La creatività è una fiamma che non si spegne mai, l’essere umano non ne può fare a meno e la celebra in tutta la sua diversità. La creatività, intesa non solo come capacità estetica, ma come gesto di rottura, ricerca e visione. È il filo invisibile che unisce una sarta etrusca a una performer giapponese, un costumista medievale a una stilista contemporanea, una teorica americana a una giovane designer.
La Giornata della creatività
Il 21 aprile di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale della Creatività e dell’Innovazione: Questa giornata, riconosciuta dalle Nazioni Unite, ha lo scopo di promuovere la creatività e l’innovazione come fattori cruciali per lo sviluppo umano e il progresso sociale.
Oggi, più che mai, parlare di creatività è un atto necessario, politico, identitario.
10 libri per riscoprire il genio creativo in tutte le sue forme
Non esiste un’unica forma d’arte né una sola via per raccontare il mondo. Questi dieci libri ci ricordano che la creatività è un gesto antico e attuale, colto e pop, silenzioso e rivoluzionario. È nel modo in cui scegliamo un tessuto, un taglio, una parola, una posa. Ed è forse proprio oggi, in un tempo che ci chiede di essere rapidi e seriali, che dobbiamo tornare a coltivarla con lentezza, profondità e desiderio.
Questi dieci libri lo fanno in modi completamente diversi, ma con la stessa urgenza: mostrarci che l’arte è ovunque. Basta guardare meglio.
Vestire all’etrusca di Larissa Bonfante
C’è un momento, in ogni civiltà, in cui il vestito smette di essere solo una necessità e diventa racconto. Racconto di un’identità, di un’appartenenza, di un potere. Per gli Etruschi, questo momento si compie nel VI secolo a.C., quando nella vita quotidiana e nel linguaggio delle immagini prende piede un nuovo capo d’abbigliamento: il mantello. Con la sua forma arrotondata, le sue mille declinazioni e i modi in cui viene indossato, questo elemento inaugura un’epoca di grande fermento stilistico, un vero e proprio sistema della moda ante litteram.
Nel suo saggio Vestire all’etrusca, Larissa Bonfante, storica dell’arte e archeologa tra le massime esperte mondiali della civiltà etrusca, guida il lettore in un viaggio affascinante attraverso abiti, ornamenti e calzature, mostrando come il costume possa diventare chiave di lettura per comprendere l’immaginario di un intero popolo. L’abbigliamento, qui, non è solo fatto di stoffe e fibule: è gesto, posa, ritualità. È simbolo di ruolo sociale e strumento di rappresentazione pubblica.
Attraverso un ricco apparato di illustrazioni, fotografie e disegni, tra cui oggetti preziosi come specchi incisi, statue bronzee e pitture parietali, Bonfante ricostruisce il modo in cui gli Etruschi concepivano il corpo, il genere e l’identità. Il suo approccio è multidisciplinare: l’analisi dell’iconografia dialoga con la linguistica, con l’archeologia funeraria, con gli studi sul mito e la religione. Ne emerge una cultura raffinata e sorprendentemente moderna, in cui la moda è dinamica, interculturale e in continua trasformazione.
Sorprende scoprire, ad esempio, la varietà delle calzature etrusche: dalle scarpe con la punta rivolta all’insù, simili a modelli orientali, ai sandali decorati destinati alle élite. O l’uso degli accessori femminili, come: collane, diademi, orecchini, non solo come ornamento, ma come parte integrante della comunicazione sociale e sacra. Ogni dettaglio racconta una storia. Ogni variazione suggerisce uno scambio culturale, una tensione tra mondo greco, fenicio e italico, tra innovazione e radicamento nel territorio.
Bonfante riesce nell’impresa, tutt’altro che semplice, di scrivere un saggio scientificamente accurato eppure fluido, accessibile, capace di catturare anche chi si avvicina per la prima volta al tema. È un libro che si può leggere come una passeggiata in un museo a cielo aperto: ogni pagina è una vetrina in cui il passato si mostra attraverso stoffe e silhouettes, senza mai perdere l’equilibrio tra analisi e fascino.
Vestire all’etrusca non è solo una riflessione sulla moda antica, ma un atto di valorizzazione della memoria. In un’epoca in cui si parla sempre più di sostenibilità, di riuso e di significati culturali legati al vestiario, questo libro ricorda che anche nella Storia il tessuto è stato uno strumento di resistenza, rappresentazione e dialogo.
I tessuti della moda di Gail Baugh
C’è un momento, per chi lavora o studia moda, in cui la creatività deve necessariamente incontrare la materia. I tessuti della moda, firmato da Gail Baugh e pubblicato da Ikon in edizione aggiornata, è molto più di un manuale: è un compendio visivo e scientifico che insegna a toccare con mano la complessità dei materiali, con un occhio sempre rivolto alla responsabilità ambientale e sociale.
Pensato per stilisti, designer, studenti e professionisti del settore, il volume si presenta come una vera e propria enciclopedia tessile: ricchissimo di immagini, campioni, schemi e schede tecniche, accompagna il lettore nella conoscenza approfondita delle fibre naturali, sintetiche, rigenerate e miste, spiegando come vengono prodotte, trattate e trasformate in tessuti. Ma il vero valore aggiunto di questo testo sta nella sua capacità di tenere insieme tecnica, creatività e sostenibilità.
Gail Baugh, esperta di materiali tessili e docente alla San Francisco State University, guida il lettore nel cuore pulsante del sistema moda, mostrando come la scelta di un tessuto possa determinare non solo l’estetica, ma anche l’impatto ambientale e sociale di un’intera collezione. Dai cotoni biologici ai polimeri riciclati, dal lino al tencel, dalle lane locali al denim rigenerato: ogni materiale è raccontato nella sua evoluzione, nei suoi usi contemporanei e nelle prospettive future.
Il volume non si limita a descrivere la materia: analizza anche il contesto in cui viene prodotta, gli attori coinvolti nella filiera e le implicazioni etiche delle scelte progettuali. Una sezione importante è dedicata proprio al design responsabile, con esempi pratici su come ridurre sprechi, migliorare la tracciabilità, selezionare fornitori etici e anticipare normative ambientali sempre più stringenti. Il risultato è un libro che informa, ispira e responsabilizza.
Tra le sezioni più interessanti ci sono quelle dedicate all’innovazione tessile, come i nuovi filati a base di alghe, funghi o fibre derivate da scarti industriali e agricoli. In un’epoca in cui l’industria della moda è tra le più inquinanti al mondo, questo libro mostra come si possa, e si debba, fare diversamente. I tessuti della moda diventa così non solo uno strumento di formazione, ma anche un manifesto per il cambiamento.
L’estetica editoriale del volume è pulita, didattica ma non fredda, e la presenza di centinaia di immagini, campioni fotografici, look da passerella, schede comparative, lo rende utile anche per la progettazione e l’archivio. Il suo formato generoso e le sezioni strutturate lo rendono ideale anche come testo di riferimento per corsi universitari e accademie di moda.
In definitiva, I tessuti della moda è un manuale completo che coniuga rigore tecnico e visione etica, pensato per chi non vuole solo creare abiti belli, ma anche giusti. È un libro da avere sempre accanto quando si progetta, si taglia, si cuce. E da rileggere ogni volta che ci si interroga su cosa significhi oggi essere stilisti e creativi nel mondo della moda.
Sapevi che…
Piñatex = Tessuto derivato dalle foglie di ananas, simile alla pelle, usato da brand come Hugo Boss e Chanel per scarpe e borse.
Mylo = Materiale simile al cuoio prodotto da funghi miceliali, flessibile e biodegradabile.
Orange Fiber = Innovazione italiana che crea tessuti di lusso dagli scarti degli agrumi, già utilizzato da Salvatore Ferragamo.
La creatività nel fashion design professionale
Dietro ogni abito che sfila su una passerella c’è un’idea. Ma l’idea, da sola, non basta. Deve essere visualizzata, sviluppata, tradotta in forme e volumi, studiata nei dettagli e poi raccontata con un segno. È qui che entra in gioco il lavoro silenzioso e potentissimo del fashion designer. La creatività nel fashion design professionale di Manuela Brambatti è un viaggio immersivo nel cuore pulsante della progettazione visiva, un manuale tecnico e ispirazionale pensato per chi desidera fare del disegno di moda una professione.
Manuela Brambatti, illustratrice e docente di lungo corso, nota anche per la sua collaborazione con Versace, mette a disposizione il suo sapere con un approccio solido e pratico: il volume non si limita a insegnare come si disegna un figurino, ma mostra cosa significa davvero visualizzare un capo, strutturare un mood, costruire una collezione coerente. È un libro che spinge oltre l’atto creativo, insegnando un metodo.
Il testo è ricco di tavole illustrate, studi morfologici, esempi di figurini, esercizi di stile e sperimentazioni grafiche. Ogni pagina si rivolge non solo allo studente, ma anche al professionista che vuole riscoprire la forza del tratto come mezzo espressivo e progettuale. Non manca un’interessante riflessione sull’evoluzione dell’immagine nella moda: dal disegno a mano al digitale, dalla cartella colori al moodboard, dalla silhouette agli accessori, il libro affronta l’intero processo creativo che porta un’idea dalla mente al mercato.
Particolarmente efficace è il focus sul corpo: ogni collezione nasce, infatti, da una profonda comprensione dell’anatomia, delle proporzioni, della postura e del gesto. Brambatti mostra come costruire una figura credibile e dinamica, che non sia solo bella ma anche funzionale allo storytelling visivo del brand.
Il manuale è pensato anche come strumento di lavoro: utile per chi studia in accademia, ma anche per stylist, costumisti, illustratori e designer in cerca di uno sguardo tecnico ma appassionato. La grafica è pulita, moderna, e allo stesso tempo ricca di spunti vintage e suggestioni artistiche che rendono ogni pagina visivamente stimolante.
Ma ciò che distingue davvero La creatività nel fashion design professionale da altri manuali è il suo messaggio profondo: disegnare è un atto di connessione tra l’immaginazione e la realtà, tra il pensiero e il tessuto. E la creatività, per essere davvero professionale, deve farsi metodo, disciplina, cultura visiva.
Pochi sanno che Manuela Brambatti ha lavorato per anni come illustratrice per le collezioni Atelier Versace. I suoi figurini, eleganti e iperdettagliati, erano usati direttamente in presentazione con le celebrità e nei backstage delle grandi sfilate. La sua estetica, precisa ma sensuale, ha definito uno stile visivo oggi imitato da molte scuole di moda internazionali.
Il linguaggio del kimono di Keiko Nitanai
Nel mondo del kimono, nulla è lasciato al caso. Un fiore, un uccello, la sfumatura di un colore o l’inclinazione di una linea possono rivelare l’identità, la stagione, l’umore e persino le intenzioni di chi lo indossa. Il linguaggio del kimono di Keiko Nitanai, edito da NuiNui, è molto più di un libro illustrato: è un atlante raffinato e poetico che ci accompagna nella decifrazione di uno dei sistemi vestimentari più sofisticati e simbolici della storia.
Attraverso splendide fotografie e spiegazioni dettagliate, Nitanai, esperta di tessuti, cultura e arti giapponesi, ci guida alla scoperta di un universo visivo dove il kimono diventa narrazione, messaggio e rituale. Ogni decorazione porta con sé un significato preciso: la peonia è bellezza e nobiltà, il crisantemo è legato alla longevità, il glicine alla grazia. Ma c’è di più: la posizione del disegno, l’alternanza delle stagioni, la disposizione delle pieghe, tutto racconta qualcosa. Un linguaggio silenzioso ma eloquentissimo.
Il volume si apre con una panoramica storica che inquadra l’evoluzione del kimono dalle corti imperiali del periodo Heian ai giorni nostri, con una particolare attenzione alle variazioni stilistiche tra epoche e classi sociali. Nitanai mette in luce come il kimono sia sempre stato specchio della società: abito, status symbol, talismano, manifesto. Nei secoli ha assunto connotati ora austeri ora opulenti, religiosi o teatrali, politici o seduttivi, ma sempre ancorati a una grammatica estetica precisa.
La struttura del libro è pensata come una raccolta tematica di motivi e simboli. Ogni sezione è dedicata a un elemento: flora, fauna, stagioni, paesaggi, oggetti rituali. Ogni pagina è accompagnata da immagini dettagliate e didascalie che spiegano il contesto culturale, l’uso cerimoniale e le variazioni regionali. In questo modo, Il linguaggio del kimono diventa uno strumento prezioso non solo per gli appassionati di cultura giapponese, ma anche per chi studia design tessile, storia del costume o semiotica dell’abbigliamento.
La bellezza del libro sta anche nella sua capacità di parlare all’immaginazione. Osservare le decorazioni dei kimono equivale a leggere un poema visivo: ogni linea è pensata per dialogare con il corpo, ogni motivo è scelto per armonizzarsi con la natura, ogni abbinamento cromatico è calibrato come un haiku. In un’epoca dominata dalla velocità e dalla standardizzazione, questo libro ci riporta alla lentezza del gesto e alla precisione dell’artigianato.
Non è un caso che il kimono stia vivendo oggi una rinascita, soprattutto in chiave creativa e concettuale: artisti, designer e performer ne riscoprono la struttura, lo stile e la carica evocativa. Il testo di Keiko Nitanai, con la sua eleganza grafica e la cura editoriale impeccabile, si inserisce in questa riscoperta con un taglio divulgativo ma autorevole, poetico ma informativo.
In epoca Edo, le cortigiane dei quartieri del piacere indossavano kimono elaboratissimi con messaggi nascosti nei ricami. Alcuni motivi floreali, come l’iris o il loto, alludevano discretamente all’erotismo o ai legami proibiti. Ma anche le donne della borghesia potevano comunicare segretamente attraverso il kimono: un motivo stagionale fuori tempo indicava, ad esempio, la nostalgia per un amore lontano.
Sulle teste nel Medioevo di Virtus Zallot
Cosa ci raccontano i capelli del Medioevo? A prima vista, sembrerebbero dettagli estetici, curiosità marginali nei grandi affreschi della storia. Ma in Sulle teste nel Medioevo, Virtus Zallot ci dimostra esattamente il contrario: le acconciature, i colori, i tagli, le barbe e le tonsure raccontano la società medievale con una forza visiva e simbolica dirompente. E lo fanno con grazia, ironia e un’incredibile erudizione.
Il libro è un saggio iconografico raffinato ma accessibile, illustrato da una ricca selezione di opere d’arte, miniature, sculture, affreschi e manoscritti che diventano strumenti per leggere i codici culturali di un’epoca. Il modo in cui si portavano i capelli nel Medioevo parlava di potere e di fede, di peccato e di purezza, di genere e di classe, di violenza e di ribellione. I capelli non erano solo ornamento, ma dispositivo simbolico, rituale, a tratti quasi magico.
Zallot, docente di iconografia e iconologia, ci guida con mano sicura dentro i molteplici significati attribuiti alla capigliatura medievale. Ci mostra la rigidità del canone monastico e la sua negazione nei ritratti delle sante penitenti, ci racconta come la chioma lunga fosse associata alla seduzione e alla trasgressione, basti pensare a Maria Maddalena, mentre il cranio rasato era simbolo di rinuncia, autorità o umiliazione.
Uno degli aspetti più affascinanti del volume è proprio l’approccio multidisciplinare: Zallot intreccia storia dell’arte, antropologia, teologia, diritto canonico e cultura materiale, costruendo un racconto stratificato ma fluido. Le immagini diventano così vere e proprie “testimonianze” da interrogare, capaci di restituire un ritratto vivo e dinamico del Medioevo, lontano dai cliché polverosi e dai costumi da film fantasy.
Ogni capitolo si concentra su una diversa declinazione: la testa dei santi, le teste dei re, i capelli delle donne amate e delle peccatrici, le teste mozzate, quelle incoronate, tonsurate, decorate o velate. Il risultato è un mosaico sorprendente, dove il dettaglio visivo diventa chiave di accesso per interrogare la visione del corpo, dell’identità e del potere.
E proprio nel dettaglio sta la forza di questo libro: Sulle teste nel Medioevo è un invito a rallentare lo sguardo, ad allenare l’occhio alla lettura iconografica, a comprendere quanto ogni acconciatura fosse parte di un discorso sociale e morale. Il Medioevo, ci ricorda Zallot, non è un’età buia, ma un tempo densissimo di significati, un’epoca in cui ogni ciocca aveva un senso e ogni testa poteva essere un messaggio.
Nel Medioevo, le teste mozzate erano spesso esibite nei dipinti e negli affreschi non solo come testimonianza di martirio o giustizia, ma anche come simbolo della lotta tra corpo e spirito. San Giovanni Battista, Golia, Santa Caterina, sono solo alcuni dei “protagonisti” di questo repertorio iconografico. Le teste esibite su piatti d’argento o conficcate su lance diventano vere e proprie immagini di potere o sovversione, e il loro aspetto, calvo, barbuto, biondo, era tutt’altro che casuale.
Nel panorama della storia dell’arte, le donne sono spesso rimaste confinate ai margini, muse silenziose o semplici comparse. Ma Ciò che una donna può fare capovolge la prospettiva con forza e grazia, restituendo voce e volto a quelle artiste che, con il pennello in mano e il mondo contro, hanno lasciato un segno profondo, eppure invisibile, nella cultura italiana.
Chiara Montani, scrittrice e storica dell’arte, costruisce un racconto avvincente e documentato che unisce precisione accademica e passione divulgativa. Non si limita a elencare nomi e date: ogni capitolo è una narrazione, una restituzione di dignità e potenza creativa. Dalla luminosa Artemisia Gentileschi alla raffinata Rosalba Carriera, passando per figure meno conosciute ma ugualmente straordinarie come Lavinia Fontana o Fede Galizia, il libro traccia una vera e propria mappa alternativa dell’arte italiana.
Montani sottolinea come queste donne abbiano affrontato pregiudizi, vincoli familiari, interdizioni accademiche, riuscendo comunque a emergere grazie al talento, alla determinazione e a un’autentica passione per il fare arte. Il testo è arricchito da immagini, citazioni e riferimenti alle opere, che ne fanno anche un prezioso strumento per chi vuole riscoprire questi nomi nei musei o negli archivi.
Il titolo stesso, Ciò che una donna può fare, echeggia come una dichiarazione d’intenti: fare arte è stato, per secoli, un gesto di resistenza, di affermazione e di esistenza. Oggi, grazie a libri come questo, la luce si riaccende su quei capolavori e sulle vite che li hanno resi possibili.
Un testo essenziale per chi ama l’arte, per chi vuole colmare le lacune della narrazione ufficiale, e per chi cerca ispirazione nei gesti coraggiosi di chi ha osato creare, nonostante tutto.
Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto di Francesca Alfano Miglietti e Daniele Miglietti
In un tempo in cui tutto sembra dover essere spiegato, incasellato, archiviato, questo libro fa esattamente l’opposto: esplode. Lo fa come l’arte di Yoko Ono, artista, performer, musa, attivista, donna e concetto stesso di rivoluzione in forma umana. Brucia questo libro dopo averlo letto è insieme un’istruzione e un atto poetico, una raccolta di pensieri, frammenti, visioni, e inviti all’azione che incarnano pienamente lo spirito della Fluxus artist e la sua capacità di reinventare il senso dell’arte, della parola, della relazione con il mondo.
Francesca Alfano Miglietti e Daniele Miglietti non costruiscono una biografia tradizionale, ma una narrazione composta da suggestioni, versi e aforismi che si intrecciano come un collage concettuale. Le frasi diventano comandi d’arte, micro-manifesti di ribellione e meditazione: “Usa il tuo sangue per dipingere”, “Immagina le nuvole che gocciolano, scava una buca nel tuo giardino per metterle dentro”, “Un sogno che fai da solo è solo un sogno. Un sogno che fai insieme ad altri è realtà”. Ogni pagina è un’esplosione di visione, un invito a fare arte come gesto necessario, personale e collettivo.
La forza di questo volume sta nel restituire, senza mai incasellarla, l’anima inquieta e radicale di Yoko Ono, il suo essere sempre altrove, sempre oltre, capace di parlare al cuore come alla mente. Non c’è cronologia né rigore accademico: c’è invece la verità dell’ispirazione, la possibilità che la lettura diventi azione e la parola si faccia materia.
È un libro da portare con sé come un talismano, da sottolineare, da rileggere a caso quando ci si sente persi. Non a caso, il titolo è un paradosso: brucialo dopo averlo letto, sì, ma forse è proprio il libro che ti brucia dentro.
L’arte contemporanea, il diavolo e la moda
Cosa unisce un abito da passerella a un’opera concettuale, una sfilata a una performance artistica, un designer a un artista maledetto? Fabriano Fabbri, con piglio tagliente e cultura vastissima, ci porta nel cuore di un’alleanza tanto feconda quanto inquietante: quella tra arte contemporanea e moda. La voce del diavolo è un saggio provocatorio, brillante e colto, che non si limita a raccontare la storia di questa relazione, ma ne esplora le tensioni più oscure e affascinanti.
Il titolo è già una dichiarazione d’intenti: l’autore non ha paura di evocare ciò che di seducente, ambiguo e destabilizzante si cela dietro l’estetica, quando questa smette di essere solo forma e diventa linguaggio, potere, strategia. Da Elsa Schiaparelli a Alexander McQueen, da Yves Klein alle campagne più dissacranti del contemporaneo, Fabbri compone un mosaico di riferimenti, episodi e riflessioni che illuminano i cortocircuiti tra creatività, marketing, provocazione e identità.
Questo non è solo un libro per appassionati di moda o arte: è una lettura necessaria per chiunque voglia capire perché oggi, più che mai, la superficie è profondità, e l’abito diventa un manifesto. La moda qui non è frivolezza, ma arma, corpo, significato. E l’arte, dal canto suo, non resta in disparte: entra nella passerella, nei tessuti, nei loghi, contaminandoli e facendosi contaminare.
Con La voce del diavolo, Fabbri firma un testo denso ma accessibile, che sfida il lettore a ripensare il senso del bello e dell’effimero, del lusso e del concettuale. Perché, forse, la vera rivoluzione, e la vera dannazione, è proprio lì, dove meno ce l’aspettiamo: in ciò che indossiamo.
La storia di Venere e Tannhäuser di Aubrey Beardsley
Sensuale, ironico, scandaloso. La storia di Venere e Tannhäuser non è un semplice racconto illustrato, ma un vero e proprio manifesto dell’estetismo decadente inglese, firmato da una delle figure più affascinanti e trasgressive dell’Art Nouveau: Aubrey Beardsley. Nato come pastiche erotico ispirato al mito germanico e all’opera wagneriana, il libro fu rifiutato dall’editore e considerato troppo audace perfino dai suoi contemporanei più arditi. Ed è proprio in questo rifiuto che risiede la sua potenza.
Scritto con uno stile raffinato e parodico, il testo racconta il viaggio dell’eroe Tannhäuser nel palazzo voluttuoso di Venere, tra sacerdotesse nude, rituali seducenti e arte intesa come piacere assoluto. L’intento beffardo di Beardsley era smascherare l’ipocrisia vittoriana, restituendo al desiderio un’estetica sontuosa e insieme grottesca. Ma è anche un’opera che riflette sulla funzione stessa dell’arte: è possibile creare bellezza senza scivolare nell’eccesso? O è proprio l’eccesso, il barocco del desiderio, il vero motore creativo?
Le illustrazioni, inconfondibili per i loro tratti sinuosi, i contrasti netti e i dettagli decorativi, non sono solo abbellimenti, ma parte integrante della narrazione, un’orgia visiva in cui ogni linea è un richiamo all’ambiguità del corpo e dell’anima.
Rileggere oggi La storia di Venere e Tannhäuser significa immergersi in un mondo che ha scelto di disobbedire alle regole del pudore e della forma, per far trionfare l’eros come estetica e come linguaggio. Un capolavoro di raffinata provocazione, ancora potentissimo, ancora troppo poco letto.
Un’icona intellettuale, in technicolor. La copertina pop e ipnotica è solo l’inizio: questo volume della collana Electa su Susan Sontag è un viaggio concentrato, visivo e concettuale, dentro il pensiero più radicale, brillante e tagliente della cultura americana del secondo Novecento. Non una biografia canonica, ma un ritratto a più voci che gioca con la forma, l’estetica e le parole, restituendo l’immagine di una donna che ha fatto della riflessione critica la sua forma d’arte.
Pensatrice queer, intellettuale militante, scrittrice, fotografa, critica d’arte e di costume, Sontag ha attraversato il secolo con lo sguardo sempre obliquo, mai accomodante. In questo libro la vediamo riflessa in frammenti: le sue parole, le sue fotografie, le sue posture pubbliche e private. Si racconta il suo amore per la cultura europea, la sua ossessione per il cinema, l’analisi lucidissima della pornografia, della malattia, del dolore, del kitsch, della guerra. E naturalmente del camp.
Ma è anche un libro che si legge come un atto di stile. La grafica è d’impatto, i colori esplodono e rendono Sontag un’icona visiva tanto quanto lo è stata come figura culturale. Non solo per chi la conosce e la ama già, ma anche per chi vuole scoprire una mente che ha trasformato ogni gesto in critica, ogni pensiero in visione.
“Susan Sontag non si legge: si attraversa. E poi si rinasce, più acuti, più ribelli, più vivi.”