Se tra i vostri amici o familiari c’è almeno una persona che sogna di perdersi nei vicoli di Seul o Tokyo, sapete già quanto sia difficile sorprenderli con un libro. Spesso sugli scaffali troviamo sempre gli stessi titoli “a tema Asia”, magari con un gatto in copertina e un tocco di esotismo rassicurante. Carini, certo, ma non sempre all’altezza della curiosità di chi ama davvero esplorare nuove voci, lingue e immaginari…
Questo Natale proviamo a cambiare prospettiva: invece di limitarci ai classici ultra-noti, andiamo a cercare storie che arrivano dalle profondità della cultura asiatica; romanzi che parlano di famiglia e solitudine, di guerra, di dolore, di dignità, di lavoro precario e sogni testardi, ma anche e soprattutto di memorie collettive.
Libri perfetti da regalare a Natale per chi ama la letteratura asiatica
Nei suggerimenti che seguono troverete storie intime e familiari, storiche e potenti. Sono titoli pensati come veri e propri “biglietti aerei letterari”: perfetti da mettere sotto l’albero a chi è innamorato dell’Asia o vorrebbe conoscerla meglio, ma anche a chi non ha ancora scoperto quanto la narrativa asiatica sappia essere sorprendente, inventiva e profondamente emotiva.
“Sorgo rosso” di Mo Yan
In “Sorgo rosso” Mo Yan costruisce una saga familiare esplosiva, che attraversa quasi mezzo secolo di storia cinese vista dal basso, dai campi e dalle strade polverose dello Shandong. Al centro c’è Yu Zhan’ao, bandito carismatico e spietato, e la giovane donna che viene “rapita” al matrimonio combinato per diventare sua moglie.
Intorno a loro si muove una comunità brulicante di contadini, soldati, mendicanti, monaci, figure grottesche e fiabesche che sembrano emergere direttamente dalla terra di sorgo, rossa e viva come il sangue che l’ha fertilizzata.
La voce narrante è quella del nipote, che ricompone le vicende della famiglia saltando avanti e indietro nel tempo: dagli anni Venti segnati dal banditismo locale, alla brutale invasione giapponese, fino alle soglie della Rivoluzione culturale.
Le battaglie, le imboscate, le torture, ma anche i momenti di desiderio, di festa e di vino distillato dal sorgo, formano un mosaico dove l’epica si mescola continuamente al quotidiano. Il risultato è un romanzo di guerra e di frontiera che non idealizza nessuno: né gli eroi popolari, né l’esercito, né i “grandi” eventi storici.
Elemento potentissimo è proprio il sorgo: pianta concreta, con il suo odore acre e il fruscio delle foglie, ma anche simbolo della tenacia contadina, della sensualità, della crudeltà ciclica della storia. I campi che “in autunno scintillano come un mare di sangue” diventano lo scenario fisso in cui si ripetono amore, violenza, sacrificio, tradimento.
Qui il realismo più crudo convive con lampi visionari, superstizioni, leggende: un realismo magico radicato nella terra cinese, molto diverso da quello latinoamericano ma altrettanto ipnotico.
È un libro perfetto da regalare a chi ama le grandi saghe storiche e vuole uscire dai percorsi più battuti della narrativa asiatica. Non è una lettura “facile”: è cruda, sanguinosa, a tratti disturbante. Ma offre un’immersione totale in un immaginario potentissimo, dove storia individuale e storia di un intero Paese si riflettono l’una nell’altra, sotto lo stesso vento che piega le spighe di sorgo.
“Quando le montagne cantano” di Phan Que Mai Nguyen
In “Quando le montagne cantano” la storia del Vietnam prende corpo attraverso una casa distrutta e tre generazioni di donne che rifiutano di lasciarsi spegnere dalla guerra. La piccola Huong cresce all’ombra dei bombardamenti americani: dalle montagne dove è in fuga con la nonna Dieu Lan vede Hanoi bruciare, ma è ancora troppo giovane per capire davvero cosa stia succedendo.
Saranno proprio le parole della nonna a colmare quel vuoto: per darle coraggio, Dieu Lan le racconta la propria vita, da figlia di proprietari terrieri sotto il dominio francese alle invasioni giapponesi, dal trionfo dei comunisti alla fuga disperata verso la città, costretta ad abbandonare uno dopo l’altro i suoi cinque figli lungo la strada, con la sola speranza di ritrovarli un giorno.
Il romanzo alterna il presente di Huong a questi racconti del passato, costruendo una saga familiare in cui ogni evento storico – carestie, riforme agrarie, guerre successive – ha un riflesso concreto sui corpi, sulle relazioni, sui silenzi domestici. Quando la guerra finisce e i reduci tornano, anche la madre di Huong rientra dal fronte: Ngoc è viva, ma la sua interiorità è devastata.
Non riesce più a parlare, come se il conflitto le avesse rubato la voce. Allora i ruoli si ribaltano: dopo aver ascoltato per anni le storie della nonna, tocca a Huong restituire le parole alla madre, cucendo insieme i frammenti dei loro traumi per trasformarli in memoria condivisa.
È un libro che parla di guerra senza mai cadere nel didascalico: il cuore del racconto sono i legami familiari, la capacità di resistere, la forza discreta della solidarietà femminile. La scrittura è lirica ma limpida, piena di immagini naturali – le montagne che “cantano”, le risaie, le stagioni – che fanno da contrappunto alla violenza della storia. Un regalo perfetto per chi ama le saghe storiche e vuole conoscere il Vietnam attraverso la voce di chi lo ha vissuto dall’interno, non solo come scenario di film e manuali scolastici.
“Prima e dopo la stagione delle piogge” di Nagai Kafū
In “Prima e dopo la stagione delle piogge” Nagai Kafū ci porta nella Ginza degli anni Trenta, scintillante di luci al neon ma intrisa di malinconia. Protagonista è Kimie, una ventenne che lavora come cameriera al caffè Don Juan e, di notte, si prostituisce dopo essere stata introdotta al mestiere dall’amica geisha Kyōko.
È una ragazza pratica, intelligente, capace di misurare a colpo d’occhio gli uomini che la circondano: dallo scrittore Kiyo’oka, suo amante, al ricco libertino Matsuzaki. Eppure, dietro la scorza di disincanto, Kimie è vulnerabile. Un ignoto persecutore la insulta, la pedina, la tormenta con maldicenze che rischiano di rovinarle il lavoro e la reputazione.
Per capire chi le stia dando la caccia, Kimie arriva perfino a consultare un indovino, in un Giappone sospeso tra tradizione e modernità, superstizioni antiche e nuovi vizi urbani. Attorno a lei Kafū costruisce una galleria di figure maschili grottesche o patetiche, che incarnano il volto ipocrita di una società veloce a consumare corpi e destini femminili.
Kimie, unico personaggio davvero pieno e complesso – come notava Kawabata – si muove in questo “mondo dei fiori e dei salici” con una lucidità quasi spietata, consapevole che la sua libertà passa anche dalla capacità di usare a proprio vantaggio chi vorrebbe usarla.
La pioggia del titolo torna come un ritornello: scrosci improvvisi, pioggerelline sottili, temporali estivi che punteggiano i passaggi cruciali della storia, quasi a lavare – senza riuscirci – lo squallore nascosto dietro le vetrine della Ginza.
È una cronaca elegante e corrosiva dell’epoca Shōwa, un romanzo che parla di desiderio, denaro, potere e declino sociale con lo sguardo distaccato di un grande moralista. Perfetto da regalare a chi ama il Giappone letterario meno da cartolina, curioso di scoprire cosa si nasconde oltre le lanterne e le insegne luminose.
“La decomposizione dell’angelo” di Yukio Mishima
Ne “La decomposizione dell’angelo” Yukio Mishima chiude il ciclo del Mare della fertilità portando alle estreme conseguenze i temi che hanno attraversato l’intera tetralogia: reincarnazione, decadenza, impossibilità di trattenere ciò che amiamo. Ritroviamo Honda Shigekuni, ormai anziano giudice in pensione, sopravvissuto a tutti: agli amici, alle illusioni, a un Giappone che è diventato irriconoscibile rispetto alla giovinezza imperiale.
Quando incontra l’orfano Toru, un ragazzo bello, ambiguo, magnetico, Honda è subito convinto di rivedere in lui l’ennesima reincarnazione del suo amatissimo compagno di scuola Kiyoaki, morto nel primo volume. È come se il cerchio potesse finalmente chiudersi: Honda adotta Toru con uno slancio che ha dentro qualcosa di paterno, qualcosa di devoto e qualcosa di ossessivo. Vuole proteggerlo, guidarlo, “aggiustare” ciò che il destino ha già distrutto tre volte.
Ma Toru non è un angelo da salvare: è un giovane crudele, opportunista, che usa il proprio fascino con lucidità dolorosa. Mentre Honda cerca ovunque segni e conferme della reincarnazione, il ragazzo gli scivola tra le mani, incarnando non la purezza che il vecchio vorrebbe ritrovare, ma proprio quella “carne in decomposizione” che il romanzo teorizza fin dalle prime pagine.
Invecchiamento, malattia, declino fisico e morale diventano il teatro in cui si consuma l’ultimo atto: ciò che per Honda era stato a lungo un “grande mito privato” – l’idea di riconoscere Kiyoaki in nuove vite – si sgretola sotto il peso della realtà.
Mishima, con una prosa tersa e implacabile, firma un libro sul dolore di vedere dissolversi ogni fede: nel corpo, nella bellezza, nella storia, persino nella propria visione del mondo. È un romanzo estremo, non il punto da cui iniziare a leggere l’autore, ma un dono potentissimo per chi ama la letteratura giapponese più cupa e metafisica, interessata non alle consolazioni ma a interrogare senza sconti il rapporto tra tempo, desiderio e disfacimento.
“L’anulare” di Yoko Ogawa
Ne “L’anulare” Yoko Ogawa costruisce un piccolo mondo chiuso e inquietante, dove il dolore del distacco viene archiviato, letteralmente, in barattoli di vetro. La protagonista, una ragazza molto giovane “educata alle regole e alla perseveranza”, dopo un incidente in fabbrica in cui ha perso l’ultima falange dell’anulare sinistro, lascia il suo vecchio lavoro e trova impiego in un laboratorio molto particolare, ospitato in un ex collegio femminile ormai fatiscente.
Lì il signor Deshimaru, uomo taciturno dal fascino ambiguo, ha creato un luogo in cui si “conservano esemplari”: oggetti legati a qualcosa di irrimediabilmente perduto. Una ragazzina chiede che vengano catalogati tre funghi raccolti tra le ceneri dell’incendio in cui sono morti i genitori; un anziano affida le ossa calcinate del suo padda; altri portano frammenti di vite, ricordi che bruciano troppo per tenerli con sé. Una volta affidati al laboratorio, quei clienti non tornano più: hanno ottenuto ciò che volevano, separarsi da ciò che li tormenta trasformandolo in “esemplare”.
La protagonista accoglie i visitatori, li ascolta con gentile professionalità, compila schede, etichette, inventari. All’inizio questo lavoro le sembra una routine bizzarra ma rassicurante. Pian piano, però, la quiete ovattata del laboratorio – il silenzio, i corridoi, la presenza costante di Deshimaru – comincia a esercitare su di lei una presa quasi ipnotica.
La domanda su che fine abbia fatto il proprio pezzetto di dito amputato si fa insistente, e il confine tra ciò che si conserva e ciò che si perde per sempre si assottiglia.
Con uno stile minimale e perturbante, Ogawa racconta una storia che parla di lutto, di controllo, di desiderio (a tratti disturbante) di consegnare parti di sé a qualcun altro. “L’anulare” è un regalo perfetto per chi ama il Giappone letterario più intimo e straniante, le atmosfere alla “strano ma delicato”, i romanzi brevi che non danno spiegazioni ma lasciano a lungo addosso una sensazione di inquietudine sottile.
