Dal libro al film… Molto spesso si conosce prima il film rispetto al libro che lo ha ispirato. In questo articolo andiamo a scoprire cinque libri che hanno dato vita ad alcuni dei capolavori del cinema più celebri e amati dagli spettatori.
Cinque libri da leggere che hanno ispirato cinque film importanti
“Colazione da Tiffany” di Truman Capote
Nel 1961 esce un film destinato a entrare di diritto fra i capolavori del cinema di tutti i tempi. È “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards, con protagonisti Audrey Hepburn e George Peppard. La pellicola è tratta dall’omonimo romanzo di Truman Capote.
Buona fortuna: e credi a me, carissimo Doc, è meglio guardare il cielo che viverci. Uno spazio così vuoto; così vago. Solo un posto dove va a finire il tuono e le cose scompaiono.
Quando “Colazione da Tiffany” venne pubblicato per la prima volta, nel 1958, il «Time» definì la sua eroina Holly Golightly «la gattina più eccitante che la macchina per scrivere di Truman Capote abbia mai creato. È un incrocio tra una Lolita un po’ cresciuta e una giovanissima Zia Mame… sola, ingenua e un po’ impaurita».
Da quel momento la sua fama non ha fatto che aumentare: di tutti i suoi personaggi, disse Capote più tardi, lei era la preferita, ed è facile capire perché. Holly è una ragazza del Sud trapiantata a New York, attrice cinematografica mancata, generosa con tutti, consolatrice di carcerati, eterna bambina chiassosa e scanzonata.
Audrey Hepburn, con una leggendaria interpretazione cinematografica, le ha dato un volto e una voce indimenticabili, contribuendo a farne un’icona di stile senza tempo che con la sua leggerezza, la sua intelligenza e la sua ingenuità disarmante non ha mai smesso di far innamorare i lettori.
“Il dottor Stranamore” di Peter George
Solo qualche anno più tardi, nel 1964, arriva nelle sale cinematografiche un’altra grande opera tratta da un libro. È “Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”, la black comedy di Stanley Kubrick ispirata all’omonimo libro di Peter George.
Questo libro, reso famoso dal film di Stanely Kubrick con Peter Sellers, continua da più di trent’anni a minacciare i lettori con l’arma pacifista della comicità e della satira.
La storia è quella dei tentativi per evitare la catastrofe nucleare, dopo che un generale americano, convinto che i comunisti avvelenino gli umori vitali, ha dato il via all’operazione R, escogitata per rendere più credibile il deterrente americano.
Perché “Il dottor Stranamore” è ancora d’attualità? Forse la chiave di questa anarchica immaginazione è nel sottotitolo, in quell’invito paradossale a non preoccuparsi e ad amare ordigni di distruzione e di morte, senza che l’uomo che ne scatena la forza distruttiva possa vederne immediatamente gli effetti.
“Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson
Esce al cinema nel 2009 il fortunato e plupremiato thriller di Niels Ardel Noplev ispirato alla saga poliziesca dello scrittore e critico svedese Stieg Larsson, che non è vissuto abbastanza per scoprire quanto la sua produzione sia stata apprezzata dal pubblico di tutto il mondo.
Sono passati molti anni da quando Harriet, nipote prediletta del potente industriale Henrik Vanger, è scomparsa senza lasciare traccia.
Da allora, ogni anno l’invio di un dono anonimo riapre la vicenda, un rito che si ripete puntuale e risveglia l’inquietudine di un enigma mai risolto.
Quando, ormai molto vecchio, Henrik Vanger decide di tentare per l’ultima volta di fare luce sul mistero, l’incarico di cercare la verità viene affidato a Mikael Blomkvist, noto e affascinante giornalista che guida la rivista Millennium, specializzata in reportage di denuncia sulla corruzione e gli affari loschi del mondo imprenditoriale.
Aiutato da Lisbeth Salander, giovanissima e abilissima hacker, Blomkvist indaga a fondo la storia della famiglia Vanger. E più scava, più le scoperte sono spaventose.
“Nomadland” di Jessica Bruder
E, parlando ancora di capolavori del cinema pluripremiati, passiamo al 2020 con “Nomadland”, il film drammatico di Chloé Zhao vincitore di Leone d’Oro, Golden Globe e ben tre Premi Oscar, tratto dall’omonima inchiesta giornalistica di Jessica Bruder.
Venticinquemila chilometri in tre anni, costellati di incontri indimenticabili: dai campi di barbabietola gelati del North Dakota ai campeggi della National Forest in California, passando per il CamperForce di Amazon in Kentucky, Jessica Bruder ha percorso in lungo e in largo gli Stati Uniti seguendo i nuovi nomadi: uomini e donne spesso in età da pensione che, nel Paese più ricco del mondo, sono stati costretti a scegliere tra l’affitto e la cena.
Abbandonata la vita sedentaria, privi di qualsiasi sicurezza, in viaggio sui mezzi più vari, vagano da un luogo all’altro, da un lavoro (precario) all’altro.
Mettendo a nudo il lato oscuro dell’economia americana, Bruder racconta le storie di questi nuovi ‘hoboes’ che ricordano i personaggi di London e di Steinbeck, le loro aspirazioni e le loro scelte di persone che stanno «sopravvivendo all’America».
“Un ragazzo” di Nick Hornby
Infine, una commedia drammatica amatissima dal pubblico di tutto il mondo, ispirata da un altrettanto celebre e amato bestseller mondiale. È “About a boy” (2002) dei fratelli Weitz, adattamento di “Un ragazzo” di Nick Hornby, che nel 1998 ha venduto oltre un milione di copie soltanto in Inghilterra.
Will, trentasei anni, londinese doc, vive di rendita e misura la propria realizzazione personale in base al punteggio ottenuto nei test delle riviste.
Donne? Quella ideale è separata, con figli e in rotta con gli uomini, cioè: ognuno a casa sua e nessun problema. Come Fiona, che Will ha conosciuto infiltrandosi in un gruppo di sostegno per genitori single: peccato che sia troppo hippy, troppo vegetariana, troppo fissata con Bob Marley e soprattutto madre di Marcus, dodicenne così fuori dal mondo da scambiare Kurt Cobain per un calciatore del Manchester United…
L’eterno adolescente in crisi di identità e il ragazzino quattrocchi bersagliato dagli scherzi dei coetanei sono i protagonisti di un percorso di formazione speculare, raccontato con un taglio teatrale e con il tipico umorismo dolceamaro che contraddistingue la scrittura di Nick Hornby.