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Licia Cardillo Di Prima, ”Scrivere è percorrersi dentro, conoscersi e conoscere, moltiplicarsi, sognare e condividere il sogno con altri”, insomma vivere

Licia Cardillo Di Prima vive a Sambuca di Sicilia. Ha pubblicato opere di vario genere, come il romanzo storico “Eufrosina” (Flaccovio, 2008), la raccolta di racconti e ricette “La poltrona di Maria Carolina e il gelo di mellone”...

Licia Cardillo Di Prima vive a Sambuca di Sicilia. Ha pubblicato opere di vario genere, come il romanzo storico “Eufrosina” (Flaccovio, 2008), la raccolta di racconti e ricette “La poltrona di Maria Carolina e il gelo di mellone”, in collaborazione con Elvira Romeo (Flaccovio, 2012), i romanzi “Tardara” (Editori Internazionali Riuniti, 2005) e “La pelle di cristallo” (Iride, 2012). Recentemente ha pubblicato, con Angela Scandaliato, “Flavio Mitridate – I tre volti del cabbalista”, che racconta le vicende avventurose e complesse dell’ebreo siciliano, vissuto nel Quattrocento, che fu precettore di Pico della Mirandola.

 

Ciao, Licia. Una grande varietà di tematiche caratterizza la tua produzione letteraria: l’amore passionale; la malattia che fagocita ogni attimo dell’esistenza ma finisce per costituire un’opportunità di crescita; il delitto e la ricerca della verità; la cucina siciliana che diventa pretesto per raccontare la sicilianità. Quando converso con autori versatili tendo sempre a ricercare con loro il comune denominatore, l’ispirazione basilare che li muove e che trova poi espressioni diverse. Insomma, Licia, si scrive per le ragioni più varie. Puoi dirci se tu ne hai una che accompagna la tua scrittura in ogni sua manifestazione?

È vero. Una grande varietà di temi: dall’amore per la libertà e l’uguaglianza del giacobino Gaspare Puccio della Sambuca, mio conterraneo – il cui nome figura tra le vittime della Repubblica Partenopea – alla passione del viceré Marco Antonio Colonna, vincitore di Lepanto, per la giovanissima Eufrosina Corbera nella Palermo del ‘500, con i delitti che gli furono attribuiti – passando attraverso i misteri, le contraddizioni, la ricchezza di questa nostra Isola, per finire all’ultimo romanzo “Flavio Mitridate – I tre volti del cabbalista” (Dario Flaccovio), scritto a quattro mani con Angela Scandaliato, storica dell’ebraismo siciliano. A me piace indagare su tutti gli aspetti della vita: amore, dolore, male, bene. Nel romanzo “La pelle di cristallo” (Iride Rubbettino), ho affrontato il tema della malattia, del vuoto che ogni mutamento lascia in chi lo sperimenta. Argomento, spesso, oggetto di rimozione. Il dolore segna i confini della fragilità umana, è scomodo, come Dio e la morte, ma lascia un limo dentro che rende fertili e viene a mutare la percezione delle cose.

Sono molto aperta alla diversità; anche nella quotidianità mi capita di entrare in relazione empatica con persone che non ho mai incontrato prima. Quando, poi, scrivo di personaggi storici, faccio spazio dentro di me, mi svuoto e mi lascio invadere da loro e dall’atmosfera che si respirava ai loro tempi.

Mi chiedi per quale ragione scrivo. È come chiedermi perché respiro.  Senza la scrittura la mia vita non avrebbe senso. Scrivere è percorrersi dentro, conoscersi e conoscere, moltiplicarsi, sognare e condividere il sogno con altri. Per me è vivere.

 

Agli autori siciliani è inevitabile chiedere del loro rapporto con l’isola, con le sue peculiarità, con le sue disperazioni. Come vivi la tua sicilianità? E come il tuo essere siciliana influenza la tua scrittura?

La Sicilia per me è delirio e passione. Sono imbevuta come una spugna di sicilianità. Il legame con l’Isola mi fa soffrire, ma mi nutre, mi stimola e indirizza i miei passi.

 

La storia entra spesso nelle tue opere. Attraverso personaggi realmente esistiti dipingi un’epoca, un assetto sociale e una temperie culturale. E questo ci porta a parlare del tuo ultimo lavoro, “I tre volti del cabbalista”. La genesi di un’opera letteraria è sempre interessante; vogliamo parlare di quella della storia di Flavio Mitridate, che hai scritto insieme ad Angela Scandaliato?

 Mi piace svegliare la storia, strapparla dal silenzio e raccontarla. È un modo per risarcire chi, per vari motivi, è stato vittima di una dimenticanza o di una lettura distorta.

Non scelgo io le storie che racconto, né i personaggi che metto in scena. Sono loro a scegliermi. È stato sempre così, sia quando ho raccontato la vicenda del giacobino Gaspare Puccio, sia quella di Eufrosina. Sono stati loro a inseguirmi, a prendermi per mano e condurmi dove volevano. C’è qualcosa di magico nel narrare. È un vero sortilegio. Diceva Consolo che il narratore meriterebbe una pena come quella dantesca degli indovini, dei maghi degli stregoni.

Anche il mio ultimo romanzo è nato per caso. Per una serie di coincidenze mi sono trovata davanti Flavio Mitridate. Ci ho pensato solo un attimo e ho detto: voglio raccontare la sua storia e mi sono data da fare per dargli voce, perché ogni personaggio ha una sua voce.

Così è iniziato il travaglio e la gioia della creazione.

 “Flavio Mitridate” è l’uomo dai tre volti: l’ebreo caltabellottese Samuel Bulfarag, il converso Gugliemo Moncada e l’esperto di lingue orientali e di mistica ebraica Flavio Mitridate, maestro di Pico della Mirandola, per il quale, in pochi mesi, tradusse 3.500 pagine di codici.  La coautrice, Angela Scandaliato, ha speso le sue migliori energie per tracciarne un ritratto storico a tutto tondo. Il romanzo prende il via dalle sue ricerche. La Storia, però, di solito registra i fatti esterni, ha come oggetto d’indagine, la prospettiva pubblica, al narratore restano, però, margini di libertà abbastanza ampi: penetrare le coscienze, scoprire emozioni, passioni e rivelare, come diceva Maria Bellonci, le verità inattese. Mitridate è un personaggio poliedrico, tragico, inquieto, ma geniale e, come i geni, fragile. La sua forza è la straordinaria cultura, la conoscenza delle lingue orientali e della cabbala. La sua debolezza, la mancanza di radici. È un nomade che va cercando se stesso. Nessuno, però, gli rimanda il suo vero volto. Gli altri specchiano un’immagine distorta di lui: presunto assassino, ladro di libri, omosessuale, traditore della fede ebraica. Dietro la maschera, c’è, però, il suo vero volto: la sua onestà intellettuale, la sua fede mai tradita, la voglia di abbattere le barriere tra le religioni, la tensione verso l’universalità del sapere, attraverso la trasversalità delle lingue.

 

Non è la prima volta che scrivi “a quattro mani”. Ci puoi parlare di questa particolare modalità creativa?

È la seconda volta che scrivo un libro a quattro mani. Ho iniziato con Elvira Romeo, appassionata di cucina, che ha curato le ricette  de “La poltrona di Maria Carolina e il gelo di mellone”.

Pur rimanendo fedele ai temi affrontati nei miei precedenti romanzi, in questa raccolta di racconti ho dato spazio all’umorismo, ho giocato con le doppie verità, i paradossi, le superstizioni, le manie, i pregiudizi e mi sono molto divertita. La cucina siciliana ha offerto spunti straordinari. Gustare una pietanza è come ascoltare una sinfonia, ripercorrere, attraverso gli odori e i sapori, la storia dell’isola e saldare il presente al passato.

Nell’ultimo romanzo, ho avuto accanto Angela Scandaliato, una delle massime esperte di ebraismo siciliano. In tutti e due i casi è stato bello confrontarsi, condividere, sostenersi a vicenda. Un’avventura straordinaria che mi piacerebbe ripetere. 

 

A cosa stai lavorando adesso?

Ho diverse cose in cantiere, ma non ho avuto il tempo di pensarci.

 

Grazie, Licia, per il tuo tempo e le tue risposte.   

  

Rosalia Messina

7 giugno 2014
 
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