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Leopardi, l’infinito e la luna

Oggi ricorre l' anniversario della nascita di Giacomo Leopardi, (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. E' considerato, oltre a tanto altro, il maggior poeta dell'Ottocento italiano...
Oggi ricorre l’ anniversario della nascita di Giacomo Leopardi, (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. E’ considerato, oltre a tanto altro, il maggior poeta dell’Ottocento italiano: la straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca. Io l’ ho sempre molto amato e oggi voglio ricordarlo, semmai ce ne fosse bisogno, proponendo il suo Infinito (una delle liriche fondamentali dei suoi Canti, scritta negli anni della sua gioventù a Recanati. Le stesure definitive risalgono agli anni 1818-19).Come immagine del presente articolo ho scelto proprio il testo de ‘L’infinito’, scritto dallo stesso Leopardi. E poi lo voglio ricordare mostrando una delle sue poesie dedicate alla luna, la mia preferita, ‘Il tramonto della luna“. Questa è quasi certamente, l’ultimo canto scritto da Leopardi nella primavera – estate del 1836 a Villa Ferrigni, presso Torre del Greco, sulle falde del Vesuvio: il poeta in quei versi, espresse tutto il suo pessimismo e la sua profonda convinzione sulla inutilità della vita, che è ostacolata dalla natura ed è basata sul dolore che caratterizza l’esistenza degli uomini. Buona poesia a tutti.
‘L’infinito’
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
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‘Il tramonto della luna’
Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;
Tal si dilegua, e tale
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a sé l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, né d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.

29 giugno 2013
 
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