Libri profondi per ritrovare l’io

28 Dicembre 2025

Per ritrovare se stessi c'è bisogno di libri speciali, un'ispirazione profonda attraverso delle parole oculate. Magari dopo una delusione d'amore...

Libri profondi per ritrovare l'io

Leggere è anche un modo per tracciare i confini della realtà, non soltanto viaggiare con la fantasia; oggi abbiamo pensato di cercare per voi delle storie capaci di parlare d’identità individuale, libri che poggiano su basi instabili, il cui terreno deve essere ristabilito.

Che si tratti di un trauma sentimentale, di un ritorno alle origini o del recupero di una memoria genealogica, il filo conduttore è la necessità di dare un nome al vuoto per poterne uscire.

Il percorso si apre con un’analisi quasi clinica della fine, una sorta di autopsia emotiva ambientata tra le stazioni e gli schermi retro illuminati della contemporaneità, dove il sesso e i social diventano unità di misura di uno smarrimento collettivo. Prosegue poi con una narrazione più rarefatta, quasi atmosferica, che sceglie il ritmo lento della provincia coreana per esplorare la letteratura come unico rifugio politico e privato contro il fallimento. Infine, la traiettoria si chiude con una galleria di ritratti familiari che scardinano l’idea di “normalità”, celebrando una pedagogia dell’eccesso e dell’irregolarità.

Siamo di fronte a tre stili diversi — dal memoir tagliente al realismo magico quotidiano — accomunati da una scrittura che non cerca la consolazione, ma la verità del dettaglio.

Libri per chi cerca uno strumento per restare

“Appunti su un cuore spezzato” di Annie Lord

In “Appunti su un cuore spezzato”, Annie Lord parte da un’immagine precisa e quasi cinematografica: una rottura pubblica e improvvisa davanti alla stazione di King’s Cross.

Dopo cinque anni insieme, il ragazzo con cui pensava di attraversare il resto della vita la lascia lì, e da quel momento l’amore non è più una storia da raccontare in avanti, ma un album di fotografie da osservare sfogliando a ritroso.

Il libro si muove dunque su due binari che si inseguono. Da una parte c’è l’indagine: Annie ripercorre i dettagli della relazione come si ripassano le prove di una scena del crimine emotiva. Il primo incontro, i gesti minimi della quotidianità, quel lessico segreto costruito negli anni. Ogni parola, ogni silenzio, ogni pausa viene rimessa sotto la lente, nella speranza quasi superstiziosa di trovare “il punto” esatto in cui qualcosa ha iniziato a incrinarsi.

Dall’altra parte c’è il dopo: settimane e mesi in cui la vita si restringe a obiettivi elementari (tirarsi fuori dal letto), a tentativi storti di rimettersi in circolo, a esperienze di sesso occasionale che spesso lasciano più macerie che sollievo. Ci sono messaggi scritti e mai inviati, e c’è lo scorrere compulsivo dei social, fino allo stalking della nuova ragazza di lui: un modo per misurare il vuoto, per dargli una forma.

Ne esce un percorso disordinato ma necessario per Annie, perché il vero nodo non è solo “perché è finita”, ma chi è la protagonista fuori da quel “noi” in cui aveva finito per identificarsi totalmente.

Un memoir intimo e tagliente, che si legge come un romanzo, e che prova a tenere insieme il meglio e il peggio dell’amore: euforia e dolore, bellezza e caos.

“La piccola libreria ai piedi della montagna” di Lee Do-woo

È un inverno che sembra fatto apposta per mettere alla prova la fiducia: Bukheyeon, un villaggio ai piedi di una montagna nel cuore della Corea del Sud, appare a Haewon come l’unico luogo possibile dopo Seul e dopo troppe delusioni che le hanno sbriciolato le certezze. Torna lì dove è cresciuta e trova ad aspettarla la zia Myeongyeo e la pensione di famiglia, Casa di Noce: un rifugio che però non ha più il calore di una volta. L’edificio è stanco, la zia è invecchiata e irrequieta, e persino la scrittura – un tempo promessa e sostegno – sembra essersi spenta.

La svolta arriva in punta di piedi, con una porta che si apre su un’altra idea di casa: la piccola libreria Goodnight di Eunseop, un ex compagno di scuola. Tra tazze di tè, silenzi condivisi e scaffali che fanno da pareti emotive, Haewon trova un posto dove la solitudine non viene spettacolarizzata, ma ascoltata. La libreria diventa un microcosmo: il gruppo di lettura che ne anima le sere (l’adolescente ribelle Hyeonji, il piccolo Seungho appassionato di fumetti, Jangwoo che prova a rimettere in moto il paese, Sujeong divoratrice di storie romantiche) le offre una nuova, improbabile famiglia.

Eunseop intanto osserva Haewon e la racconta nel suo diario, pubblicato sul blog della libreria: parole come luce minima per lettori insonni. Sullo sfondo delle montagne innevate nasce un amore intenso, ma non “facile”: il destino di Casa di Noce, un mistero familiare e i fantasmi personali di Eunseop chiedono ai due protagonisti di ricomporre il passato, se vogliono davvero immaginare un futuro (per loro, e per quella libreria che prova ad aprire i cuori senza forzarli).

“Mie magnifiche maestre” di Fabio Genovesi

In “Mie magnifiche maestreFabio Genovesi si ritrova alla soglia dei cinquant’anni come davanti a una porta che non aveva mai guardato davvero: quella delle donne della sua famiglia. Non eroine da manuale, non “grandi” per curriculum, ma grandi per combustione interna.

Isolina che salva il matrimonio piantando una falce nel fianco del marito; Benedetta, la più bella della spiaggia, che invece di diventare “Miss Cuore di Panna” sceglie la strada delle droghe pesanti; Gilda che trasforma i funerali in compleanni; Azzurra che a scuola aveva “il Sostegno”, ma era lei a non sopportare la banalità degli altri; Irene, amica dei bambini e dei mostri giganti; Violetta, troppo impetuosa e troppo forte, capace di fare di ogni abbraccio una frattura.

Sono zie e nonne, un clan affettivo tenuto insieme non dal sangue ma dalla “colla calda” dell’amore. E ora tornano, una a una, nei sogni, perché sono morte: eppure la loro lezione è proprio questa (che i sogni non chiudono la realtà, come la morte non chiude la vita).

Genovesi le rivede nella sua Versilia, mentre si chiede perché arrivino tutte adesso, a una settimana da un compleanno che lo stranisce: per salutare soltanto, o per consegnargli qualcosa che manca?

Ne esce un libro che tratta la memoria come una corrente elettrica: brucia, scintilla, e continua a passare attraverso chi resta.

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