Leggere nelle prime ore del giorno fa bene alla mente, lo dice la scienza: per questo vi consigliamo ben tre libri per passare le prossime colazioni tra le pagine!
3 libri sotto le 100 pagine
Scoprite quali leggendo le trame.
“La signorina Else” di Arthur Schnitzler
“La signorina Else”, pubblicato per la prima volta nel 1924 e attualmente edito Adelphi, è costruito come un’“aria” che resta nell’orecchio: un motivo nervoso, incalzante, che riprende fiato e subito riparte. Il cuore del testo è tutto nella testa di Else, adolescente “altera”, vivida, appassionata: una ragazza in vacanza sulle Alpi, immersa in un’atmosfera in apparenza leggera, mentre sopra di lei incombe una catastrofe familiare.
La miccia scatta con una lettera della madre. Il tono è mellifluo e patetico, e dentro quel tono prende forma l’invito più crudele: Else dovrebbe “vendersi” per salvare la famiglia. Il romanzo si concentra sulla reazione di Else a questa richiesta: prima come una specie di premonizione, quando la lettera non è ancora stata aperta; poi come sfida, una sfida mortale che le si pianta addosso e le riscrive i pensieri.
Schnitzler fonde monologo interiore, fantasticheria, azione e dialogo (perfino la musica, nella scena culminante) in un’intimità strettissima, dove ogni elemento sembra rovesciarsi nel suo contrario. Else, “non meno di Molly Bloom”, si offre dall’interno, nelle minime oscillazioni psichiche, con una velocità mentale rara; e insieme la vediamo da fuori, con la presenza di un’antica eroina.
“Il cadavere rapito” di Marcel Jouhandeau
A Port-Salut, paesino francese pettegolo, soffocante, feroce, tutti parlano del loro parroco: padre Divernèresse. Lo definiscono un originale, un selvaggio, un sapiente, un demonio. Lo chiamano persino Simon Mago, e in quel soprannome c’è già la chiave del libro: la comunità guarda l’uomo di fede come si guarda un enigma, convinta che dentro la sua vita “inverosimile” si nasconda un mistero, una pena segreta, una puntura ricevuta alla nascita che lo ha deviato per sempre.
Il prete suscita stupore e scandalo non con un singolo gesto, ma con un’intera postura: il suo desiderio di solitudine, il bisogno quasi fisico di luce e di silenzio. E soprattutto il modo in cui tratta la sua perpetua, alla quale non concede neppure di rifargli il letto: un dettaglio domestico che diventa, agli occhi degli altri, prova di un’ombra morale.
Col tempo il sospetto cresce e si avvita su se stesso: la gente arriva a immaginarlo macchiato di crimini “nefandi” — sacrilegio, stregoneria, forse persino incesto — e a legare questa oscurità alla figura della signorina Angèle, enigmatica, chiamata “Angelo tremendo”, l’unica a cui il parroco rivolge la parola.
Jouhandeau costruisce così un dramma metafisico che nasce dal chiacchiericcio e si alza fino all’astrazione: più delle Presenze, si avverte un’essenziale e unica Assenza. È un libro che usa il paese come coro e il sacerdote come voragine: ciò che conta non è la certezza dei fatti, ma la fame di spiegazioni con cui una comunità trasforma il diverso in leggenda e, subito dopo, in mostro.
“Marmi” di Iosif Brodskij
In “Marmi”, Iosif Brodskij mette in scena una prigione che sembra una macchina perfetta: una Torre vertiginosa e “sofisticata” in cui tutto è artificio tecnologico, dal vitto agli orari, dalle letture alla ginnastica. Persino l’aria, gli alberi, l’odore della foresta vengono riprodotti come un simulacro: il mondo naturale ridotto a effetto speciale, amministrato.
Dentro questo teatro chiuso vivono due prigionieri che incarnano un doppio strappo nel tempo. Publio è un romano “autentico”, orgoglioso della cultura classica e della propria raffinatezza; Tullio è il suo contrappunto: un “barbaro” con un passato da soldato, legato a gusti elementari e appetiti immediati. La loro convivenza diventa un doppio anacronismo: non tanto due uomini fuori posto, quanto due idee di civiltà che coabitano senza potersi fondere davvero.
La cella, intanto, è popolata da teste marmoree dei grandi poeti latini – Virgilio, Orazio, Properzio — presenze che non decorano: testimoniano. Con loro entrano nella stanza la Storia, l’Impero, la poesia, come se la materia del marmo custodisse ciò che la torre tenta di sterilizzare: memoria, lingua, eredità. E nel contrasto fra la prigione ipertecnologica e quei volti antichi, Brodskij costruisce un dispositivo narrativo teso e “pulito”, dove il classico torna a essere una forza viva, capace di giudicare il presente.
