“Le vite di ieri”, un fantasy italiano da regalare a Natale

12 Dicembre 2025

Viaggi tra vite passate, romance queer e lotta contro il Caos nella Roma del ’99: “Le vite di ieri” è un urban fantasy YA che parla anche agli adulti.

“Le vite di ieri”, un fantasy italiano da regalare a Natale

Le vite di ieri. Cronache delle Anime e del Caos” è un fantasy italiano uscito per Gallucci nella collana Young Adult, il primo volume di una trilogia urban fantasy intitolata “Cronache delle Anime e del Caos”.

Il libro segna l’esordio a quattro mani di Marta Mulè e Francesco Salvatore, due scrittori coraggiosi che spostano l’attenzione dal fantasy estero verso un mondo a noi più conosciuto: l’Italia. “Le vite di ieri” non presenta ambientazioni inventate di sana pianta, ma una Roma di fine anni Novanta, precisamente un’isola Tiberina attraversata da motorini e autobus, e sotto la superficie una comunità segreta di ragazzi che possono viaggiare nelle proprie vite passate.

Un dark academia romano, con una forte componente romance queer, capace di conquistare anche i lettori adulti, grazie all’intreccio di mistero, introspezione e tensione generazionale.

Quello che colpisce subito

Ogni anima è legata ad altre sei Anime Affini e a un’unica Anima Gemella. A ogni nuova incarnazione, queste anime si cercano, si ritrovano o si perdono, rimanendo identiche a se stesse ma in corpi diversi. Solo pochissimi, i Viaggiatori tra le Vite, sono in grado di ricordare chi sono stati e di ripercorrere le esistenze precedenti attraverso i Ritorni.

Su questa idea semplice e potentissima Mulè e Salvatore costruiscono un romanzo che parla di reincarnazione, sì, ma anche di memoria, identità, libero arbitrio, scelte che non smettono di avere conseguenze.

Il mondo e le Anime

Roma 1999 e la Fondazione sulle spalle dei giganti

La storia si apre a Roma nel 1999. Alessandro, Margherita e Lorenzo hanno diciannove anni: stanno per affacciarsi all’età adulta, tra esami, lavori precari, prime libertà e la sensazione di essere sospesi tra ciò che sono e ciò che potrebbero diventare. Ma c’è qualcosa che li distingue da tutti gli altri coetanei: le loro anime possono compiere Ritorni, veri e propri viaggi in altre epoche e in altre vite che hanno già vissuto.

I Viaggiatori come loro non sono soli. Da secoli esistono Fondazioni sparse nel mondo, che li raccolgono, li formano e ne custodiscono il segreto. A Roma la sede è sull’isola Tiberina, in un edificio chiamato in modo emblematico “Sulle spalle dei giganti”: qui i Superiori insegnano a padroneggiare il dono, a distinguere i confini fra presente e passato, a reggere il peso emotivo dei Ritorni.

Il romanzo alterna la quotidianità romana – le lezioni, i bar, le strade – con le incursioni nelle vite precedenti dei protagonisti: epoche diverse, corpi diversi, rapporti che ritornano sotto altri nomi. È un meccanismo che ricorda certe strutture da serie TV, ma qui la regia è tutta letteraria: i Ritorni non sono solo scenari pittoreschi, sono tasselli di un puzzle identitario.

Tre ragazzi e un conflitto antico

Alessandro è il personaggio attraverso cui entriamo nel mondo dei Viaggiatori. A diciannove anni scopre di essere uno di loro e capisce che quelle immagini che lo tormentano non sono sogni vividi, ma frammenti di altre esistenze. Margherita e Lorenzo, che incontra alla Fondazione, condividono lo stesso dono, ma con sensibilità diverse: ognuno porta con sé traumi, paure, desideri che affiorano anche nei Ritorni.

La trama prende una piega più marcatamente thriller quando Lorenzo viene aggredito da tre sconosciuti che cercano di costringerlo a un Ritorno. L’episodio fa emergere la presenza dei Figli del Caos: ex Viaggiatori che hanno violato le regole del tempo, tentando di alterare il passato, e per questo sono stati puniti perdendo il dono. Ora vivono come anime “spente”, decise a riappropriarsi del potere rubando le anime degli altri.

Viaggiatori e Figli del Caos diventano così le due forze contrapposte dell’universo narrativo, come nota la recensione di LuciaLibri: da una parte chi usa il dono per conoscersi e proteggere l’equilibrio, dall’altra chi, accecato dall’invidia o dalla paura, è disposto a piegare il tempo pur di non perdere il controllo.

Da qui in avanti i tre protagonisti si ritrovano coinvolti in un conflitto più grande di loro, fatto di rituali antichi, segreti tramandati e responsabilità che pesano come una condanna. Il finale, senza ovviamente anticipare nulla, chiude il primo arco ma apre chiaramente la strada ai volumi successivi della trilogia.

Identità e libero arbitrio

Reincarnazione come metafora di traumi ed eredità

L’intuizione più interessante di “Le vite di ieri” è usare la reincarnazione non tanto come escamotage spettacolare, ma come metafora dei traumi e delle eredità che ci portiamo addosso. Ogni Ritorno costringe Alessandro, Margherita e Lorenzo a confrontarsi con ciò che sono stati: errori, colpe, amori, fallimenti.

La sinossi dell’editore insiste sul fatto che “conoscere il passato non è sempre una benedizione” e che la linea tra bene e male, passato e futuro, libero arbitrio e necessità è spesso “indefinita e confusa”.

È un’indicazione di poetica: i protagonisti scoprono che non esistono vite “pulite” o perfette, e che certi nodi non sciolti tornano a galla di incarnazione in incarnazione, finché qualcuno non trova il coraggio di affrontarli.

Ogni lettore può leggere in quei Ritorni i propri replay interiori: le situazioni che si ripetono, le relazioni che sembrano sempre uguali, i copioni che recitiamo senza rendercene conto. Il fantasy diventa un modo per rendere visibile ciò che, nella vita reale, rimane psicologico.

Caos, paura e possibilità di scelta

I Figli del Caos sono forse l’invenzione più inquietante del romanzo. Nella lettura di LuciaLibri sono Viaggiatori che hanno perso il dono perché hanno tentato di manipolare i Ritorni, e ora cercano di rubare le anime altrui per rivivere esperienze non loro.

Non sono semplicemente i “cattivi”: incarnano la paura di smarrirsi nei propri ricordi, di farsi divorare dal desiderio di correggere ogni errore. Il Caos che minacciano di scatenare è, allo stesso tempo, una forza esterna e una tentazione interna ai personaggi: la voglia di riscrivere il passato, cancellando tutto ciò che fa male.

Qui il romanzo tocca una corda sempre viva e ricorda che vivere significa anche accettare l’irrimediabile. I Ritorni possono aiutare a capire, non a cancellare, e il confine tra conoscenza e abuso è pericolosamente sottile.

Il romance queer e la ricerca della propria identità

Il libro è presentato come un urban fantasy “con una componente romance queer” e, senza entrare nei dettagli delle dinamiche sentimentali, si può dire che affetto, desiderio e ricerca della propria identità sessuale attraversano tutto il romanzo.

Siamo in un contesto YA, ma i sentimenti messi in scena non sono edulcorati. L’amicizia tra i tre protagonisti oscilla continuamente, si complica, mette alla prova i ruoli tradizionali. C’è la paura di non essere ricambiati, la difficoltà di dirsi, la tentazione di rifugiarsi in etichette rassicuranti. E c’è il sospetto che certe attrazioni non riguardino solo il presente, ma si trascinino da vita a vita, come un filo che non si spezza.

Anche qui, il fantastico amplifica un tema molto concreto: quanto siamo liberi di scegliere chi amare e perché, e quanto invece ripetiamo pattern che non controlliamo?

Struttura e stile: una voce onnisciente e un dark academia romano

La voce che introduce i capitoli

Uno degli aspetti formali più interessanti è la scelta di una voce narrante onnisciente che introduce ogni capitolo. LuciaLibri descrive queste brevi aperture come una sorta di prologo esplicativo che anticipa e commenta gli eventi, e la cui identità viene svelata solo alla fine.

È una soluzione rischiosa, perché l’onniscienza può facilmente far perdere ritmo. Qui, invece, funziona come cornice: quella voce diventa quasi una guida fra passato e presente, un’entità che sembra conoscere la trama più dei protagonisti stessi. Il lettore si chiede continuamente chi stia parlando, e la risposta finale rilegge retrospettivamente molti indizi disseminati nei capitoli.

Questa struttura a cerchi concentrici – voce onnisciente, narrato in terza persona focalizzato sui ragazzi, incursioni nei Ritorni – restituisce bene la sensazione di un tempo non lineare, fatto di sovrapposizioni e risonanze.

Roma come scenario urban fantasy e dark academia

L’altro elemento forte è l’ambientazione. Mulè e Salvatore scelgono una Roma non da cartolina, ma vissuta dal basso: tramonti sul Tevere, vie affollate, l’isola Tiberina trasformata in snodo segreto di un mondo parallelo. La presentazione del Patto per la lettura di Bologna la definisce chiaramente: un romanzo ambientato a Roma nel 1999 dove “alcune anime si ritrovano in ogni vita” e dove un ragazzo scopre di essere un Viaggiatore ricordando chi ha amato e chi ha perduto.

La Fondazione, con le sue sale di studio, i corridoi silenziosi, le figure dei Superiori, porta nell’urban fantasy quel gusto da dark academia che negli ultimi anni sta conquistando molti lettori: la fascinazione per luoghi di sapere chiusi e un po’ inquietanti, dove l’apprendimento è sempre mescolato a segreti e pericoli.

I Ritorni, invece, dilatano l’orizzonte spaziale e temporale: i ragazzi viaggiano in epoche diverse, dove corpo e mente rivivono esperienze passate come se fossero presenti. Questo permette al romanzo di cambiare registro, passando da scene quasi da thriller urbano a momenti più storici o contemplativi, senza perdere coerenza.

Uno young adult che parla anche agli adulti

Generazione sospesa tra ansia e speranza

“Le vite di ieri” è uno young adult, ma parla anche – forse soprattutto – a chi YA non lo è più da un pezzo.

Alessandro, Margherita e Lorenzo vivono una condizione che chi ha vent’anni oggi conosce bene: precarietà, timore del futuro, identità fluide, relazioni complesse. Il dono dei Ritorni amplifica questa precarietà, perché al peso del futuro si somma quello del passato. Non devono solo decidere cosa fare “da grandi”, devono anche fare i conti con ciò che sono stati.

In questo senso il romanzo risuona con chiunque abbia la sensazione di portarsi dietro vite “precedenti”: non necessariamente in senso metafisico, ma come cicli di esperienze che sembrano appartenere a un’altra persona (l’adolescente che eravamo, lo studente, il partner di qualcun altro).

È un romanzo ideale per lettori e lettrici:

  • che amano le storie di formazione con un forte elemento sovrannaturale;
  • che cercano un’ambientazione italiana riconoscibile, ma trasfigurata dal fantastico;
  • che vogliono vedere rappresentate anche dinamiche affettive queer in un contesto fantasy mainstream.

Ma può parlare molto anche a chi, semplicemente, sente di vivere in un tempo frammentato, in cui passato e futuro si inseguono senza sosta; è un libro che privilegia il lavoro sulle relazioni, sulle emozioni, sull’idea che la vera guerra si combatta spesso dentro, fra il desiderio di capire chi siamo e la paura di affrontarlo, piuttosto che sulle battaglie fisiche.

Un universo che ha ancora molto da dire

Questo primo volume funziona come una grande porta socchiusa: ci fa intravedere abbastanza da voler entrare, ma lascia in sospeso abbastanza domande da farci attendere i prossimi capitoli delle “Cronache delle Anime e del Caos”.

Mulè e Salvatore hanno ancora molto da dire.

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