Molti libri non si limitano a raccontare una storia. Sono compagni silenziosi che parlano direttamente al cuore, che pongono domande, che accendono desideri, che insegnano a guardarsi e a guardare il mondo in modo diverso.
Per ogni ragazza, di ogni età, esistono pagine capaci di lasciare un’impronta: romanzi, classici, saggi contemporanei che offrono chiavi di libertà, modelli di coraggio, visioni di ribellione e di bellezza. Leggere non significa soltanto evadere: significa riconoscersi, immaginarsi, capirsi.
E in un’epoca in cui tutto sembra correre troppo veloce, il potere trasformativo della lettura diventa ancora più prezioso.
Che si tratti di eroine indimenticabili, di riflessioni sul ruolo della donna, o di storie d’amicizia, sogni e scelte difficili, i libri che parlano alle ragazze sono mappe invisibili verso una consapevolezza più grande.
In questo articolo ci sono storie diverse, senza confini di genere o di tempo: ci sono romanzi che hanno fatto la storia, classici senza età, voci contemporanee che rompono il silenzio, saggi che invitano a pensare, ad amare, a osare.
Libri che ogni ragazza dovrebbe leggere almeno una volta nella vita, e che anche chi ragazza non lo è più può (ri)scoprire con stupore.
15 libri che le ragazze dovrebbero leggere
Se non posso ballare non è la mia rivoluzione di Lella Costa
Il titolo è già uno striscione da corteo: Se non posso ballare non è la mia rivoluzione. La frase, attribuita ad Emma Goldman ma diventata patrimonio collettivo del femminismo contemporaneo, è qui raccolta da Lella Costa e trasformata in un lungo, ritmico e appassionato atto d’amore per le donne che hanno cambiato il mondo, anche senza che il mondo se ne accorgesse subito.
Il libro nasce da uno spettacolo teatrale e mantiene quella struttura scenica, viva, pulsante. Costa sale sul palco della pagina con la grazia di un’attrice e l’energia di un’oratrice, alternando biografie fulminanti, battute, aneddoti e slanci di commozione. Il risultato è un atlante sentimentale della rivoluzione, tutta al femminile, in cui le protagoniste sono scienziate, attiviste, scrittrici, registe, astronaute, pensatrici e sognatrici.
Ma attenzione: non è una parata celebrativa. È un vero e proprio corpo a corpo con la storia. Lella Costa non edulcora, non addomestica, non sacrifica il dolore all’agiografia. Racconta Virginia Woolf e Leymah Gbowee, Margherita Hack e Angela Davis, Tina Anselmi e Malala. E lo fa con uno stile leggero ma mai superficiale, che intreccia la parola teatrale con la precisione del dato storico e l’urgenza del presente.
La forza del libro sta anche nella sua struttura polifonica: ogni figura viene evocata in un crescendo, come se salisse in scena, si esibisse per un attimo, e poi lasciasse il posto a un’altra. Ma tutte restano, tutte danzano nello spazio della memoria, lasciando una traccia. Serena Dandini nella prefazione lo dice chiaramente: è una titanica operazione di sorellanza. Una restituzione di senso, di spazio, di riconoscimento.
E proprio mentre leggiamo, ci accorgiamo che questo libro fa molto più che raccontare: ripara. Rimette al centro quelle che la storia aveva messo ai margini. Ridà voce a chi fu zittita. E lo fa senza retorica, con umanità, ironia, rispetto. È una lettura necessaria, ma anche felice. Perché ogni donna raccontata da Lella Costa ci insegna che si può essere rivoluzionarie senza rinunciare al sorriso. E che, a volte, ballare è la forma più politica di resistenza.
Il titolo omaggia una celebre frase di Emma Goldman, anarchica russa, che reagì così a chi le disse che ballare “non era degno di una rivoluzionaria”. Costa ha trasformato quella provocazione in uno spettacolo teatrale di grande successo, debuttato nel 2020, in piena ondata post-#MeToo. Il libro riprende la voce scenica ma aggiunge riflessioni più intime e una bibliografia “di sorellanza” per approfondire ogni figura.
Le ragazze della scienza di Olivia Campbell
In un panorama letterario dove le grandi figure della scienza sono spesso raccontate attraverso volti maschili, Le ragazze della scienza di Olivia Campbell squarcia il velo dell’oblio e restituisce voce, dignità e memoria a quattro donne straordinarie che, fuggite dalla Germania nazista, hanno rivoluzionato la storia della fisica moderna.
Il libro intreccia il rigore della narrazione storica con una vivida capacità narrativa, trasformando la vita di queste scienziate, spesso rimaste invisibili dietro successi attribuiti ad altri, in una saga appassionante di resistenza, intelligenza e coraggio. Non siamo di fronte a un semplice resoconto biografico, ma a una vera e propria epopea della resilienza femminile, raccontata con partecipazione emotiva e grande attenzione documentaria.
Attraverso una scrittura chiara, coinvolgente e mai retorica, Campbell mette in evidenza non solo i successi delle protagoniste, ma anche le umiliazioni, le discriminazioni e le ingiustizie che hanno dovuto affrontare: donne ridotte a “assistenti anonime”, costrette a firmare articoli scientifici senza ottenere credito, pagate una frazione dei loro colleghi, spesso obbligate a reinventarsi in nuovi paesi, nuove lingue, nuovi ambienti ostili.
La ricostruzione del contesto storico è uno dei punti di forza del volume: la tensione crescente in Europa, l’orrore delle leggi razziali, la fuga rocambolesca verso una salvezza incerta si intrecciano ai racconti delle scoperte scientifiche e delle battaglie quotidiane per il riconoscimento. In questo modo, Le ragazze della scienza non è solo un tributo, ma diventa anche un potente atto politico di memoria: ci ricorda che la scienza moderna si è costruita anche sulle spalle di donne dimenticate, che i nazisti volevano cancellare e che la storia ufficiale ha troppo a lungo ignorato.
Particolarmente incisiva è la riflessione che attraversa tutto il libro: la scienza, come ogni altro campo del sapere, è stata plasmata anche da chi non ha mai ricevuto premi, cattedre o statue commemorative. Olivia Campbell ridà loro il posto che meritano, restituendo un senso di giustizia e di gratitudine che travalica il tempo.
Un libro necessario, commovente, impeccabile nella ricerca e potente nel messaggio: Le ragazze della scienza è una lettura imprescindibile per chiunque creda che la storia, per essere vera, debba finalmente essere raccontata tutta, anche e soprattutto attraverso le voci di chi non è mai stato ascoltato.
Per chi cerca storie vere di coraggio e resistenza, biografie storiche intense, un nuovo sguardo sulla storia della scienza e del Novecento.
Yoko Una biografia, di David Sheff
Con Yoko. Una biografia, David Sheff firma un’opera preziosa che restituisce finalmente complessità, dignità e verità a una figura troppo spesso vittima di fraintendimenti e riduzioni mediatiche. Basandosi su un’amicizia decennale e su una conoscenza diretta della protagonista, Sheff offre un ritratto vivido e umano di Yoko Ono, artista pioniera e donna dal coraggio incrollabile, capace di attraversare tempeste personali e storiche senza mai perdere la propria identità.
Lontano dalle caricature superficiali che hanno a lungo oscurato il suo contributo all’arte contemporanea e all’attivismo per la pace, questo libro compone un mosaico che attraversa i momenti chiave della vita di Yoko: l’infanzia tra Giappone e Stati Uniti, l’immersione nell’avanguardia newyorkese, l’incontro con John Lennon, le ferite della guerra, della perdita, della solitudine, fino alla resilienza di un’icona che ha saputo reinventarsi più volte, senza mai smettere di credere nel potere trasformativo dell’arte.
Sheff accompagna il lettore in un viaggio che è anche un “magical mystery tour” nei territori della sopravvivenza emotiva e della visione radicale: Yoko non è solo la compagna di Lennon, ma una voce autonoma, una costruttrice di ponti tra culture, una donna capace di plasmare la sofferenza in linguaggio universale. Attraverso la sua storia, il libro parla anche di chi soffre, di chi vede e pensa in modo diverso, di chi trova nella vulnerabilità una forma superiore di forza.
Yoko. Una biografia è un’opera di riscatto, di riscrittura e di speranza: un invito a guardare oltre le lenti della diffidenza e a riconoscere in Yoko Ono non solo un’artista fondamentale, ma una testimone coraggiosa del nostro tempo. Una lettura che emoziona, che interroga, che riconsegna alla storia una delle sue voci più rivoluzionarie.
Brave ragazze. Una storia di anoressia di Hadley Freeman
Brave ragazze è un memoir crudo, sincero e necessario, in cui Hadley Freeman racconta senza filtri la sua battaglia personale contro l’anoressia. Con uno stile diretto, coinvolgente e al tempo stesso pieno di una dolorosa consapevolezza, Freeman ci accompagna dentro gli anni più bui della sua vita, narrandoli con una lucidità che rende ogni pagina autentica, a tratti straziante, ma sempre profondamente umana.
Il libro si costruisce come una sorta di dialogo tra la Hadley adulta, ormai affermata come giornalista e scrittrice, e la Hadley adolescente, intrappolata in un labirinto fatto di controllo, paura e disperazione. Non c’è idealizzazione, né edulcorazione: Freeman descrive l’anoressia per ciò che è, una malattia subdola che spesso si maschera da forza di volontà, da ricerca di perfezione, da desiderio di invisibilità in un mondo che sembra troppo grande e ingestibile.
Particolarmente toccante è il modo in cui Freeman riesce a rendere tangibile il senso di isolamento che accompagna chi soffre di disturbi alimentari: non solo l’isolamento fisico, ma anche quello emotivo, quella frattura silenziosa che separa chi sta male da chi vorrebbe aiutare. L’autrice riflette anche sulle aspettative sociali, sui modelli culturali che celebrano la magrezza estrema e sull’insidiosa pressione che molte ragazze subiscono fin da giovanissime.
Ma Brave ragazze non è solo un libro sulla malattia. È, come sottolinea Freeman nella sua introduzione, anche una storia di sopravvivenza e di rinascita. La sua scrittura dà voce alla speranza senza mai cadere nella retorica: racconta che il recupero è possibile, anche se faticoso e imperfetto, e che la vita può essere non solo sopportata, ma vissuta e amata pienamente. Freeman invita chi sta lottando a credere che il cambiamento è possibile, anche quando tutto sembra senza uscita.
La traduzione di Milena Sanfilippo restituisce bene l’equilibrio tra la durezza e la dolcezza del testo originale, mantenendo intatto il tono confidenziale e partecipe con cui Freeman si rivolge ai lettori e alle lettrici.
In definitiva, Brave ragazze è un libro potente, necessario, che non solo offre uno spaccato sincero di cosa significhi vivere con un disturbo alimentare, ma riesce anche a farsi testimone di una verità più grande: che la guarigione passa attraverso la comprensione, la gentilezza e la tenace convinzione che la vita, malgrado tutto, valga la pena di essere vissuta.
A chi cerca una testimonianza autentica sui disturbi alimentari, chi ha bisogno di una voce che parli di fragilità e forza senza ipocrisie, chi ama le storie di resilienza raccontate con grazia e coraggio.
Donna sul filo del tempo di Marge Piercy
Pubblicato per la prima volta nel 1976 e oggi finalmente riscoperto in Italia grazie a Edizioni SUR, Donna sul filo del tempo di Marge Piercy è un capolavoro della speculative fiction femminista, che ancora oggi mantiene intatta la sua forza visionaria e politica.
La protagonista, Connie Ramos, è una donna ispanica che vive ai margini della società americana degli anni Settanta. È povera, isolata, ed è stata privata della custodia di sua figlia. Dopo un episodio violento, viene internata contro la sua volontà in un istituto psichiatrico, marchiata come “pazza” da un sistema che preferisce etichettare il dissenso anziché comprenderlo. È da questo contesto di oppressione che si apre per Connie una finestra su un futuro alternativo: attraverso delle visioni, o forse dei veri e propri viaggi psichici, entra in contatto con una società futura radicalmente diversa, una comunità utopica dove la parità di genere, razza e classe è finalmente realizzata.
Piercy costruisce così un romanzo a due livelli: da una parte l’incubo del presente, segnato da ingiustizie e violenze sistemiche; dall’altra l’utopia del futuro, che nasce non come fuga, ma come possibilità reale da costruire con fatica e coraggio. L’autrice non dipinge un’utopia perfetta e cristallizzata, bensì una società dinamica, che deve costantemente negoziare i propri valori e affrontare le proprie contraddizioni. È un messaggio potentissimo: il cambiamento non è magico né inevitabile, è una responsabilità collettiva.
Lo stile di Piercy è intenso e incisivo, capace di restituire sia la durezza delle condizioni di vita di Connie sia la meraviglia sospesa di un possibile futuro diverso. Donna sul filo del tempo è anche un romanzo di grande carica emotiva, che non ha paura di confrontarsi con il dolore, la perdita, la speranza e la lotta. In ogni pagina si sente il legame con i movimenti femministi, pacifisti e antirazzisti dell’epoca, eppure la sua riflessione sulla violenza istituzionale, sulla marginalizzazione delle donne e delle minoranze, sulla necessità di immaginare nuovi modelli di società è ancora drammaticamente attuale.
Questo romanzo è, come ha scritto Gloria Steinem, uno di quei rari libri che ti cambiano. Non ti lascia come ti ha trovato: ti scuote, ti fa pensare e, soprattutto, ti invita ad agire. Donna sul filo del tempo è un inno alla possibilità della speranza, un atto di resistenza contro il cinismo e la rassegnazione.
Una lettura potente, visionaria e necessaria. Un classico femminista che parla del futuro per trasformare il nostro presente.
Muoviamo le montagne di Charlotte Perkins Gilman
Pubblicato originariamente nel 1911 e proposto oggi in italiano da Le Plurali, Muoviamo le montagne è uno dei testi più sorprendenti e meno conosciuti della grande Charlotte Perkins Gilman, figura fondamentale del pensiero femminista americano. Celebre per il suo racconto Il tappeto giallo, Gilman si cimenta qui in un’opera di speculative fiction che anticipa temi e visioni che solo decenni più tardi sarebbero diventati centrali nel dibattito femminista e sociale.
La trama si apre con il ritorno di John Robertson, un uomo che si risveglia da un coma durato trent’anni. Al suo risveglio, scopre un mondo radicalmente cambiato: una società in cui le donne hanno raggiunto la piena parità con gli uomini, ridisegnando ogni aspetto della vita sociale, economica e culturale. Non si tratta solo di una conquista di diritti: Gilman immagina una vera e propria ristrutturazione della società, dove il valore della cooperazione ha sostituito quello della competizione sfrenata, e il benessere collettivo ha preso il posto dell’individualismo egoistico.
Attraverso gli occhi increduli e spesso spaesati di John, il lettore è accompagnato in un viaggio in una società alternativa in cui il lavoro, l’educazione, la famiglia e persino l’urbanistica sono stati ripensati in chiave egualitaria. Ma ciò che rende il romanzo ancora più potente è il modo in cui Gilman costruisce questa utopia: non come un mondo perfetto, privo di problemi, bensì come una società in costante evoluzione, frutto di una presa di coscienza politica e di un impegno concreto.
Lo stile di Gilman, diretto e ricco di ironia, riesce a mantenere vivo il ritmo del romanzo pur trattando temi profondi come l’emancipazione femminile, la giustizia sociale e il ripensamento delle strutture patriarcali. È affascinante vedere come Gilman, più di cento anni fa, avesse già intuito la necessità di un cambiamento sistemico per migliorare davvero la condizione umana, non limitandosi a piccoli aggiustamenti ma immaginando un ribaltamento delle fondamenta.
Muoviamo le montagne è un libro che sorprende per la sua modernità. Nonostante la distanza temporale, molte delle sue riflessioni risultano attualissime: le questioni di genere, il ruolo della cura nella società, la sostenibilità ambientale e la critica alle diseguaglianze economiche sono temi su cui ancora oggi ci interroghiamo. La forza visionaria di Gilman sta proprio nella sua capacità di mostrare che il cambiamento è possibile, ma richiede coraggio, immaginazione e un profondo ripensamento dei valori che reggono la società.
La traduzione di Beatrice Gnassi restituisce con sensibilità e precisione la vivacità dell’originale, permettendo ai lettori italiani di avvicinarsi a un testo che merita di essere riscoperto e discusso. Ancora una volta Le Plurali si conferma un editore attento e necessario, capace di riportare alla luce opere fondamentali del pensiero femminista internazionale.
Muoviamo le montagne non è solo un’utopia letteraria, è un invito a credere che un altro mondo sia possibile e che, per costruirlo, dobbiamo prima immaginarlo.
Sette peccati necessari di Mona Eltahawy
Con Sette peccati necessari. Manifesto contro il patriarcato, Mona Eltahawy firma un testo incendiario, potente e profondamente autentico che si pone come una dichiarazione di guerra contro ogni forma di oppressione patriarcale. Pubblicato in Italia da Le Plurali con la traduzione di Beatrice Gnassi e arricchito da una prefazione di Igiaba Scego, questo libro non è solo un saggio politico: è un grido di liberazione, un invito all’azione urgente e senza compromessi.
Eltahawy, giornalista e attivista femminista egiziana di fama internazionale, ci offre un manifesto che nasce dalla sua esperienza personale di oppressione, ribellione e lotta. I “sette peccati” che elenca, rabbia, attenzione, ambizione, potenza, villeggiatura, violenza e lussuria, sono, nella sua visione, non vizi da correggere ma virtù da coltivare per sovvertire un sistema oppressivo. Ogni capitolo è dedicato a uno di questi “peccati” e racconta come ciascuno di essi sia essenziale per reclamare il diritto alla piena esistenza, alla dignità, al desiderio e alla rabbia delle donne.
Il linguaggio di Eltahawy è diretto, incisivo, e deliberatamente privo di filtri. Non cerca di risultare accomodante, né tantomeno di addolcire la forza del suo messaggio: la rivoluzione femminista non può essere gentile. Deve essere feroce, rabbiosa, persino spaventosa, perché il patriarcato si combatte con la forza dell’indignazione e della resistenza attiva. Non si tratta solo di chiedere spazio, ma di prenderselo. Non si tratta di adattarsi, ma di distruggere per ricostruire.
Un altro grande pregio del libro è l’internazionalismo dello sguardo di Eltahawy: non si concentra esclusivamente sull’Occidente, ma racconta il patriarcato come fenomeno globale, radicato in culture diverse ma unito nella sua logica di dominio. Eltahawy parla della condizione delle donne arabe, delle minoranze, delle persone queer, e di tutte le identità che il patriarcato cerca di soffocare. In questo modo, il suo manifesto si fa universale: la lotta contro l’oppressione riguarda tutte e tutti.
Il ritmo serrato della narrazione, unito alla forza emotiva delle testimonianze personali e alla lucidità dell’analisi politica, rende Sette peccati necessari una lettura coinvolgente e, allo stesso tempo, spiazzante. Non è un libro comodo, né intende esserlo: è una chiamata alle armi per tutte coloro che vogliono rompere davvero il sistema patriarcale e non si accontentano di piccole concessioni.
L’edizione italiana di Le Plurali è particolarmente curata: la scelta grafica vivace e il tono diretto della traduzione restituiscono pienamente l’urgenza e la vitalità del testo originale. La prefazione di Igiaba Scego, poi, aggiunge un ulteriore livello di riflessione, contestualizzando il pensiero di Eltahawy nella realtà italiana e mediterranea.
Sette peccati necessari è un libro che scuote, ispira e arma di pensiero critico. Un manifesto feroce e necessario, che invita a smettere di chiedere il permesso e a iniziare a reclamare la propria libertà, senza scusarsi mai.
Lady Cinema di Valentina Torrini
Lady Cinema. Guida pratica per attivare le tue lenti femministe, pubblicato da Le Plurali, è un libro agile, brillante e necessario che accompagna il lettore, o meglio, la lettrice, in un viaggio di scoperta attraverso il cinema, offrendo strumenti concreti per decostruire stereotipi e leggere i film con uno sguardo femminista attivo e consapevole.
Valentina Torrini, critica cinematografica e divulgatrice culturale, firma un’opera che non si limita a essere un semplice manuale: Lady Cinema è una vera e propria palestra di pensiero, che invita chi legge ad allenare la propria visione critica e a riconsiderare ciò che il grande (e piccolo) schermo ci ha sempre raccontato. Attraverso un linguaggio chiaro, inclusivo e diretto, Torrini mostra come ogni storia raccontata dal cinema sia il risultato di una costruzione culturale che ha spesso escluso, marginalizzato o distorto l’immagine delle donne.
Il libro è suddiviso in capitoli tematici che affrontano vari aspetti della rappresentazione femminile: dalla narrazione degli stereotipi di genere ai meccanismi del male gaze, dalla questione dell’intersezionalità alla necessità di nuovi immaginari che includano corpi, desideri e identità diverse. Torrini fornisce esempi pratici, propone esercizi di analisi e suggerisce visioni alternative, rendendo questo volume non solo teorico ma anche estremamente operativo.
La prefazione di Marina Pierri, esperta di narrazioni e autrice di Eroine, arricchisce il volume sottolineando l’urgenza di uno sguardo diverso e più consapevole sul cinema contemporaneo, un’arte che continua a modellare in profondità la nostra percezione del mondo e di noi stessi.
Uno degli elementi più riusciti di Lady Cinema è la sua capacità di rendere accessibile anche a chi non ha una formazione specialistica concetti fondamentali come il Bechdel Test, il concetto di agency femminile, o la rappresentazione della sorellanza e della solidarietà femminile sullo schermo. Non si tratta mai di un approccio elitario: Torrini dimostra che tutti e tutte possiamo (e dobbiamo) essere spettatori e spettatrici attivi, capaci di porre domande, di riconoscere i meccanismi sottesi, di pretendere narrazioni migliori.
Il tono fresco, ironico ma rigoroso, fa sì che Lady Cinema sia perfetto tanto per chi si avvicina per la prima volta al femminismo applicato alla cultura pop quanto per chi è già impegnato nella critica e nell’attivismo culturale. In particolare, è un libro che offre uno spazio di riflessione prezioso sul valore della rappresentazione: chi viene visto, chi viene escluso, e come questo influenza non solo il modo in cui ci raccontiamo, ma anche il modo in cui pensiamo noi stesse.
La veste grafica vivace dell’edizione Le Plurali si sposa perfettamente con l’approccio del libro: contemporaneo, accessibile e appassionato. Ogni pagina trasmette l’idea che la cultura non è qualcosa di lontano o inaccessibile, ma un terreno di battaglia quotidiana su cui tutte e tutti possiamo agire.
Lady Cinema è una lettura imperdibile per chiunque ami il cinema e voglia imparare a vederlo con occhi nuovi. È un atto di consapevolezza, uno strumento pratico per diventare spettatrici e spettatori più liberi, critici e rivoluzionari. Valentina Torrini ci insegna che cambiare il modo in cui guardiamo significa, in fondo, iniziare a cambiare anche il mondo.
L’alveare di Margaret O’Donnell
Pubblicato da Mondadori nella collana Oscar Moderni, L’alveare di Margaret O’Donnell è un romanzo distopico sorprendente, di quelli che scavano nelle paure collettive e le trasformano in monito politico. Uscito originariamente nel 1979 e tornato oggi alla ribalta per la sua lucidità visionaria, questo libro anticipa molte delle inquietudini che sarebbero esplose con Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, tanto che viene giustamente considerato una delle sue più importanti predecessore.
Ambientato in un’America futura che ha visto la propria democrazia sgretolarsi sotto l’avanzare di un regime totalitario, L’alveare racconta di una società rigidamente organizzata secondo gerarchie ferree e ruoli predeterminati, soprattutto per le donne. In questo nuovo ordine, le donne sono suddivise in “categorie”, proprio come api in un alveare: ognuna ha una funzione specifica, programmata sin dall’infanzia, senza possibilità di deviare dal percorso assegnato.
Al centro della storia c’è Sarah Hillard, una donna che, a differenza di molte sue coetanee, comincia a mettere in discussione la realtà che la circonda. Il romanzo segue la sua progressiva presa di coscienza: da ingranaggio inconsapevole del sistema, Sarah si trasforma in elemento di rottura, in voce fuori dal coro, in simbolo di una possibile ribellione. Non si tratta di un’eroina nel senso classico del termine, ma di una donna comune che, pur tra mille paure e contraddizioni, trova il coraggio di domandare, e poi di agire.
Lo stile di O’Donnell è asciutto, tagliente, essenziale: la narrazione si sviluppa attraverso una lingua sorvegliata e inquietante, che restituisce perfettamente la claustrofobia del mondo descritto. L’autrice costruisce un universo opprimente non tanto attraverso scene di violenza esplicita, quanto attraverso una quotidianità distorta che sembra plausibile proprio perché parte da piccole rinunce, da adattamenti silenziosi, da accettazioni graduali.
È proprio in questo che L’alveare colpisce con forza: mostra come le derive autoritarie non nascano dall’oggi al domani, ma si insinuino piano, nei gesti quotidiani, nell’abitudine a non farsi domande. Il romanzo ci interroga su quanto sia facile perdere la libertà e quanto sia difficile, invece, riconquistarla.
L’alveare è un testo profondamente femminista, anche se mai didascalico. Denuncia il controllo dei corpi, la cancellazione dell’individualità, l’omologazione forzata dei desideri. E al tempo stesso pone domande cruciali sul coraggio necessario per resistere: quali sono i piccoli compromessi quotidiani che rischiano di diventare irreversibili? Quanta forza ci vuole per cambiare il corso della storia?
L’alveare è perfetto per chi ha amato Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, La serva di Marie NDiaye o La mano sinistra del buio di Ursula K. Le Guin, e per chi cerca romanzi distopici che, pur parlando di futuri immaginari, ci costringano a riflettere sul nostro presente.
La tenda rossa di Anita Diamanti
La tenda rossa è un romanzo vibrante, intimo e profondamente femminile, in cui Anita Diamant riscrive una delle storie più trascurate della Bibbia, quella di Dina, figlia di Giacobbe e Lea, restituendole finalmente voce e dignità. Ambientato in un mondo antico, governato da leggi patriarcali e strutture tribali, il romanzo ci conduce all’interno della “tenda rossa”, uno spazio sacro esclusivamente femminile dove le donne si ritrovano per celebrare, proteggersi, tramandare esperienze e sostenersi durante i momenti cruciali della vita: il ciclo mestruale, la maternità, il parto, la malattia, il lutto.
Il romanzo si costruisce come un grande affresco corale, in cui le figure femminili, Lea, Rachele, Zilpa e Bila, madri e zie di Dina, emergono nella loro forza, vulnerabilità e saggezza. Diamant ridà corpo e anima a queste donne, spesso relegate a ruoli marginali nei testi sacri, e attraverso la loro quotidianità intesse un racconto potente sul valore della solidarietà femminile, sulla trasmissione orale delle storie, e sulla capacità di resistenza e autodeterminazione in un mondo dominato dagli uomini.
Il cuore del libro è proprio Dina: bambina curiosa, giovane donna appassionata, testimone di un dramma che la costringerà a ridefinire se stessa e il proprio destino. Il suo percorso è una storia di formazione dolorosa ma anche luminosa, che celebra il potere della memoria e la forza trasformativa del racconto. Attraverso la sua voce, Diamant colma i silenzi della narrazione biblica, donando a Dina e, simbolicamente, a tutte le donne dimenticate dalla storia ufficiale, un’identità complessa, piena di emozioni, desideri e lotte.
Lo stile di Diamant è ricco e avvolgente: la prosa, pur mantenendo una grande semplicità, riesce a evocare un intero universo fatto di odori, colori, rituali e legami ancestrali. Le descrizioni della “tenda rossa” sono tra le pagine più intense: questo luogo diventa non solo spazio fisico, ma anche metafora di una comunità resistente, un microcosmo di forza e cura dove il femminile viene celebrato nella sua totalità.
La tenda rossa non è solo un romanzo storico: è anche un’opera di risignificazione culturale, che interroga i rapporti di potere, i codici familiari e il peso delle tradizioni. È un invito a ricordare che, anche nei tempi più oscuri, la trasmissione dei saperi femminili ha rappresentato una forma di resistenza e di speranza.
Un libro necessario, che commuove e fa riflettere, perfetto per chi ama i racconti che ridanno voce alle donne cancellate dalla storia. E una lettura imperdibile per chi cerca storie che parlano di appartenenza, sorellanza, rinascita.
Matriarcato. La via per una società egualitaria di Heide Goettner-Abendroth
In un mondo ancora intrappolato in strutture sociali basate sulla competizione, la gerarchia e la supremazia patriarcale, Matriarcato. La via per una società egualitaria di Heide Goettner-Abendroth si presenta come una lettura profondamente necessaria, un manifesto di pensiero e di speranza che invita a ripensare radicalmente le fondamenta stesse della convivenza umana. Pubblicato da Vanda Edizioni, il volume è un compendio denso e illuminante sugli studi matriarcali moderni, che confutano il luogo comune che associa il matriarcato a una semplice inversione di ruoli rispetto al patriarcato.
Goettner-Abendroth, riconosciuta a livello internazionale come la madre degli Studi Matriarcali Moderni, ribadisce con forza che il matriarcato non è né dominio femminile né oppressione degli uomini, bensì una struttura sociale basata sull’eguaglianza, sulla cooperazione, sulla distribuzione orizzontale del potere e sul rispetto profondo per le differenze. I suoi studi, supportati da una rigorosa ricerca antropologica, si concentrano su società storiche e contemporanee presenti in Asia, Africa, Oceania e nelle Americhe, in cui i principi matriarcali si sono espressi in modelli sociali alternativi, armoniosi ed equi.
Attraverso uno stile chiaro e accessibile, l’autrice ci guida alla scoperta di culture in cui la donna, pur essendo figura centrale, non impone un dominio, ma rappresenta l’elemento catalizzatore di una società più giusta e bilanciata. La creatività, l’autonomia e la libertà delle donne diventano così il vero indicatore di progresso di una civiltà. Le società matriarcali sono presentate come modelli reali, concreti, non utopistici: esempi che mettono in discussione l’idea stessa che la gerarchia e la violenza siano componenti inevitabili della natura umana.
Uno dei punti di forza del libro è l’accento posto sull’importanza della differenza: l’uguaglianza, per Goettner-Abendroth, non significa omologazione, ma valorizzazione della diversità. Attraverso un viaggio che è insieme teorico e politico, l’autrice ci invita a riflettere su come una società possa essere fondata su valori di cura, solidarietà e responsabilità condivisa, anziché su dinamiche di oppressione e sfruttamento.
Matriarcato non si limita a un’analisi teorica, ma lancia una vera e propria sfida al pensiero dominante: se il patriarcato ha portato a diseguaglianze e catastrofi ambientali, è arrivato il momento di guardare ai modelli matriarcali non come reliquie del passato, ma come risorse per costruire un futuro possibile.
Questo libro è un testo imprescindibile per chiunque voglia approfondire il pensiero femminista da una prospettiva radicale e trasformativa. Un’opera capace di ispirare, educare e aprire nuovi orizzonti di pensiero, capace di spingere chi legge a domandarsi come sarebbe il mondo se si costruisse davvero su basi di equità e rispetto reciproco. Un invito potente a credere che cambiare non solo è necessario, ma è possibile.
La dea e il suo eroe di Heide Goettner-Abendroth
Con La dea e il suo eroe, Heide Goettner-Abendroth, pioniera degli studi sui sistemi matriarcali, ci accompagna in un viaggio sorprendente e necessario attraverso le mitologie, le fiabe e la poesia antica, rileggendo i rapporti tra divinità femminili e figure maschili secondo un’ottica capace di scardinare millenni di narrazione patriarcale.
Il testo si presenta come un vero e proprio atlante comparato di miti antichi: dalla Creta di Demetra e Iacco, passando per l’Egitto di Nut e Ra, fino ai racconti di Inanna e Dumuzi nella Sumer/Babilonia, il volume intreccia una vasta gamma di culture, come: Asia Minore, Palestina, Persia, India, Europa celtica e germanica, per restituire una visione del sacro originariamente fondata sul principio della Dea. Questi miti, spesso alterati o reinterpretati dalla tradizione successiva, vengono restituiti da Goettner-Abendroth nella loro forma primigenia, mettendo in luce come in origine la figura femminile non fosse subordinata ma centrale: fonte di vita, di potere e di legittimazione.
Particolarmente affascinante è il modo in cui l’autrice mostra che il rapporto tra dea e eroe non era conflittuale, ma collaborativo. Il maschile non nasceva come forza dominante bensì come alleato del principio femminile, fino a quando , con l’avanzata delle culture patriarcali, questa dinamica venne stravolta, trasformando l’eroe in antagonista o dominatore.
La struttura del libro, organizzata in capitoli tematici e geografici, permette di cogliere sia le peculiarità di ogni tradizione sia i fili comuni che le collegano: dalla forza materna di Iside in Egitto, all’equilibrio cosmico di Sarasvati e Brahma in India, fino alle trasformazioni dei miti matriarcali nell’Europa nordoccidentale. Goettner-Abendroth non si limita a un’analisi mitologica: sottolinea il valore politico di queste storie, indicando che le religioni matriarcali offrivano modelli sociali più egualitari, relazioni tra i sessi basate sulla complementarità, non sulla sopraffazione.
Con una prosa densa ma appassionante, l’autrice conduce una critica incisiva alla visione storica dominante, dimostrando come il recupero della memoria matriarcale non sia solo un atto accademico, ma una necessità culturale e politica, capace di offrire strumenti per ripensare i rapporti di potere contemporanei.
La dea e il suo eroe è dunque un libro fondamentale per chiunque voglia esplorare una storia delle civiltà alternativa, centrata sul sacro femminile e sull’armonia dei generi. È anche un invito a riconoscere che un diverso modo di vivere, più giusto e rispettoso della vita e delle relazioni umane, non solo è esistito, ma può essere nuovamente immaginato.
Un testo poderoso, illuminante e coraggioso, che intreccia mito, storia e politica per riscrivere le radici della nostra cultura.
Noi bei pezzi di carne di Colwill Brown
Crudo come uno schiaffo, tenero come un abbraccio fra adolescenti dopo una notte troppo lunga: Noi bei pezzi di carne è l’esordio esplosivo di Colwill Brown, e arriva dritto al cuore con la stessa violenza con cui si sopravvive all’adolescenza. Ambientato nella Doncaster degli anni Novanta, una periferia dimenticata del nord dell’Inghilterra , il romanzo ci catapulta in un mondo in cui la noia si combatte con la ribellione, l’amicizia è una religione e la vulnerabilità è un’arma a doppio taglio.
Protagoniste sono tre ragazze: Rach, Kel e Shaz. Vivono ai margini, nella provincia industriale e desolata, eppure vibrano di un’energia vitale contagiosa. Le loro giornate sono piene di eccessi: serate in discoteca, corse in treno senza biglietto, alcool, sesso, piccoli furti, confessioni strappate tra una sigaretta e l’altra. Vogliono essere viste, ascoltate, amate. Vogliono vivere tutto troppo in fretta. E mentre il mondo le giudica o le ignora, loro si cercano, si sostengono, si feriscono e si proteggono.
Con uno stile musicale e impattante, Brown scrive un inno alla rabbia e alla dolcezza adolescenziale, senza censure. La sua lingua è ruvida, sincopata, lirica e brutale insieme. L’effetto è quello di una Ferrante punk, con le dinamiche affettive de L’amica geniale immerse però nel fango, nei rave, nei rifiuti urbani e nei sogni spezzati della working class inglese. Il paragone con Trainspotting non è azzardato: come Welsh, Colwill Brown sa raccontare il degrado senza pietismo e la giovinezza senza filtri.
Il romanzo si snoda lungo gli anni, seguendo le tre protagoniste mentre si allontanano e si riavvicinano, affrontano traumi, si innamorano, sbagliano, resistono. Ma sotto tutto questo c’è un segreto, una ferita condivisa che per anni non trova voce. E quando infine riaffiora, quel dolore trasforma la narrazione in un colpo allo stomaco, capace di rimescolare ogni interpretazione.
Noi bei pezzi di carne non è una lettura rassicurante. Ma è necessario. Perché mette al centro le voci delle ragazze, spesso zittite, e le lascia urlare. Celebra l’amicizia femminile nella sua forma più viscerale, in cui affetto e violenza si intrecciano, e la trasforma in letteratura di rara intensità.
Colwill Brown scrive con empatia feroce, con umorismo graffiante e una sensibilità spietata. Rach, Kel e Shaz sembrano vive, reali: potresti giurarle viste nei bagni del pub sotto casa o nel parcheggio del supermercato. Quando chiudi il libro, ti resta addosso la sensazione che loro siano ancora lì, da qualche parte, a fumare una sigaretta sotto la pioggia.
Noi bei pezzi di carne è un romanzo di formazione incandescente, un ritratto ruvido e autentico dell’adolescenza femminile, in bilico tra distruzione e salvezza. Una delle voci più originali e potenti degli ultimi anni. Colwill Brown ha esordito con qualcosa che difficilmente si dimentica.
L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin di Alexandra Lapierre
Con L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin, Alexandra Lapierre ci regala il ritratto vibrante e sfaccettato di una delle figure più straordinarie della letteratura e dell’attivismo femminile australiano, rivisitandone la vita con uno stile narrativo coinvolgente e appassionato.
Miles Franklin, pseudonimo dietro cui si cela Stella Maria Sarah Miles Franklin, emerge da queste pagine come una donna impossibile da ingabbiare: indipendente, ribelle, visionaria. Fin dall’infanzia, Franklin rifiuta di aderire al modello imposto alle donne del suo tempo, rifiutando un destino domestico e sognando invece di cambiare il mondo attraverso la scrittura e l’impegno civile. La sua parabola, da giovane promessa letteraria ad attivista internazionale per i diritti delle donne, attraversa decenni di battaglie culturali e sociali, raccontati da Lapierre con una prosa che fonde rigore storico e intensità narrativa.
Il libro non si limita a una biografia tradizionale: si trasforma in un vero e proprio romanzo d’avventura intellettuale, in cui le fughe, le rinascite e gli inganni di Miles diventano metafora di un’epoca di profonde trasformazioni. La sua personalità sfuggente, talvolta contraddittoria, viene ritratta senza edulcorazioni, mettendo in luce tanto il suo coraggio quanto le sue zone d’ombra, le sue ambizioni smisurate e il prezzo della solitudine che spesso accompagna chi osa vivere fuori dagli schemi.
Alexandra Lapierre riesce a costruire un ritratto vivo e vibrante anche grazie a una scrupolosa ricerca d’archivio: lettere, documenti inediti, testimonianze vengono sapientemente intrecciati nella trama, senza mai appesantire la lettura. Ne risulta un racconto che celebra la complessità di una donna che ha fatto della sua vita un atto politico, anticipando temi oggi quanto mai attuali: l’indipendenza economica femminile, la libertà sessuale, il diritto all’autodeterminazione.
L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin non è solo la storia di una pioniera: è anche un potente manifesto di resilienza e di affermazione identitaria. È il racconto di come la scrittura possa diventare un’arma per sovvertire le ingiustizie, di come la determinazione personale possa sfidare anche i vincoli più oppressivi.
Uuna biografia romanzata di straordinaria qualità, che illumina una figura troppo spesso dimenticata e restituisce tutta la forza di un’esistenza vissuta controcorrente. Un libro appassionante, colto e ispirante.
Death Valley di Melissa Broder
Con Death Valley, Melissa Broder ci porta dentro un romanzo ipnotico, metafisico e dolorosamente intimo, in cui l’esplorazione del deserto californiano diventa una potente allegoria del dolore, della perdita e del rapporto fragile e profondo con la propria identità.
La protagonista, una donna senza nome, bloccata nella spirale angosciosa dell’assistere due figure fondamentali della sua vita: il padre gravemente malato e il marito anch’esso sofferente, sceglie di rifugiarsi nel deserto per affrontare il senso di impotenza che la opprime. Il deserto, spazio estremo e senza appigli, si trasforma in un paesaggio mentale: una distesa infinita di metafore, un luogo dove i confini tra reale e surreale si assottigliano e ogni cactus, ogni camminata sotto il sole rovente, ogni allucinazione diventano strumenti per interrogare il proprio dolore.
Melissa Broder, già apprezzata per Amatissima, conferma qui la sua voce unica: ironica, crudele e capace di scavare con una leggerezza solo apparente nei temi più oscuri dell’esistenza. Death Valley non è solo una narrazione di lutto o di depressione, ma un romanzo che mette a nudo l’ansia contemporanea di non essere abbastanza resilienti, abbastanza presenti, abbastanza forti per reggere il peso delle tragedie quotidiane.
Broder mantiene una scrittura pulita, fatta di frasi brevi, spesso spiazzanti, che oscillano tra l’assurdo e una commovente autenticità emotiva. Attraverso il filtro dell’assurdo, Death Valley riesce a raccontare il reale con una forza che pochi romanzi contemporanei raggiungono.
Uno dei meriti maggiori del libro è la capacità di parlare della malattia e del lutto senza mai cedere al patetico: la protagonista non è una figura eroica, né una martire. È una donna comune, in fuga da un dolore più grande di lei, che cerca goffamente una forma di redenzione o anche solo di sopravvivenza spirituale.
Death Valley si rivela così un romanzo sulla perdita, ma anche sulla possibilità, incerta, irrazionale, forse disperata, di trasformarla. Sullo sfondo di un deserto reale e simbolico, Melissa Broder firma una delle sue opere più mature e struggenti, capace di toccare corde profonde senza mai perdere il suo caratteristico humor nero.
Un viaggio vertiginoso nell’intimità del dolore e della sopravvivenza emotiva, raccontato con uno stile originale, essenziale e tagliente. Una lettura destabilizzante, necessaria.