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Licia Troisi, “Ecco come il fantasy cattura i lettori”

Polemica estiva sul fantasy: abbiamo intervistato Licia Troisi per farci spiegare quanto il fantasy possa essere un valore aggiunto per la cultura

MILANO – In queste pigre giornate estive, è tornata a farsi sentire la solita critica al fantasy considerato genere di massa che rischia di risultare deviante, soprattutto per gli studenti. Poco dopo la celebrazione del ventesimo anniversario della pubblicazione di Harry Potter e la Pietra Filosofale – tra l’altro, celebrato in quanto saga che è riuscita a risollevare la letteratura dedicata ai più giovani – abbiamo deciso di chiedere un parere ad una delle più celebri e giovani autrici italiane che in questi anni ha avuto non solo un grande successo col fantasy, ma è riuscita a creare un universo magico: Licia Troisi.

In questi ultimi giorni è tornata in auge la critica al fantasy, visto come genere prettamente di massa. Cosa ne pensa?

Il fatto che sia un genere di massa non mi sembra un grosso problema. Non credo che essere popolari significhi necessariamente avere una bassa qualità; è una distorsione tipica di certa critica ritenere che un’opera sia vile se ha successo. Tra l’altro non trovo neppure molto sensato che si faccia di un’erba un fascio, criticando un genere, senza invece scendere nello specifico sulle singole opere.

Qual è il vero potere del genere fantasy?

Dipende da quello che il singolo autore vuole attribuirgli. Facendo un discorso più generale, di sicuro ha la capacità di essere particolarmente incisivo nel trasmettere un messaggio grazie al fatto che l’autore ha il totale controllo dell’opera, non soltanto in termini di trama e personaggi, ma anche di regole del mondo, che è di sua creazione, e ha dalla sua la forza di tutta la letteratura di genere: la capacità di avvincere fortemente il lettore tramite una trama appassionante, e così riuscire a veicolare più facilmente, tramite il divertimento, il messaggio che vuole comunicare.

Quanto e cosa può insegnare ai più giovani – e non solo?

Non mi piace tanto quest’idea che un libro debba insegnare qualcosa. Io credo che un buon libro debba divertire – considerando questo verbo in un’accezione più ampia, ossia appassionare, avvincere, coinvolgere il lettore – e al tempo stesso stimolare nel lettore una riflessione, su se stesso o sul mondo. In questo senso, l’ambientazione è solo una quinta sulla quale si svolge la storia, e dunque un fantasy in questo non è diverso da un libro di altro genere, o mainstream.

Trova che una saga come la sua possa portare i più giovani ad appassionarsi più facilmente alla lettura?

Sì, credo di sì, anche perché mi viene detto spesso dai genitori o dai lettori stessi. Un libro di genere cerca sempre di perseguire un certo grado di piacevolezza nella lettura, e dunque credo sia un’ottima porta per accedere al mondo della lettura, proprio perché in un certo senso viene incontro al lettore, attuando nei suoi confronti una specie di opera di seduzione. Siamo tutti affascinati dalle storie, e i libri di genere, e fantasy, sono tutti costruiti intorno alle storie, spesso alla fabula classica, che è tanto più attraente perché archetipica.

Trova che il fantasy aiuti maggiormente ad affrontare tematiche – anche piuttosto attuali – come quelle legate al “diverso”?

Per me questo è sicuramente vero; la possibilità di mettere in scena le dinamiche che si creano tra più razze senzienti, per altro create magari proprio allo scopo di rendere più evidente quanto la convivenza possa essere complicata, ma al tempo stesso necessaria, è un ottimo modo per parlare del presente. Certo, questo dipende tantissimo dalla sensibilità dell’autore. Ognuno ha i mezzi che predilige per cercare di veicolare i proprio contenuti; per me il fantasy è davvero lo perfetto.

Galileo Galilei leggeva “L’Orlando Furioso” ed era appassionato dei fantasy della sua epoca perché stimolavano anche la sua immaginazione per le sue ricerche. Secondo lei, il fantasy può avere un ruolo importante anche a livello scientifico?

Credo di sì, e infatti conosco molti ricercatori appassionati di questo genere. La ricerca scientifica è una questione di immaginazione e di creatività, di capacità di comprendere il legame sotteso ai dati e di evincerne la legge generale, e spesso, come dice Rovelli nel suo ultimo libro, anche di comprendere ciò che ancora non è stato visto. Il fantasy, la fantascienza, e tutti i generi che hanno una forte componente visionaria secondo me presentano qualcosa che risuona con la psicologia di molti scienziati.

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