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Loredana Lipperini, ”Sul web occorre avere più responsabilità nei confronti della parola pubblica”

Dove scuola e qualità non arrivano, occorre adoperarsi nel comprendere i meccanismi di internet e far sì che chi lavora sul web assuma maggiori responsabilità nei confronti della parola pubblica. E’ questa la via d’uscita contro la “fuga dei lettori” secondo Loredana Lipperini...

La giornalista racconta il suo ultimo libro “Di mamma ce n’è più d’una”, nel quale sottolinea la necessità di scindere il concetto di sacralità da quello di maternità, e commenta i recenti dati sulla lettura in Italia

MILANO – Dove scuola e qualità non arrivano, occorre adoperarsi nel comprendere i meccanismi di internet e far sì che chi lavora sul web assuma maggiori responsabilità nei confronti della parola pubblica. E’ questa la via d’uscita contro la “fuga dei lettori” secondo la giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica e blogger Loredana Lipperini. Proprio dal commenti e le storie raccontate i questi anni su Lipperatura nasce il suo ultimo libro “Di mamma ce n’è più d’una”, un’inchiesta giornalistica su quello che in genere è l’immaginario del materno in Italia. L’autrice ci racconta il suo libro, nel quale sottolinea la necessità di scindere il concetto di sacralità da quello di maternità, e commenta i recenti dati sulla lettura in Italia.

Perché ha avvertito l’esigenza di dedicare un lavoro, uno studio sistematico compiuto attraverso ricerche, al tema della maternità?
Perché la tematica del materno, soprattutto nel nostro paese, è la più difficile da affrontare: intanto, perché è strettamente intrecciata con il sacro, e dunque con un’idea totalizzante e sacrificale di madre. In secondo luogo, perché nell’Italia della mamma, dove le donne che hanno figli vengono mitizzate e poste sugli altari, per le madri si fa pochissimo dal punto di vista sociale.

In che modo “Di mamma ce n’è più d’una” completa la trilogia composta da “Dalla parte delle bambine” e “Non è un paese per vecchie”?
Perché affronta tre età della donna, come nel famoso quadro di Klimt, e tre modi di raccontarle nell’immaginario che hanno moltissimi punti in comune.


Come ha proceduto a cercare di classificare i profili delle madri attraverso i media, televisione, giornalismo e Internet?

No, non ho classificato nulla. Ho raccontato quello che vedevo, cercando di non esprimere giudizi ma, semplicemente, di dar conto del modo in cui le madri si rappresentano o vengono rappresentate.

Ha dichiarato che il concetto di sacralità dovrebbe essere scisso da quello di maternità. Può commentarci questa affermazione?
Le basti un dato. Secondo una ricerca dell’European Value Study del 2008, risulta che in Italia su circa 1500 persone intervistate il 75% condivide l’affermazione secondo la quale i bambini in età prescolare soffrono se la loro mamma lavora:

“Considerando le percentuali per uomini e donne. le donne sono leggermente meno d’accordo con questa affermazione rispetto agli uomini, ma soltanto di 2-3 punti percentuali. Quote analoghe a quelle italiane sono presenti in Portogallo (69% circa) e Grecia (72% circa). Se si considerano i paesi del Nord Europa (Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca), gli intervistati che hanno risposto di essere molto d’accordo e d’accordo scendono al 20%, con la Danimarca che raggiunge soltanto il 9%. Valori leggermente superiori sono presenti in Francia e Gran Bretagna (39,2% e 37,2% rispettivamente). Infine, la Germania presenta un valore pari a circa il 50%, in una posizione analoga a quella della Spagna. Sembra dunque che a eccezione della Spagna, nei paesi dell’area mediterranea, in prevalenza di tradizione cattolica e/o ortodossa, siano presenti maggiori preconcetti rispetto al lavoro femminile e alle sue conseguenze”

In altre parole, nei paesi fortemente segnati da una confessione religiosa si è convinti che la presenza della madre sia indispensabile per i bambini fino a tre anni e più. Anzi, che quei bambini siano danneggiati da una madre lavoratrice. Nelle 32 nazioni dove gli intervistati condividono questa visione, la relazione fra percentuale di cattolici e ortodossi e necessità dell’altissimo contatto materno è evidente.  
Gli archetipi nei quali le mamme sembrano rinchiudersi sono sostanzialmente due, la madre “acrobata” molto apprezzata dai pubblicitari e la madre “naturale” che sceglie di dedicarsi completamente all’esperienza della maternità.

 

È possibile secondo lei ridurre la frattura che si crea tra queste due fazioni che in qualche modo si oppongono?
Più che fazioni, sono due modelli. Due soli invece delle migliaia che dovremmo avere davanti. Le fratture vengono ridotte se sono conosciute e raccontate. E se ci si impegna reciprocamente per sostenere anche i diritti che non riconosciamo come nostri.

Infine, le chiediamo di commentare gli ultimi dati usciti dal ‘Rapporto sulla promozione della lettura in Italia’, dal quale emerge che il 54% degli italiani nel 2012 non ha letto neanche un libro. Qual è il suo primo pensiero alla luce di questo dato?
Nulla di nuovo. Gli italiani non leggono, ed è storia che purtroppo conosciamo. Che vuole che le dica? Che bisogna puntare tutto sulla scuola? E’ vero, ma non viene fatto. Che dovrà pur esserci un motivo per cui dopo i sedici, diciassette anni i lettori vengono persi, e che forse quel motivo sta anche nella cattiva qualità di molti libri destinati ai ragazzi? E’ stato detto infinite volte. Stiamo a vedere. Magari chi non legge libri legge su Internet. Allora, adoperiamoci per comprenderne i meccanismi fino in fondo e per far sì che chi su Internet lavora assuma maggiori responsabilità nei confronti della parola pubblica.

 

28 marzo 2013

 

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