragico destino.
Questa storia mi è stata raccontata nel periodo che stavo terminando di scrivere la tesi. Ne fui molto colpito ma sul momento non pensai certo di trasformarla in un romanzo, non avendo mai provato a scrivere niente del genere prima. Qualche mese dopo cominciai invece un lavoro che avrebbe assorbito più di tre anni della mia vita, spinto dalla solitudine del primo impatto col mondo del lavoro. Una volta deciso di scrivere sul caso Erdemovic, raccontare Srebrenica è stata la naturale conseguenza. Raccontare Srebrenica per capire il più grande massacro avvenuto in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, narrare una storia non solo sull’importanza di ricordare ma soprattutto per cercare di capire i processi che portano un vicino a massacrare un altro. Allora non pensavo certo alla pubblicazione: inviai il manoscritto al Premio Calvino senza averlo fatto leggere quasi a nessuno, in modo da avere un riscontro sul valore del romanzo. Invece è seguita la finale, la menzione di onore, e la pubblicazione per Giunti. Se me lo avessero detto appena un anno fa non ci avrei creduto.

A quali fonti ha attinto per la scrittura del suo romanzo?
Il lavoro di documentazione è stato lungo dato che si tratta di fatti storici dei quali sapevo poco, cosa che mi ha da subito colpito visto la vicinanza spazio-temporale degli eventi narrati. Mi sono quindi dovuto documentare su tre livelli: sul caso Erdemovic, per il quale ho utilizzato soprattutto i documenti del tribunale internazionale dell’Aja; a livello storico su quelle che Pirjevec chiama “le guerre jugoslave”; e a livello piscologico e politico sulle dinamiche che portano a un genocidio e sul significato della legge davanti a fatti di questa portata, utilizzando fonti che variano da Kelsen a Baumann. Sono stati tre anni intensi culminati con un viaggio in Bosnia in pieno inverno con due amici e una Opel scassata.

Perché ha deciso di raccontare la storia a tre voci, utilizzando per due di loro la prima persona?
Uno degli obbiettivi di “Come fossi solo” è fornire al lettore gli strumenti necessari per comprendere e giudicare la complessità dell’accaduto senza offrirgli un giudizio determinato. Da questo punto di vista non c’è mezzo migliore del romanzo per farci avvicinare ad un’esperienza così lontana dal nostro vivere. La scelta delle tre voci è funzionale quindi ad analizzare la storia nei suoi differenti aspetti: Drazen è il protagonista, il grande interrogativo intorno al quale gira il romanzo, Dirk è un casco blu presente a Srebrenica nei giorni mentre il giudice Gonzalo si trova a giudicare i fatti dopo che sono accaduti. In realtà i personaggi di Dirk e di Gonzalo rappresentano in parte anche noi, noi che eravamo seduti a poche centinaia di chilometri di distanza e ce ne siamo disinteressati, noi che ci sentiamo sicuri di come agiremmo in situazioni così estreme, così come eravamo sicuri che in Europa non sarebbero mai più accaduti fatti del genere.

Quale voce è stata più difficile da trovare?
Senza dubbio la voce del giudice Gonzalez. Ho avuto due tipi di difficoltà: da un lato addentrarmi nel funzionamento del Tribunale Penale Internazionale, studiarne le procedure e la terminologia; dall’altro trovare la giusta cadenza del personaggio. Si tratta infatti dell’unica delle tre storie raccontata in terza persona da un personaggio molto diverso dagli altri due sia a livello di età che di esperienza di vita. Ho scelto però di non differenziare le tre voci in maniera troppo marcata in modo che con il passare delle pagine si mescolassero nell’immaginario del lettore fino a diventare una voce sola che si cerca all’interno di questo dramma.

28 gennaio 2014

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